Giancarlo Giorgetti
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Con il nuovo Patto di Stabilità conti sostenibili solo se cresce di più il Sud: Sarà il Mezzogiorno a salvare il “soldato” Giorgetti?
Se fosse un film, il titolo potrebbe essere “Salvate il soldato Giorgetti”. Mai, come nelle ultime settimane, il ministro dell’Economia ha dovuto indossare l’elmetto, chiudersi nel suo bunker e resistere alle bordate dei partiti della maggioranza impegnati nella campagna elettorale per le europee. Arrivando perfino a minacciare di fare un passo indietro, con tutte le conseguenze del caso. E facendo capire, anche alzando la voce, che i giochi sul bilancio pubblico sono finiti. Game over. Fino a quando sarà a via Settembre, dietro la scrivani che fu di Quintino Sella, Giorgetti non aprirà mai più i cordoni della borsa per fare altro deficit. Solo promesse? Macchè. Tutto vero. Basta rivedere il film degli ultimi giorni, a quella battaglia attorno al maxi-emendamento sui superbonus che, di fatto, dovrebbe mettere la parola fine alla lunga, generosa e incontenibile stagione dei lavori edilizi a costo zero.
Primo, sono servite due pagine fitte di tagli per trovare i 64 milioni necessari per rinviare a luglio dell’anno prossimo la cosiddetta “sugar tax”, l’imposta sulle bibite zuccherate che fanno gola soprattutto ai bambini. Secondo, si è consumata una drammatica spaccatura nel governo per introdurre, nella nuova stretta sul Superbonus, una norma retroattiva, che va contro la nostra cultura giuridica ma che era necessaria per racimolare un’altra manciata di milioni. Terzo, il fortissimo pressing delle banche, per cambiare le nuove norme sui bonus dell’edilizia ed evitare effetti a cascata sui crediti di imposta già acquistati dagli istituti, è caduto praticamente nel vuoto.
LA PRIORITÀ È METTERE IN SICUREZZA I CONTI
Per citare Agatha Christie, un indizio è un indizio, due sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Tradotto: cari partiti, la priorità è oggi quella di mettere in sicurezza i conti pubblici e smaltire le tossine velenose del Superbonus, che continueranno a far sentire il loro peso almeno fino al 2026 e oltre. Spazi per fare fronte a nuove richieste, soprattutto di tipo elettorale, non ce sono e non ne saranno per un bel pezzo. Perfino la premier, Giorgia Meloni, che fin dal primo momento ha sposato la linea rigorista del ministro dell’Economia, in continuità con il suo predecessore, Mario Draghi, ha dovuto abbassare le pretese e rassegnarsi alla terza manovra economica consecutiva all’insegna dell’austerity.
Del resto i numeri sono numeri. Da questo momento il nostro discorso diventa più tecnico e quindi noioso. Ma, forse, vale la pena avere la pazienza di seguirlo. Nel 2023 i nostri conti sono andati in rosso per 3,2 miliardi, nel 2024 il deficit è schizzato a 15,7 miliardi, l’anno prossimo si assesterà sui 4,6 miliardi. Inoltre, con l’attuale debito pubblico, che viaggia attorno al 140% del Pil e con le nuove regole del patto di stabilità, non solo la prossima manovra ma anche quelle successive dovranno muoversi nel sentiero strettissimo della finanza pubblica.
È vero che la versione riveduta e corretta del Patto di Stabilità consente di tirare il fiato per almeno tre anni prima di tagliare il debito di almeno l’1% all’anno. Operazione che, tradotta in soldoni, comporterà ulteriori sacrifici. Così come l’aggiustamento strutturale del deficit dello 0,5% all’anno che, fino al 2027, potrà ridursi per una serie di circostanze attenuanti, tra cui il peso maggiore degli interessi sul debito.
LA PROCEDURA CONTRO L’ITALIA PER DEFICIT ECCESSIVO
Ma, pur con tutte le flessibilità del caso, restano due fattori da considerare con attenzione. Il primo è che, a fine giugno, chiuse le urne delle europee, partirà la procedura di infrazione contro l’Italia per deficit eccessivo. Torneremo ad essere nel poco invidiato club dei Paesi sorvegliati speciali. Il secondo è che, per rientrare nei parametri, dovremo correggere i nostri saldi di almeno 10 miliardi di euro nel 2025 che, aggiunti ai 14,5 miliardi per rinnovare nel 2025 il taglio del cuneo contributivo e il primo modulo della riforma dell’Irpef i costi dell’aggiustamento richiesto dalle nuove regole, la prossima legge di bilancio parte già con un bagaglio di almeno 25 miliardi.
Come finanziarli quando non sarà più ammesso il ricorso a nuovo deficit? Dal momento che è impensabile il ricorso a nuove tasse e non è neanche ipotizzabile un taglio a servizi essenziali, l’unica carta che il governo può giocare è quella relativa alla crescita.
IL SUD POTREBBE DIVENTARE IL PROTAGONISTA DELL’OPERAZIONE SALVATE IL “SOLDATO” GIORGETTI
Certo, il Pnrr da questo punto di vista, è una sorta di toccasana, dal momento che consente di dare una forte spinta agli investimenti pubblici. Ma anche così il nostro Pil difficilmente riuscirà a viaggiare oltre l’1%. L’unica vera chances a disposizione del governo per rimettere in sesto i conti pubblici, rispettare i parametri e garantire la stabilità finanziaria a livello europeo è quella del Mezzogiorno. Attualmente il tasso di occupazione del Sud è fermo, infatti, al 42%, quasi 20 punti in meno rispetto alla media nazionale. Se si vuole far crescere la ricchezza del Paese, riducendo quindi sia il peso dei deficit che del debito, bisogna aumentare il numero di occupati nel Meridione, portando il tasso di occupazione almeno al 60% nel giro di 4-5 anni. Insomma, vuoi vedere che a salvare il “Soldato Giorgetti” sarà proprio il Mezzogiorno?
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