Luigi Sbarra
5 minuti per la letturaÈ la gente che lo vuole per avere un punto di equilibrio in cui si riesca ad andare avanti con meno scosse possibili. Bandendo la favola quotidiana con la quale governo, partiti, sindacati e media fanno a gara la mattina a promettere o chiedere di rifare il mondo e la sera aumenta l’incertezza delle persone sul nostro futuro. Più si promettono rivoluzioni, più aumenta l’angoscia per come andrà a finire. Servono invece una visione di lungo termine e un patto di azione comune che costruiscono nuovo lavoro dove tutti sanno che in politica estera si alza il mare e si fanno scelte difficili e che su privatizzazioni e investimenti si agisce in difesa dell’interesse nazionale. Che il Piano Mattei si costruisce con il nostro Sud e le alleanze giuste in Europa.
La gente vuole un patto sociale di equilibrio grazie al quale si riesca ad andare avanti con meno scosse possibili. Bandendo la favola quotidiana con cui governo, partiti, sindacati e media fanno a gara la mattina a promettere o chiedere di rifare il mondo e la sera aumenta l’incertezza delle persone sul nostro futuro. Più si promettono rivoluzioni, più aumenta l’insicurezza, più aumenta l’angoscia per come andrà a finire. Questa è, forse, la vera chiave di volta per capire come mai cinquantamila lavoratori attivi in più nel 2023 si sono iscritti alla Cisl di Sbarra per la semplice ragione che vogliono una politica sindacale che punta a costruire lavoro, non polemiche politiche. Significa che i lavoratori, come la maggioranza silenziosa degli italiani, chiedono risposte concrete ai loro problemi, non una protesta inconcludente molto politicizzata a favore di talk e interessi mediatico- politici.
Questo risultato di nuovi iscritti alla Cisl non tra i pensionati ma i lavoratori attivi, un terzo dei quali giovani con un’età inferiore ai 30 anni, centomila nel triennio, può essere considerato anche un piccolo segnale, ma a mio avviso non è affatto piccolo. È piuttosto molto indicativo della reale volontà di questo Paese di potere contare su un patto sociale che affronti le complessità planetarie che incidono sulla nostra vita di tutti giorni. Questo è un segnale che il governo e tutte le opposizioni devono sapere cogliere e valutare con estrema attenzione. Perché solo da un approccio così profondo può discendere una idea di azione condivisa che porti a un Paese che sceglie di fare squadra sulle grandi questioni della politica estera e della crescita interna.
Senza perdersi nel teatrino delle contrapposizioni di facciata per lo show quotidiano frutto di una demagogia che punta solo a capitalizzare effimeri successi elettorali o in un ginepraio di scioperi a singhiozzo che rispondono anch’essi a inconfessabili ragioni di leadership politica. Il contesto globale delle due guerre con il carico di angosce e di difficoltà che porta con sé rende questi scioperi agli occhi degli italiani, anche dei molti che soffrono davvero tanto, come qualcosa di stonato se non di insopportabile. La politica estera è talmente in movimento che non si può affrontare con discorsi general generici, ma momento per momento con scelte che denotano visione e pragmatismo. Questo vuol dire dare spazio alle competenze della classe dirigente, ma avendo alle spalle un Paese che è consapevole che si dovrà aggiustare la rotta ogni volta che si alza il mare e che ha, quindi, sottoscritto lo spirito del patto sociale e ha fiducia in chi guida la nave.
Questo vale anche per le privatizzazioni che hanno un senso se sono inserite in un disegno complessivo di sviluppo dove si comincia a recuperare spazi di mercato con beni pubblici regalati fino ad oggi agli amici degli amici ed evitando di fare cassa spicciola per coprire dei buchi mettendo a repentaglio interessi strategici. Siamo sempre più convinti che le poche grandi imprese del Paese debbano avere un controllo di mercato che risponde all’interesse nazionale di mercato e proprio per questo bisogna stare molto attenti a vendere un po’ di azioni pregiate per tappare qualche falla. Sarebbe un po’ come vendere la casa di nonna per comprare la macchina a rate.
Alcune di queste operazioni di mercato, penso soprattutto alla rete delle ferrovie che può ricalcare il modello di successo di Terna, costituiscono un’indubbia opportunità per ridurre il debito e recuperare efficienza, ma due obiettivi così ambiziosi sono perseguibili se vengono inseriti dentro un disegno di sviluppo coniugato con gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e con una visione del Paese che metta insieme capitali pubblici e privati riducendo distorsioni e diseguaglianze territoriali, di genere e generazionali. Bisogna avere in testa un progetto di medio e lungo termine che si traduce in un nuovo grande patto sociale dove tutti sono chiamati all’esercizio della responsabilità.
Ovviamente questo esige che politica, sindacato e media escano dal palcoscenico della sceneggiata per entrare tutti insieme nel cantiere della costruzione di un’Europa solidale e di un’Italia locomotiva come fu negli anni del Dopoguerra. Quando intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laica marciarono uniti e trasformarono un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata, poi in una potenza economica mondiale. Quando c’erano i De Gasperi e i Fanfani, ma anche i Pastore, i Di Vittorio e i Pescatore. Se la nuova Destra vuole passare alla storia deve essere capace di dialogare con tutti e costruire insieme con le parti più responsabili la nuova modernizzazione del Paese e una leadership di politica estera che metta al centro il Mediterraneo e il ruolo guida del nostro Sud avendo con sé l’Europa dei suoi Fondatori che sono, con l’Italia, la Germania e la Francia. Alternative a queste alleanze storiche non esistono. Anzi, sono pericolose.
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