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Autonomia differenziata: cui prodest? Che interesse ha la Meloni ad avvitarsi dentro uno scontro in cui ha tutto da perdere? Una riforma sartoriale, confezionata su misura per gli egoismi della Lega. Un regalo agli irriducibili, gli stessi che nel 2012 contestarono la “svolta nazionalista” di Salvini. Ma davvero FdI, primo partito, vuole immolarsi per i fedelissimi del Senatùr? Per chi ha ammainato il Tricolore per esporre il vessillo di San Marco? Non basta già la distanza siderale – reddito, trasporti, servizi, sanità, aspettativa di vita – tra Nord e Sud? Vogliamo dilatare questo solco, Giorgia?

La bagarre scatenata in Aula dall’opposizione è solo l’inizio di una battaglia che potrebbe trasferirsi nelle piazze il giorno in cui il Mezzogiorno uscirà dall’apatia che lo avvince. E non è solo il Meridione a sonnecchiare, c’è anche Roma che il Carroccio vuole umiliare conferendole meno poteri della sua regione e di tutte le altre capitali europee.

Elly Schlein ha già iniziato a martellare. Forte del suo 24,1% imporrà ai governatori dem più riluttanti – Bonaccini e Giani – la linea dura. Quella che ha fatto diventare il Pd primo partito nel Sud. Gran parte dei costituzionalisti si sono espressi; la Cei lancia a ripetizione appelli. Cos’ha da spartire il partito della Meloni con i rigurgiti tardo-secessionisti del Carroccio? E ne vale la pena? A Milano nell’arco di 5 anni la Lega ha perso 126 mila voti, l’80% dei consensi.Era il secondo partito (27,39%). E’ l’unica ultra-destra localista che in Europa anziché guadagnare consensi li perde. Talmente priva di argomenti che potrebbe addirittura consegnarsi ai deliri del generalissimo Vannacci.

Il baratto con il Premierato – comunque lo si veda- resta un pessimo affare. Il semi-presidenzialismo – che proprio in questi giorni con il suicidio-assistito di Macron sta mostrando in Francia tutti i suoi limiti – continuerà la sua strada a prescindere da questa secessione fiscale spacciata per federalismo. E se andrà a sbattere non sarà certo per lo sgambetto di qualche leghista riottoso. Se qualcosa in tanti anni di cronache parlamentari abbiamo imparato è che in politica nulla si fa per nulla. Per cui rinnoviamo la domanda: cui bono, Giorgia?


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