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Ha fatto lo sforzo di definire la proposta ed è per questo che noi da tempo abbiamo visto, proprio sul piano della elaborazione di contenuto, di visione e di pragmatismo, in Mario Draghi il nuovo Delors. Fatto che nulla ha a che vedere con le balle su questo o quell’incarico europeo per il quale non nutre alcun interesse, ma molto invece sì sul carisma che gli appartiene per le cose fatte e sulla sintonia oggi più attuale di allora perché l’Europa raccolga il testimone di ideali e di progetto politico della proposta del Libro Bianco di Delors del ’93. Che ha nelle idee e nei contenuti più volte espressi da Draghi in tutte le sue prese di posizione e nei propri esercizi di responsabilità una prosecuzione della politica con la P maiuscola. Appartiene ai grandi statisti che non hanno bisogno di postazioni di potere per tracciare e indicare a tutti la rotta da seguire con urgenza.

Jacques Delors, il cattolico di formazione e socialista di adozione che ha fatto la storia dell’Europa della moneta e del mercato unico, se ne è andato a 98 anni portandosi con sé il grande progetto politico dell’Europa della crescita, della competitività e dell’occupazione, che l’egoismo miope degli eredi tedeschi minori di Helmut Kohl non gli hanno consentito di attuare. La straordinaria attualità della sua azione come presidente della Commissione europea per dieci anni e, ancora di più, l’eredità di idee e contenuti messi per iscritto a dicembre del ’93 nel Libro Bianco che appartiene alle intuizioni della grande politica, costituiscono insieme praticamente intatta l’agenda politica e comportamentale della nuova Europa che trent’anni dopo deve ancora arrivare.

Stiamo parlando di quel pilastro sociale del patto di stabilità e crescita di Maastricht che non è mai stato implementato rimanendo avviluppati dentro una zoppìa storica che ha sempre indebolito la gamba della crescita donando tutte le cure alla gamba della stabilità che si è rivelata una fragile instabilità. Ha reso più di un servigio agli interessi di corto respiro dell’ex locomotiva tedesca e dei Paesi a Nord e a Est della sua corona, ma non ha mai superato l’esame della storia che avrebbe dovuto consentire all’Europa di diventare il terzo grande player globale alla pari con Stati Uniti e Cina.

Diciamo le cose come stanno. Il vero patto di stabilità e crescita europeo non è mai stato fatto e il Libro Bianco di Delors del dicembre del ’93 arriva nella fase finale del decennio (‘85/’95) di sua storica presidenza della Commissione europea e rappresenta ancora oggi l’esempio più compiuto di quello che si dovrebbe fare se si volesse mettere al centro della agenda per davvero crescita, competitività e occupazione. La tensione politica che pervade quel testo che si dipana con il rigore dell’intelligenza dell’economista e di un europeismo artigianale che sapeva guardare lontano stride anche sul piano culturale con le complicazioni tedesche e quelle collaterali del blocco di piccoli, miopi, interessi che ruota intorno all’unico Paese europeo in recessione, ma non per questo capace né di autocritica né di ravvedimento operoso dentro un quadro geopolitico stravolto da due guerre e da un ribaltamento strategico che colloca alla marginalità l’asse Est-Ovet a favore di quello Nord-Sud.

L’ultima grande iniziativa di Delors paga il conto di una presidenza della Commissione, quella del lussemburghese Santer, che non coglie il valore strategico della proposta, si dimette prima della fine del mandato naturale, e costringe a cercare una soluzione politica all’altezza dei Grandi della storia europea che verrà trovata nella scelta di Romano Prodi che onorerà con la sua azione e con il suo pensiero la grande lezione di Delors. Non è un caso che proprio il Professore sia stato il primo a bollare come stupido il patto di Maastricht e non abbia risparmiato critiche alle complicazioni tedesche fuori dalla storia del nuovo Patto di qualche settimana fa che marchiano una cesura incolmabile tra l’Europa dei compromessi di oggi che portano alla sua morte e il grande sogno di un’Europa che fa politica industriale comune, debito comune, difesa comune, politica estera comune, e si inserisce nel solco dei grandi padri che sono Delors e Helmut Kohl non la Merkel e il suo super falco rigorista Schäuble deceduto anche lui nello stesso giorno di Delors.

