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Servono decine e decine di miliardi visto che Fratelli d’Italia impone di trasferire alle altre Regioni le risorse per fare ciò che viene richiesto da chi esercita l’ipotetica autonomia. Quindi non si fa nulla perché i soldi non ci sono a meno che chi oggi riceve molto di più restituisce a chi riceve molto di meno. Anche la relazione Cassese certifica l’impatto finanziario rilevante per un Paese che non è né la Francia centralista né la Repubblica federale tedesca, ma un ibrido di autonomia che paralizza tutto. Siamo oltre gli standard elevati del miserevole dibattito politico e mediatico italiano. Dove si vende solo fuffa.

Con l’autonomia differenziata siamo al teatro dell’assurdo dove Alfa e Omega, la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, si pretende significhino la stessa cosa. Dove la fuffa politica leghista si scontra con la sostanza rocciosa dei vincoli di finanza pubblica italiana e tutti giocano più parti in commedia inseguendo trofei elettorali. Prescindendo ovviamente dalla realtà e dai danni ventennali già prodotti da questo federalismo fiscale all’italiana che è la causa principale della caduta competitiva del Paese. Attraverso questo pseudo federalismo che è passato per la modifica del titolo quinto della Costituzione, piani scellerati di devolution, una gestione fiscale che somma i vizi centrali e territoriali, siamo arrivati a un Paese che non è né la Francia centralista né la Repubblica federale tedesca. Siamo un ibrido che paralizza tutto.

Dentro questo teatro può accadere, ad esempio, che la ex vice presidente della Regione Emilia-Romagna, Elly Schlein, voti a suo tempo per l’autonomia differenziata e qualche giorno fa da segretario del Pd scenda in piazza contro il colpo mortale che quella stessa autonomia dà al Sud. Dentro questo teatro può succedere che i Fratelli d’Italia presentino un emendamento sacrosanto in cui è scritto che a ogni trasferimento di funzioni a questa o quella Regione analogo finanziamento pubblico deve scattare per tutte le altre Regioni. Il che, per capirci, vista l’abnorme differenza attuale nei diritti di cittadinanza sanitaria tra un cittadino calabrese ed uno lombardo, se si dovesse portare alle estreme conseguenze la disposizione, significherebbe cacciare sull’unghia quasi cento miliardi in un Paese dove per fare una mini sforbiciata dell’Irpef per i redditi più bassi di appena 4 miliardi è stato possibile farlo per un anno solo mentre i quasi 100 miliardi servirebbero ogni anno per sempre.

Questo emendamento che certifica in modo assoluto che non si farà mai nulla, il ministro leghista Calderoli è pronto a sottoscriverlo e votarlo pur di consentire a Salvini di vendersi in campagna elettorale la fuffa di una nuova autonomia differenziata che non ci potrà mai essere. Deve consegnargli la bandierina politica promessa mentre se si ragionasse con un minimo di serietà dovrebbe consigliargli di percorrere a ritroso il cammino fatto fino a oggi che ha prodotto il Paese europeo più diseguale e complicato dove il reddito pro capite della Lombardia è doppio di quello della Calabria.

Cammino a ritroso, peraltro, già avviato proprio dal duo Meloni-Fitto con la revisione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che si propone di rompere la cronica incapacità italiana di fare spesa pubblica produttiva, schiacciata da competenze concorrenti, e ha ottenuto riscontri lusinghieri in Europa facendo dell’Italia il primo Paese nell’incasso delle singole rate. Siamo davanti a un invalicabile muro della realtà che, per amore della verità, è stato superato solo con i livelli essenziali di prestazione per gli asili nido voluti dal governo Draghi che comportano uno stanziamento di 1,2 miliardi l’anno per sempre. Questo invalicabile muro della realtà che riguarda invece tutto – sanità, scuola, trasporti – il ministro Calderoli per le ragioni di teatro di cui sopra, fa finta di non vederlo.

Così come tutti, non solo il ministro, fanno finta di ignorare che nella sua relazione tecnica usata da ognuno per i propri comodi elettorali, Sabino Cassese sottolinea che devono essere presenti i livelli essenziali di prestazione (Lep) e che, scegliendoli, il loro finanziamento è a sua volta una scelta politica con un impatto finanziario rilevante che andrà fatta tenendo conto dei vincoli di finanza pubblica e dell’impatto sul debito. E così 140 e passa pagine di relazione tecnica diventano all’istante aria fritta. Senza contare che nel nuovo milleproroghe si rinnova per un anno la cabina di regia politica per i Lep, con dentro Meloni, Calderoli e così via, che avrebbe dovuto chiudere i suoi lavori il 31 dicembre dell’anno scorso e non si è mai riunita.

Avrebbe dovuto cominciare a scrivere quanta assistenza domiciliare, quanti insegnanti elementari, spettano pro capite a ogni cittadino, quanto bisogna tirare fuori perché il diritto del cittadino calabrese alla sanità pubblica sia parificato a quello di un cittadino lombardo perché è scritto in Costituzione e, avendo già fatto tanti guasti, non si può pensare di andare avanti come prima perché ci si mette fuori dalla Costituzione nello spirito e nella lettera. Domanda semplice semplice: siccome bisogna farlo dal 2001, questo dice la Costituzione con cui tutti si sciacquano la bocca, perché non avviene già? Perché prima servivano 60/70 miliardi e ora ne servono quasi 100 e noi non abbiamo gli occhi per piangere.

Abbiamo una previsione di crescita sotto l’1%, il debito pubblico che non scende e, nonostante un’indub – bia resilienza della nostra economia esportatrice e interna, paghiamo il conto di due guerre che si intrecciano e assomigliano ogni giorno di più alla terza guerra mondiale, l’effetto mar Rosso sui costi della nostra portualità, della logistica e delle materie prime in combinato disposto con il rallentamento globale incide non poco sui conti della nostra economia. Se si volesse parlare seriamente del tema si dovrebbe affrontare anche il nodo del Fondo generale di perequazione dove le capacità fiscali si annullano e il riequilibrio territoriale con controlli e verifiche di efficienza diventa la regola. Per queste cose molto serie e molto vere non c’è uno spazio neppure di discussione nel teatro assurdo dell’autonomia e, in genere, nel dibattito italiano della pubblica opinione. La morale della favola è che si sta raggiungendo il punto massimo del teatro politico italiano che è l’esatto opposto di ciò che richiede il quadro globale con la guerra in Medio Oriente che si allarga ogni giorno di più e quella in Ucraina che non finisce. Diciamo che nel dibattito politico e mediatico, come è noto, siamo messi male, ma che nel caso dell’autonomia siamo oltre gli standard già elevati del miserevole caos italiano. Siamo al teatro dell’assur – do.


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