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Giuseppe Conte e Alessandra Todde

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Il linguaggio manageriale della Todde mai rinnegato come metodo politico di gestione ricorda il realismo di governo di Conte sulla Tap come sulla Tav e il Pnrr. La sottile abilità politica del piede in due scarpe – competenza e populismo – serve, ma alla lunga non tiene. Conte guardi a Moro che teneva conto della pancia del Paese, ma per portarlo a un approdo riformista. Rompa con un po’ di populismo che è quello che fa come può la Meloni al governo con il vantaggio che lui non ha il peso dei richiami dalla foresta di una storia politica. Proviene da un mondo esterno che ha sfruttato il populismo, ora lo indirizzi verso un approdo diverso dai buchi porosi della filiera dei bonus

Il conteggio dei voti con lo spoglio di tutte le 1844 sezioni della Sardegna ci consegna un risultato finale delle elezioni regionali del 25 febbraio scorso che vede il vantaggio di Alessandra Todde, presidente della Regione in pectore, ridotto dai 2.700 voti certificati sette giorni fa ai circa 1.600 voti di ieri mattina nei confronti del candidato del centrodestra, Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari. Ovviamente la partita si potrebbe ancora complicare se ci fosse la volontà politica e gli organi giudiziari preposti lo acconsentissero di riesaminare il cosiddetto voto nullo dove se accetti il criterio di interpretare la volontà dell’elettore e ritieni che, ad esempio, un errore di vocale non può comportare la perdita della preferenza accordata si aprirebbe una prateria vista l’esiguità della distanza tra i due contendenti.

Noi ci auguriamo che la decisione arrivi presto, sia chiara, e si evitino così ulteriori azioni di harakiri. Riteniamo, altresì, che questo voto, ancorché regionale, permetta di fare alcune considerazioni di carattere più generale che riguardano la presidente in pectore Todde e il percorso politico, prima di governo poi di opposizione, del leader dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte, che ha il merito indubbio di avere scelto la candidata rivelatasi vincente.

Della Todde ciò che ha colpito in campagna elettorale e anche in tutte le sue dichiarazioni dopo il voto è uno schema chiaro di priorità – sanità, lavoro, trasporto, istruzione – e un linguaggio manageriale mai rinnegato come metodo politico di governo che vuol dire sapere fare squadra e anche giustamente annichilire per un’eredità leghista di gestione della Regione che lascia in cassa e, cioè, inutilizzati ben tre miliardi perché non si è stati in grado di programmare, progettare e spendere nonostante il deficit di servizi che attanaglia la Sardegna. Mi sono piaciuti i riferimenti costanti a favore di un’economia di mercato con i distinguo su una società di mercato e il senso profondo di una coalizione che significa fare mediazione e sintesi. Perché è vero che si può provare a vincere solo insieme, ma che ha senso vincere se si riesce a governare e a fare le cose alla guida di una Regione come del Paese.

Chiedo scusa ai lettori di questa lunga premessa, ma mi è servita per potere dire che nel cosiddetto campo sardo è giusto dare a Conte quel che è di Conte. La scelta della Todde è stata sua e si inserisce in quel solco di realismo di governo che ha segnato la sua esperienza a Palazzo Chigi come è avvenuto con le scelte per la Tap in Puglia e per la stessa Tav, la scommessa reale sul Mezzogiorno non solo in termini di sostegno al reddito di chi ha meno ma anche di centralità produttiva e sociale all’interno del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).

Questa stagione è stata ovviamente segnata anche dagli eccessi del Superbonus e di tutta la filiera di incentivi per l’edilizia che non ha evidentemente tenuto conto di un sistema italiano troppo poroso, che vuol dire che ha tanti buchi e che vengono tutti sempre assorbiti. Di modo che si fabbricano aziende fantasma, si dà spazio alle truffe, un’idea sulla carta fortemente anticiclica che andava sviluppata meglio avendo la consapevolezza che, purtroppo, il Paese non è sano.

Al netto di ciò, anche nella posizione forte sull’autonomia differenziata, emerge complessivamente nella scelta della Todde quel
realismo di Conte al governo che ha cambiato pelle alla guida del partito assecondandone e solleticandone la pancia su molte cose difficilmente realizzabili, ma che sono coerenti con l’obiettivo di puntare all’egemonia di un’alleanza con il Pd sapendo di rappresentare un ceto politico dirigente grillino che non si fida del ceto dirigente del Pd perché è certo che non darà mai loro spazio. E un’azione che esprime l’abilità sottile della politica di tenere il piede in due scarpe. La prima è quella della competenza senza la quale non si va da nessuna parte perché i conti con la realtà valgono per tutti. La seconda è quella di andare dietro alla pancia della gente per eleggere coloro che a lui rispondono e piacciono e, in genere, per allargare il consenso facendo intuire che c’è spazio per tutti.

C’è chi sostiene che Conte rappresenti una parte della élite politico-amministrativa del Paese che scommette in modo strumentale sul populismo. Che vuol dire che il populismo serve per arrivare al potere, l’unica cosa che a loro interessa, non per fare i populisti al governo. A noi piace auspicare che Conte voglia guardare a Moro che semmai teneva conto del problema della pancia del Paese per portarlo passo dopo passo dove lui voleva e, cioè, a un approdo riformista. Per fare questo Conte deve rompere con un po’ di populismo che è un po’ quello che ha fatto la Meloni al governo anche se non completamente perché in certi momenti arriva il richiamo della foresta e lei viene dalla storia politica di quella foresta.

Paradossalmente Conte ha il vantaggio che per lui il richiamo di quella foresta è il richiamo da un mondo esterno che non appartiene alla sua storia politica che ha sfruttato e sta sfruttando il populismo a fini elettorali, ma che deve sapere indirizzare verso un approdo diverso. Questa è la partita politica del futuro di Conte che ovviamente passa per scelte sempre più competenti in tutte le contese elettorali, ma anche attraverso un Pd che non riesce a esprimere un leader vero. Perché è, a sua volta, rinchiuso dentro il partito del cosiddetto professionismo politico. Il vantaggio di Conte, in questo caso, è di guidare un partito superliquido e, quindi, più facilmente malleabile e modulabile su come lo vuole lui.


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