L’Europa della grande politica a cui pensa Prodi è quella di chi ha guidato il passaggio chiave che ha portato al processo d’integrazione che fa seguito alla lunga stagione della guerra fredda e alla nuova prospettiva europea integrando la Germania unita e avendo sempre una visione. Questa Europa dei Delors, dei Kohl, dei Prodi e dei Ciampi, ha avuto in Mario Draghi il solo erede che ha addirittura ulteriormente alzato il tono della sfida guidando il governo della moneta unica, che è figlia di quella stagione, mettendola in salvo con scelte che lo hanno fatto passare alla storia e con un progetto politico di un’Europa federale che ricalchi finalmente il modello degli Stati Uniti e metta nelle mani degli europei una dimensione e una qualità di strumenti all’altezza di sfide epocali come quelle dell’intelligenza artificiale, della nuova industria globale e della transizione ambientale, della demografia e delle emigrazioni, degli oligarchi e della democrazia, che non possono certo dare né l’Europa delle nazioni o, peggio, dei sovranismi né questo multilateralismo indebolito dalla frammentazione dell’Occidente e dall’avanzata delle autocrazie.

Ne serve un altro di multilateralismo con regole nuove e il suo terzo grande player che è appunto la Nuova Europa in cabina di regia. Il caso vuole che tocchi oggi proprio a Draghi dare un contributo all’Europa con un progetto organico che riprenda il discorso da dove lo aveva lasciato Delors. Che è stato il padre dell’Europa moderna, l’uomo che aveva chiuso la stagione della moneta e del mercato unico, ma che aveva voluto ostinatamente battere su quella grande proposta che mancava e ancora manca a trent’anni esatti su crescita e competitività. Non si era limitato Delors a battere politicamente sul punto con le armi della persuasione combinando sempre idealismo e concretezza, ma aveva fatto anche lo sforzo di definire compiutamente la proposta ed è per questo che noi da tempo abbiamo visto, proprio sul piano della elaborazione di contenuto, di visione e di pragmatismo, in Mario Draghi il nuovo Delors.

Fatto che nulla ha a che vedere con le balle su questo o quell’incarico europeo per il quale non nutre alcun interesse, ma molto invece sì sul carisma che gli appartiene per le cose già fatte e sulla sintonia ideale che è oggi più attuale di allora perché oggi come allora questa proposta la Germania ha voluto lasciarla chiusa nei cassetti. Il grande progetto di Delors non ha avuto attuazione perché la Germania di allora per calcoli miopi nazionalisti non ha mai voluto prendere in mano il dossier e anche perché ci si è voluto innescare sopra il turbo allargamento a dieci Paesi nuovi che ha cambiato per forza le priorità. Ci si è dovuti giocoforza concentrare sul nuovo baricentro che si è spostato tutto a Est con Paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca che avevano bisogno di grandi fondi europei e di una revisione della politica agricola comune.

Tutto ciò ha determinato il dumping sociale, le delocalizzazioni e ha finito per mandare all’aria anche l’unico serio tentativo di riforma delle istituzioni con la bocciatura del trattato costituzionale europeo del 2005. Oggi lo storico allargamento all’Ucraina, assolutamente necessario, è altrettanto evidente che avrà riflessi nei già delicati equilibri delle istituzioni europee anche se questa volta la sua ricostruzione sarà di sicuro un grande volano di investimenti comuni.

Oggi, soprattutto, però, è arrivato il momento di raccogliere il testimone di ideali e di progetto politico della proposta del Libro Bianco di Delors del ’93 che ha nelle idee e nei contenuti più volte espressi da Draghi in tutte le sue prese di posizioni e nei propri esercizi di responsabilità una prosecuzione della politica con la P maiuscola che è quella che appartiene ai grandi statisti che non hanno neppure bisogno di postazioni di potere per tracciare e indicare a tutti la rotta da seguire. Che, soprattutto, hanno il carisma e la forza della personalità e del metodo di lavoro per capire l’urgenza di fare oggi propri quei contenuti. Soprattutto ora, insistiamo, che le miopie continuano a prevalere come si è visto con il fatto che, ancora una vota, si è voluto mettere sopra il nuovo Patto, frutto del buon lavoro della Commissione europea, tutte le solite complicazioni tedesche e quelle collaterali della lunga catena di Paesi loro satelliti con una Francia ondeggiante, ma di certo non all’altezza del testamento europeista morale, economico e politico del grande Delors. A trent’anni di distanza, quelle intuizioni e quelle idee aspettano ancora di diventare realtà.

