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Hanno un valore reale se vengono combattute per fare affermare questo principio fondante, non per calcoli di consenso in chiave di politica interna. Perché la battaglia in Parlamento contro la regola automatica che danneggia noi e l’Europa può essere ancora combattuta e non bisogna lasciare nulla di intentato. In questa partita del nuovo Patto dovevamo essere dentro il nocciolo duro franco-tedesco dall’inizio, non ondeggiare restando fuori. Le elezioni europee contano se sono accompagnate da un programma e alleanze coerenti con questo progetto politico di un interesse superiore europeo comune. Altrimenti si può vincere in casa, e fare festa, ma poi dove si decide davvero si ripete il copione di prima. Che è quello che noi contiamo poco e l’Europa non esiste.

Se c’è un evento esterno che fa cadere il prodotto interno lordo di un Paese e determina la diminuzione delle entrate fiscali, il vecchio Patto europeo di Maastricht ti imponeva in modo miope di contrarre il deficit. Ciò faceva calare ulteriormente il prodotto e, di conseguenza, lo spread riprendeva a salire aumentando gli oneri della spesa per interessi. Di fatto si creavano le condizioni per un’azione pro-ciclica che vuol dire peggiorare la malattia o, se volete, togliere l’acqua a chi ha più sete, debilitare invece che curare un corpo già malato o comunque indebolito dalla crisi esterna che si aggiunge ai suoi problemi.

Questo era il principio base da rompere con il nuovo Patto europeo di stabilità e crescita. Quello della zoppìa per lo squilibrio delle due gambe che Ciampi non si stancò mai di denunciare. Quello che Prodi con una battuta fulminante definì semplicemente stupido in tempi non sospetti. La proposta della Commissione europea affrontava questo problema e l’aggiustamento di bilancio veniva correttamente diffuso su più anni.

Si decideva di porre una condizione di fiducia a favore dei Paesi che maggiormente risentono della crisi esterna, l’Italia è tra questi a causa del suo maxidebito pubblico, per cui la stretta monetaria prociclica, quella che aggrava invece di risolvere i problemi, poteva non avvenire perché si era deciso in modo lungimirante di tutelare questa discrezionalità. È stata invece reintrodotta, su pressione della Germania in piena crisi economica e quindi determinata a vendere politicamente ai suoi elettori il trofeo della gabbia per gli spendaccioni italiani, proprio quella regola automatica che si voleva eliminare per dare spazio a percorsi di finanza pubblica e di crescita su misura delle singole condizioni di ogni Paese tenendo conto discrezionalmente di ciò che era più utile all’interesse comune della crescita europea.

La regola automatica reintrodotta all’ultimo momento, con il solito salto della quaglia francese e il sostegno altrettanto miope della corona tedesca composta dai Paesi del Nord e dell’Est Europa, è quella per cui se hai un debito più alto devi scendere di un po’ a prescindere da qualunque causa esterna che determina una crisi indipendentemente dalle tue responsabilità. Non è molto, ma lo devi fare. Non è molto, ma lo devi fare per il debito come per il deficit sempre parametrati in rapporto al prodotto interno lordo. Si torna, dunque, alla regola ottusa di prima e ha un bel dire in sostanza Giorgia Meloni che, essendo venuta meno la ricerca di un interesse comune superiore, l’Italia si è adattata alla regola delle negoziazioni nazionali e ha trattato e ottenuto perché le regole entrassero in vigore un po’ più in là e ci fosse la deroga per un certo tipo di spesa pubblica per investimenti.

Ha un bel dire e, aggiungiamo noi, ancora molto da fare perché questo Patto non aiuta l’Europa e fa molto male a noi. Le elezioni europee hanno un valore reale se vengono combattute per fare affermare questo principio fondante, non per calcoli di consenso in chiave di politica interna. Perché la battaglia di principi in Parlamento può essere ancora combattuta e, anche se si parte in salita, su questo terreno non bisogna lasciare nulla di intentato. Non si può ripetere l’errore che si è già commesso la prima volta quando si è voluto fare finta che i noccioli duri in Europa non esistono e si è rimasti a bordo campo e la partita non si è neppure giocata. Invece no, il nocciolo duro franco-tedesco è sempre esistito e solo l’Italia ha potuto dire la sua, ovviamente non sempre, all’interno di quel nocciolo duro perché è il terzo Paese fondatore oltre che la terza economia europea.

La partita del nuovo Patto andava combattuta lì dentro dall’inizio, non ondeggiare restando fuori e facendo balenare alleanze diverse. Le elezioni europee contano politicamente se sono accompagnate da questo programma di azione e dalla scelta di alleanze coerenti con questo progetto di un interesse superiore europeo comune. Altrimenti si può anche vincere in casa, e fare festa, ma poi dove si decide davvero si ripeterà il copione di prima. Che è quello che noi contiamo poco e l’Europa non esiste.


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