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Elly Schlein

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La fragilità ideologica della guida della Schlein del Pd è figlia dell’ossessione del campo largo e paga il prezzo di non avere futuro perché mostra incapacità politica astenendosi su tutto. Quando la Dc aveva il problema dell’alternanza perché il PCI preservava il suo legame con l’Unione sovietica e non poteva aspirare al governo di un Paese dell’alleanza atlantica, Moro disse: l’unica soluzione possibile è che la Dc diventi opposizione di se stessa. Le correnti lo presero in parola. Oggi il moderatismo di Tajani, che resta la posizione più lucida, e l’estremismo leghista di Salvini, che non aiuta, sono le correnti democristiane dei nostri tempi. La Schlein segua l’esempio della Meloni con la sua opposizione ragionata al governo Draghi e riavrà un ruolo per il partito e per il Paese.

Con rispetto parlando perché il confronto tra uomini, storie e partiti produce qualche brivido lungo la schiena, osando un po’ potremmo dire che rischiamo di tornare alla situazione bloccata della prima e seconda stagione democristiana. Quando la Dc aveva il problema di non potersi misurare con la sfida dell’alternanza. Per la semplice ragione che il PCI dell’epoca, vera forza di opposizione con largo seguito, preservava il suo legame storico con l’Unione sovietica e, per questo, non poteva aspirare al governo in un Paese inserito in un quadro chiaro di alleanze atlantiche. Ora, per certi versi, è paradossalmente tornato ad essere più o meno così.

Ovviamente non perché c’è una nuova alleanza sovietica di quel tipo, ma perché c’è un rapporto malato del Pd, erede lontanissimo e distante di quel partito comunista, con gli alleati predestinati del cosiddetto campo largo che sono i Cinque Stelle. I quali giocano spregiudicatamente in politica estera la carta di un finto neutralismo putiniano e, in politica interna, neppure di fronte a un dramma come quello dell’Ilva di Taranto, che mette in ginocchio una regione e fa arretrare l’intero Mezzogiorno, rinunciano ai giochetti demagogici di un ambientalismo da “de – clino felice”. Di fatto bloccano o condizionano il Pd e lasciano tutta la scena al ministro Urso della Destra al governo. Che chiama i predatori esteri a fare i conti con le loro responsabilità, legittimamente inchioda il ministro Patuanelli del Conte2 perché gli chiede conto della firma di quell’accordo con ArcelorMittal che nessuno avrebbe mai potuto sottoscrivere, e annuncia con forza che è ormai tempo di porre in campo un intervento drastico.

Ai tempi della Democrazia Cristiana, sui problemi di governo derivanti dall’assenza di un’alternanza, Moro arrivò provocatoriamente a dire che l’unica soluzione possibile è che “la Dc diventi opposizione di se stessa” e le correnti democristiane a modo loro un po’ lo presero in parola. Oggi il moderatismo di Tajani, che resta la posizione più lucida e solida nello schieramento di destra-centro al governo, e l’estremismo leghista di Salvini, che non aiuta, sono le correnti democristiane dei nostri tempi. Sempre oggi, però, il problema più rilevante riguarda proprio le opposizioni reali sul capitolo delicatissimo della politica estera in una lunga stagione segnata da grandi crisi internazionali e due guerre ormai globali.

È così visto che ci tocca di registrare che alla fine il centro destra riesce a raccattare una certa unità che permette di fare politica internazionale sull’Ucraina pur tra mille distorsioni e finzioni, mentre nelle opposizioni a sinistra alla voce Pd sono terrorizzati dalla paura di perdere consenso rispetto ai Cinque stelle e questo impedisce di avere una politica internazionale riconoscibile non ondeggiante e, di conseguenza, impedisce di costruire un’immagine di partito di governo.

Non è ancora completato, purtroppo, il riassetto del quadro politico italiano. La seconda Repubblica è finita per due ragioni. La prima perché il berlusconismo, che ha rappresentato una stagione di moderatismo di governo e di ascolto, è venuto meno perché non ha posto le condizioni per lo sganciamento del suo disegno politico dalla sua vicenda personale e dal suo carico di conflitti di interessi. Tutto ciò ha ristretto la capacità di governare il sentimento comune che aveva raccolto intorno a sé e lo ha trasferito in larga parte alla Meloni che anche qui ha fatto più o meno quello che fece la Democrazia Cristiana con le componenti del liberalismo.

La seconda ragione riguarda quell’universo confuso di eredi del PCI, dai Ds fino alla Margherita, a sua volta erede di popolari e cattolici di sinistra, che è di fatto imploso. Una storia politica che è finita, tra evoluzioni, defezioni e contorsioni varie, nel Pd di oggi. Il quale esprime, purtroppo, un dato politico che mette sempre più in evidenza la fragilità tutta ideologica della guida della Schlein che si muove con l’ossessione del campo largo che la condiziona e le fa pagare il prezzo di non avere più un futuro. Perché non si può avere un futuro se fai una politica puramente di slogan. Perché viene fuori, di fatto, un discorso di incapacità politica in cui la sua leadership si esercita astenendosi su tutto. Sui Cinque Stelle, sul governo, sull’Ucraina e così via. Per cui alla fine il risultato è la dimostrazione pubblica di una incapacità di decidere.

Se vuoi fare opposizione e costruire un’alternativa vera di governo, ci vogliono anni e devi avere molta pazienza perché non si va al governo facendo i miracoli. Se uno ci riflette un po’ si accorge che la Destra a guida Meloni ha costruito il proprio allargamento ponendosi proprio come alternativa di governo. Perché sotto il clamore delle parole e di alcune punte estreme, la leader dei Fratelli di Italia ha fatto una politica di opposizione ragionata al governo Draghi dimostrando che la sua opposizione non era opposizione alle scelte sensate di quel governo di unità nazionale, soprattutto in politica estera. Rifletta proprio su questo punto Elly Schlein perché è questo il cammino da percorrere per lo spazio di legislatura che ha davanti e potrà essere più o meno lungo, ma lei dovrà sempre esprimere una linea politica del partito che unisce alla responsabilità internazionale quella interna. Oggi le carte sono in mano alla Meloni, ma se si vogliono sfruttare le insidie che percorrono la sua maggioranza e la debolezza della sua squadra, bisogna offrire un’alternativa credibile che aggreghi consensi e restituisca al Paese un’altra opportunità di governo. Il resto è solo confusione.


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