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Il ministro per il Sud e per il Pnrr Raffaele Fitto e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni

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Non si può, da un lato, andare in Europa e ottenere grandi risultati su Pnrr e fondi europei recuperando una regia centrale e poteri sostitutivi rispetto al caos di Regioni e alcuni ministeri e, dall’altro, portare a compimento la frammentazione decisionale regionale con un utilizzo arbitrario dei trasferimenti pubblici pro capite non scalfibile per assenza di risorse. È la prima ragione della crisi competitiva ventennale della nostra economia e dell’unico squilibrio territoriale, di genere e generazionale sopravvissuto in Europa. Non si ripeta l’errore del federalismo fiscale all’italiana di Calderoli del 2009. Errare è umano, perseverare sarebbe diabolico.

LA COSA più sbagliata che si possa concepire è quella di trattare l’autonomia differenziata come una questione che riguarda il solo Mezzogiorno. Perché siamo davanti alla grande questione nazionale del Paese che porterebbe a compimento un disegno di frammentazione decisionale e arbitrario sull’utilizzo dei trasferimenti pubblici pro capite per i servizi essenziali che è la prima ragione della crisi competitiva ventennale della nostra economia e dell’unico, grande, squilibrio territoriale, di genere e generazionale, sopravvissuto in Europa che riguarda le inammissibili disparità dalla nascita tra cittadini delle aree metropolitane e delle aree interne, al Nord come al Sud, e ovviamente tra la popolazione di alcune regioni del Nord e quella di alcune regioni del Sud.

Siamo davanti a un paradosso assoluto. Abbiamo un governo che va in Europa, fa una rivoluzione di metodi e di contenuti nella programmazione e nell’utilizzo delle risorse comunitarie, che si sporca lodevolmente le mani con la cronica incapacità di fare spesa pubblica per investimenti avendo i capi di tutte le Regioni, con pochissime eccezioni in ambiti circostanziati, al pari di quasi tutti i ministeri, erogato poco o nulla in conto capitale e poco o molto in sprechi e clientele. Sommersi tutti, Regioni e ministeri, da una massa abnorme di duplicazioni burocratiche e decisionali senza una visione unitaria di Paese e una conseguente scala di priorità. Abbiamo, cioè, un governo che, partendo da questo sfacelo ventennale, prende un Paese al minimo di credibilità per la capacità di fare investimenti pubblici, non privati, e si prende la responsabilità di virare a favore del ritorno a una regia centralizzata con poteri speciali e sostitutivi.

Qualcosa di straordinariamente rilevante che rievoca, insomma, la stagione dei Saraceno, dei Menichella, e soprattutto dei Pescatore che attraverso la Cassa delle grandi opere, poco meno di trecento persone, quasi tutti ingegneri, i tecnici industriali dell’Imi e gli uomini del genio civile, avevano fatto dell’Italia la lepre nell’utilizzo dei fondi comunitari (copertina dell’Economist) e avevano consentito di raddoppiare il prestito Marshall trasformando in due decenni consecutivi un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata, poi in una potenza economica mondiale. Gli artefici di questo grandissimo lavoro di riorganizzazione e di revisione del Pnrr che ha portato l’Italia ad essere la prima in Europa sono stati Giorgia Meloni e il ministro da lei delegato, Raffaele Fitto, che hanno entrambi ottenuto il plauso della Commissione europea e quello personale della sua Presidente, Ursula von der Leyen.

Ecco, se questa è la situazione e si ha almeno il pudore di evitare non di cadere ma di precipitare totalmente nel senso del ridicolo, si fermi all’istante il disegno di legge dell’autonomia differenziata che la Lega vuole sventolare come bandierina nella campagna elettorale delle europee e che, sotto sotto, vogliono tutti i Capi delle Regioni più ricche di Destra e di Sinistra per avere una copertura istituzionale che consente di trattenere una parte del gettito Irpef, pagare meglio i propri insegnanti, fare corsi extracurriculari, certificare anche formalmente che il Paese è frammentato e diviso come non mai a causa di squilibri nei trasferimenti di finanza pubblica e maggiori o minori capacità di gestione a livello territoriale. Soprattutto, significa, al massimo dell’incoerenza e anche della stessa sostenibilità dialettica, neppure provare a ridurre i divari con quella regia centrale che utilizzi le risorse europee per perequare a livello infrastrutturale materiale e immateriale i territori e mettere alla prova le capacità degli amministratori regionali e dei funzionari dei ministeri. Significa dichiarare in casa e al mondo intero che quello che si è andato a raccontare in Europa sono frottole allo stato puro e che nulla cambierà, anzi potrà solo peggiorare, acuendo le diseguaglianze e i divari di produttività.

Perché, diciamocela tutta fino in fondo, un Paese che mette per iscritto nei suoi documenti di finanza pubblica che al massimo potrà stabilizzare il debito pubblico in rapporto al Pil, e per ottenere questo molto insoddisfacente risultato dovrà realizzare 20 miliardi di incassi da privatizzazione che nessuno sogna di fare neppure a occhi chiusi, come, chi, dove può trovare quei 60/70 miliardi l’anno che servono per sempre se si vuole garantire omogeneità di trasferimenti pubblici a livello pro capite per sanità, scuola e trasporti? Dove, come, chi può trovare quelle risorse indispensabili per parificare le condizioni di partenza e consentire poi che scatti l’eventuale meccanismo competitivo? Scusate, però, che Paese è quello che teorizza che vi debba essere una sanità di seria A e una di serie B a seconda se vivi in una area metropolitana o in un’area interna, al Nord come al Sud, o che non fa nulla per evitare i viaggi della speranza di chi migra dal Sud al Nord perché la sanità, oltre che essere meglio organizzata, può contare su risorse del bilancio pubblico di tutti nemmeno lontanamente comparabili con quelle che ricevono le regioni meridionali?

Non si dovrebbe piuttosto, in coerenza con quello che si è fatto con il Pnrr, tornare a un vero servizio sanitario nazionale con regole e soldi uguali per tutti ovviamente facendo scattare meccanismi di premialità o di punizione per chi fa meglio o peggio con gli stessi quattrini ricevuti in dote? Non bisognerebbe partire dal principio fondante che su sanità, scuola e trasporti, un Paese esiste e si può definire una comunità solo se è in grado comunque di garantire a tutti parità di condizioni nella salute come nella scuola? Calderoli è un ministro di lungo corso molto abile nell’utilizzo delle tecniche parlamentari, evitiamo che ripeta oggi quello che fece con la legge del federalismo fiscale all’italiana del 2009 che è stato l’escamotage con cui fare decidere tutto alla spesa storica e tagliare alla radice ogni idea di solidarietà nazionale e di sano confronto competitivo. Errare è umano, perseverare sarebbe diabolico. Soprattutto il governo perderebbe la faccia in Europa. Meloni e Fitto non lo possono consentire.


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