Aleksej Navalny, tra i più forti oppositori di Putin, morto qualche giorno fa
4 minuti per la letturaÈ ancora presto per dirlo, ma ci sono tentativi in atto per tirarsi su dal pantano della sceneggiata e entrare nella fase adulta della responsabilità. Si prende coscienza dell’orrenda parabola di Putin da aspirante occidentale a capo delle democrature mondiali e del doppio orrore mediorientale con il rischio Netanyahu. Se la si finisse davvero di fare politica a cornate, si parlerebbe meno di autonomia più di investimenti, meno di ideologia più di Europa federale. Anche sul premierato sarebbe più facile fare qualcosa che funziona.
QUESTA unità della politica italiana contro l’efferatezza putiniana, che dietro i lividi sul corpo, le convulsioni e la mancata autopsia di Aleksej Navalny nasconde l’avvelenamento del primo dei dissidenti oppositori, mostra un nuovo Occidente riunito in difesa della democrazia e contro l’imperialismo sovietico che marcia militarmente verso il cuore dell’Europa. Per i leghisti e i grillini è curioso che non ci sono andati i capi, ma le seconde e le terze file alla fiaccolata promossa ieri da Calenda a Roma, resta però il dato di fatto che un rigurgito di unità politica italiana, pezzo vitale della necessaria unità politica europea, emerge finalmente davanti a questa orrenda parabola di Putin da aspirante occidentale a uomo che sfida l’Occidente fino alla ferocia di fare saltare la testa di un uomo rinchiuso nella prigione “Lupo Polare”.
È l’ultimo di una lunga serie di arrestati, esiliati, uccisi in cella, che messi tutti insieme costituiscono l’ecatombe dei dissidenti, ma vale da solo più di tutti gli altri messi insieme per quello che lui ha espresso con la sua vita e per il fatto indiscutibile che è ora un simbolo per tutto il mondo. Viene quasi da pensare che ci sia un anti-Putin nel Cremlino perché se si fosse fatto lo scambio dei prigionieri Navalny sarebbe diventato il nuovo Solzenicyn, richiamo altissimo delle coscienze del mondo, mentre ora il cadavere di Navalny pesa per Putin molto di più del suo pensiero da vivo diffuso dall’estero. La verità terribile è che, forse, bisogna prendere atto che Putin è ormai incastrato nel suo ruolo da capo delle democrature mondiali e che anche quando diceva di volere entrare nell’Occidente, di volere fare parte del club, in realtà era una finzione perché lui non voleva entrare, ma voleva piuttosto assicurazioni dalla Merkel di potere contare in Europa con i suoi valori e pesare sempre di più con i poteri economici legati al dominio delle materie prime usate come armi di guerra.
Di fronte a tutto ciò assistiamo a sorpresa positivamente a una strana reazione della politica italiana che, anche se a diversi livelli di responsabilità, aderisce alla manifestazione contro il neoimperialismo putiniano e a difesa della democrazia messa a dura prova dalle guerre e dalla avanzata ovunque dei regimi autocratici. Qualcosa, dunque, si muove. Un inizio di dialogo c’è stato tra Meloni e Schlein sul cessate il fuoco in Medio Oriente, ora si rinnova in nome di Navalny, passettino dopo passettino si avvia l’uscita dall’età dei radicalismi. Che è quella della politica della sceneggiata che bandisce ogni forma di consapevole responsabilità. Il mondo è sull’orlo di una sfida molto difficile, dove sono a rischio valori fondanti, perfino la politica italiana non si può permettere di continuare a fare sceneggiate. Quando bisogna fare i conti con il sette ottobre dell’attacco di Hamas a Israele che segna una pagina di storia da non dimenticare mai e a cui reagire, ma anche con i trentamila morti della Striscia di Gaza e di un Netanyahu incastrato nel suo ruolo esattamente come Putin lo è nel suo. Tra un’elezione qui e là ritorneranno le sceneggiate, ma i segnali di dialogo e di unità di questi giorni su temi così strategici aprono qualche speranza. Ovviamente senza farsi illusioni perché sono passaggi che richiedono molto tempo, ma comincia a vacillare l’idea di fare sempre a cornate su tutto. Questo vuol dire che se si vuole, si può fare una cosa più ragionevole.
Se tutto ciò avanzasse come metodo di governare e di fare opposizione, ci sarebbe anche meno demagogia sull’autonomia differenziata e più spazio per fare investimenti veri e ridurre le diseguaglianze. Ci sarebbe più spazio per prendere coscienza di quanto sia decisivo costruire bene e in fretta l’Europa federale e anche più spazio per discutere di premierato in modo che dia risultati veri. Si capirebbe il significato vero della politica della sintesi che è l’esatto opposto di quella della contrapposizione. Che è la politica che oggi serve al mondo e, a maggior ragione, all’Italia.
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