Giorgia Meloni ed Elly Schlein
5 minuti per la letturaLo scontro Meloni-Schlein fa sparire i contenuti tra un rinfaccio e l’altro di chi è il colpevole. Riemerge l’asse spettacolare, tanta scena poca sostanza, tra Salvini e Conte. L’autonomia è il palcoscenico sul quale si esercita questo show dilettantesco della politica italiana sulla pelle del Sud e, quindi, del futuro dell’Italia e dell’Europa. Fanno spettacolo, a volte avanspettacolo, ma tanto tutti sanno che resta tutto uguale. Quello che preoccupa è che nessuno si rende conto che rimanere nello status quo significa rimanere male. Perché si difende non un Paese che funziona, ma un Paese con figli e figliastri che non va.
IL COPIONE quotidiano della politica italiana è la spettacolarizzazione. Lo scontro Meloni-Schlein è sempre più di spettacolo che politico dove spariscono i contenuti tra un rinfaccio e l’altro di chi è il colpevole sullo sfascio della sanità o altro. Riemerge un altro asse spettacolare dello stesso tipo, che vuol dire tanta scena e poca sostanza, tra il leader della Lega, Matteo Salvini, e il capo dei Cinque Stelle, Giuseppe Conte. Salvini brama di avere la possibilità di giocare un’altra carta oltre quella che lo tiene attaccato alla Meloni e Conte vuole legittimamente tornare nel grande gioco. Il punto, davvero amaro, è che è sempre un gioco di persone, non di contenuti. L’apoteosi di questo modo masochista di intendere la politica, lo abbiamo avuto con la cosiddetta riforma della autonomia differenziata che è fuffa allo stato puro, oltre che un cammino tortuoso pieno di trappole insuperabili. Parliamo del nulla, dunque, e facciamo spettacolo, mentre il mondo è sempre più in preda alle fiamme e agli effetti economici delle fiamme.
Noi siamo qui a discutere se è più bello mettere il vestito blu o il vestito verde, ma l’incendio del Medio Oriente assume ogni giorno di più le sembianze dell’orrore civile, cambia la geografia dei traffici marittimi mondiali, porta nelle case degli europei la miccia di ritorno dell’inflazione e, di conseguenza, del caro tassi. Rischiamo di tornare sull’orlo della recessione europea, ma il tema non ci appassiona. Nessuno valorizza, nello spettacolino miserevole della politica italiana, i limiti e i punti di forza della missione navale europea in Mar Rosso. Perché è chiaro che se si limita a scortare le navi serve a poco con un effetto contenuto di deterrenza. Potrebbe valere zero, dunque, ma potrebbe avere anche molto significato. Perché una cosa è certa: si sono buttati giù diversi muri. Il primo è il vecchio muro essenzialmente ideologico che l’Europa non fa politica militare. Il ragionamento è del tipo “noi siamo una potenza civile”, quella militare lasciamola ai russi, agli americani, ai cinesi, a chi cavolo volete, ma non a noi.
Il secondo muro riguarda il fatto che non si è deciso all’unanimità, hanno deciso Italia, Francia, Germania e gli altri o si accodano o si attaccano. Se ci pensate un attimo siamo nei fatti alle cooperazioni rafforzate o all’Europa a due velocità, ovviamente accade su una cosa piccola che può andare anche male, ma è un fatto che il trasformarsi dell’Europa va avanti. È evidente che di fronte a questo ritrasformarsi della situazione l’Europa dovrà assolutamente ricompattarsi per uno scenario che non sarà più quello di ieri. Senza contare che cosa potrebbe succedere con Trump alla Casa Bianca che continuerà a fregarsene dell’Europa e tornerà a puntare all’isolazionismo americano, ma avrà di certo cura di dare molto spazio a Russia e Cina con tutti i contraccolpi che riguardano il Giappone e molti altri. “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” mentre a Roma si delibera Sagunto viene espugnata, da una frase delle Storie di Tito Livio (XXI, 7).
Parafrasando ai nostri giorni, potremmo dire che mentre il mondo si incendia la politica italiana fa lo show. Tutto questo accade, peraltro, mentre l’Europa sembra paradossalmente prendere atto che deve cambiare, che non può essere solo ruota di scorta degli Stati Uniti, ma deve farlo come Europa. Quando il motore franco-tedesco si accorge che non può cambiare a due l’Europa, ma ha bisogno del triangolo con l’Italia. Quando questa guida europea non aspetta l’unanimità e decide, opera sul piano diplomatico e militare. Perché è vero che dal blocco del Canale di Suez e dalla crisi del Mar Rosso, Amburgo e Rotterdam si avvantaggiano ma poi anche i loro porti si ingolferanno, i prezzi dei prodotti diventeranno più cari anche per loro, l’inflazione rialzerà la testa e i tassi riprenderanno a salire.
Questo scenario da economia di guerra che porta l’Europa dritta dritta alla recessione l’Europa non se lo può permettere. A partire dalla Germania già in recessione e in crisi di leadership politica dove stanno scendendo in piazza tutti. Prima i ferrovieri, poi gli agricoltori. L’incendio mondiale con le fiamme che si propagano ormai da ogni dove dovrebbe fare capire alla politica italiana che è tempo di finirla con uno dei suoi vizi più ricorrenti e drammatici. Che è quello di volere tutti risultati immediati e di pretendere da chi è lì da mezz’ora di cambiare il mondo che è a sua volta cambiato e che, quindi, se prima ci voleva un po’ di tempo per fare le cose ora ce ne vuole anche un po’ di più. Questo in politica non significa aspettare, ma costruire qualcosa passo dopo passo come hanno fatto De Gasperi e Moro che a volte sembravano prenderla lunga e invece si sono tirati dietro la gente.
La grande politica ci insegna che per cambiare ci vogliono tempo e pazienza. A tratti, perché il progresso oggettivamente si è visto, la Meloni ritorna nel mood del capo fazione e sbaglia, ma ciò che è peggio è che anche gli altri, non solo in Italia, sono fatti un po’ così in questa Europa ancora sfilacciata. Molti, troppi, capi di governo e di Stato sono ex capi partito che sono rimasti tali. Non hanno assunto, magari nel tempo, giorno dopo giorno, l’attitudine dello statista, per non parlare di quelli che indulgono al dilettantismo e dureranno meno di tutti anche se mentre stanno al potere purtroppo non lo sanno. L’autonomia differenziata è il palcoscenico sul quale si esercita quotidianamente questo show dilettantesco della politica italiana sulla pelle del Mezzogiorno e, quindi, del futuro dell’Italia e dell’Europa. Fanno spettacolo, a volte avanspettacolo, ma tanto tutti sanno che resta tutto come è e non cambia nulla. Quello che davvero preoccupa è che nessuno si rende conto che rimanere nello status quo significa rimanere male. Perché significa difendere non un Paese che funziona, ma un Paese con figli e figliastri che non va.
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