Dentro il Libro Bianco di Delors c’è, ad esempio, un grande piano per affrontare il tema della disoccupazione europea con risposte esclusivamente europee ed è drammatico constatare che questo tema così decisivo mai fino a oggi è stato affrontato a livello europeo. È colpa della Germania certo, ma è ovvio che c’è stata una collusione generalizzata a partire dalla Francia che pur di tenersi attaccata su tutto la Germania, che vuol dire attaccata alla tutela degli interessi francesi, non ha mai voluto cambiare davvero rotta secondo i principi cruciali dell’interesse comune europeo che rappresenta il meglio per tutti e senza il quale c’è solo la dissoluzione.

Per trent’anni la Germania si è opposta a qualsiasi politica industriale europea per concepire e perseguire una sua alternativa di alleanza russa sull’energia e cinese sull’industria, portandosi soprattutto sull’energia sempre dietro i francesi, ma ritrovandosi oggi con mani e piedi legati perché i calcoli di predominanza nazionalista si sono rivelati sbagliati. Si è trattato di una scelta miope che oggi danneggia la Germania, danneggia noi Italia, e danneggia tutti i partner europei. Tutto questo avviene proprio nel momento in cui l’Europa avrebbe bisogno di un “Inflation Reduction Act” (IRA) di dimensioni analoghe a quello americano per potere competere alla pari, da gigante a gigante, con gli Stati Uniti. Con questo mix della Germania, da un lato, di pacifismo e, dall’altro, di atlantismo fine a se stesso non abbiamo mai fatto una difesa europea e anche ora che si è inventata cento miliardi di investimenti per rinnovare le sue forze armate non li ha nemmeno investiti.

Essere partito con il green deel, l’eolico, il fotovoltaico e così via sventolando tutte queste giuste scelte, e altre ancora, come bandiere ideologiche senza aver avuto nei trent’anni precedenti una politica energetica comune europea, fa sì che oggi ci riempiamo la bocca di parole e slogan vuoti senza mai pensare seriamente alle ricadute sociali che questo vocabolario ideologico produce. Anche questo è frutto dell’egoismo energetico tedesco e della miopia che li accomuna ai francesi. Per cui, tanto per capirci, mentre si facevano gli accordi di Minsk per il cessate il fuoco nel Donbass, loro – tedeschi e francesi al seguito tenendo sempre fuori l’Italia – andavano ancora avanti con Nord Stream 2.

Non era servito a frenarli neppure il campanello d’allarme dell’invasione mercenaria di Putin della Crimea (2014) che si ripeteva dopo quella della Georgia (2008). Si è dovuti arrivare al febbraio del 2022 con l’invasione dell’Ucraina fatta proprio con l’esercito ufficiale per svegliarsi dal lungo sonno interessato. Troppo tardi, anche perché la Merkel che sapeva tutto avrebbe potuto almeno avvisare i suoi alleati europei. Nessuna debolezza di leadership politica tedesca, come è quella oggi di Olaf Scholz e della sua coalizione di governo, e tanto meno nessuna crisi strutturale evidentissima della economia tedesca può giustificare l’accanimento terapeutico sul nuovo Patto che, di gabbia in gabbia, di compromesso in compromesso, porta questa volta davvero l’Europa alla morte.

Urge un nuovo Delors, ma ancora prima una squadra all’altezza che sappia tradurre in atti che incidono sulle cose il patrimonio di idee e di pragmatismo operativo che solo un nuovo Delors è in grado di possedere. Speriamo che sia la volta buona. Anche perché, fallita questa occasione, la delicatezza della situazione internazionale non consentirebbe prove di appello.


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