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Il ministro per l'Economia Giancarlo Giorgetti con la premier Giorgia Meloni

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Il racconto catastrofista sull’economia smentito da un surplus con l’estero che viaggia verso i 110 miliardi nel 2023. È evidente che la manifattura italiana risentirà nel 2024 della caduta della domanda tedesca e cinese, ma il Pnrr è partito: investimenti digitali e produttivi, cantieri finalmente aperti, daranno il loro contributo. Come surplus siamo sul podio dopo Cina e Germania nei due terzi del commercio e per export abbiamo quasi raggiunto il Giappone. Il nuovo “patto tedesco” fa male all’Europa e a noi, ma allontana la girata delle chiavi della gabbia e ci deve spingere a essere meno pessimisti sull’economia per il 2024 e a fare autocritica sulla nostra debolezza politica nell’arte della trattativa europea.

LA CRESCITA acquisita dei consumi nell’anno è dell’1,6% e, per questo, non deve stupire che a dicembre faccia un altro balzo in avanti, salendo da 103,6 a 106,7, l’indice di fiducia dei consumatori. La realtà è questa nonostante il racconto catastrofista italiano sull’economia imperi mentre altri tasti deboli che riguardano la politica non vengono toccati in misura adeguata. Perché manca un dibattito della pubblica opinione ancorato ai fatti che costringerebbe a bandire la demagogia e a mettere a frutto le risorse comuni di resilienza della nostra economia che aiuterebbero tutti a stare meglio e a fare di più. Siamo anche il Paese con il tasso tendenziale di inflazione più basso tra le grandi economie europee e quelle del G7, ma anche questo è un elemento che non fa notizia nonostante la fiducia dei consumatori in crescita ne testimonia gli effetti che produce.

Quello che sorprende di più è la crescita sempre a dicembre dell’indicatore composito del clima di fiducia delle imprese che sale da 103,5 a 107,2. Qui bisogna segnalare che le intensità sono differenziate: ci sono un marcato aumento nei servizi di mercato (si passa da 96,7 a 106,4) e un aumento più contenuto nelle costruzioni e nel commercio al dettaglio, ma paradossalmente il dato relativamente più sorprendente riguarda proprio dove c’è un peggioramento (da 96,6 a 95,4) e, cioè, la manifattura perché il calo è così contenuto da potere dire che l’Italia tiene nel pieno di una vera e propria tempesta mondiale. La lievissima caduta italiana di fiducia dipende da una domanda globale bassissima determinata da una caduta verticale di tutti gli ordini della Germania e dei Paesi del Nord e dalla fermata dell’edilizia in tutti i Paesi del mondo a causa dell’inflazione che è stata altissima e resta altrove più alta che da noi. Anche i Paesi emergenti sono messi male, la Cina non riparte e perfino gli Stati Uniti rallentano.

La mini caduta della fiducia manifatturiera italiana non dipende da una nostra perdita di competitività, come ripete una vulgata tanto ossessiva quanto fuori misura, ma dal fatto che non riusciamo a metterla completamente a terra a causa di un mercato internazionale fiacchissimo. D’altro canto, anche il fatturato industriale sia pure di poco continua a crescere, in termini congiunturali, con i dati di consuntivo a ottobre dove spicca ancora una volta il sostenuto aumento del fatturato estero (+1,6%). La verità che nessuno racconta, mi domando perché, è che nei primi nove mesi dell’anno l’Italia ha quasi raggiunto il Giappone nelle esportazioni fermandosi a 505 miliardi di dollari contro i loro 530 superando nettamente la Corea del Sud. Sono risultati mai visti prima.

In termini strutturali, con gli ultimi dati omogenei tra Paesi disponibili, World Trade Organization (WTO) 2021, se togliamo energia, automotive e telefoni cellulari, in tutto il commercio mondiale che sono i restanti due terzi l’Italia è sempre sul podio, come surplus con l’estero, dopo Cina e Germania. Seguono in quarta e quinta posizione Brasile e Sud Africa che, a nostra differenza, sono carichi di materie prime. Per capirci, noi il surplus lo facciamo solo con prodotti trasformati, con la competitività delle nostre imprese, dei nostri lavoratori, dei nostri prodotti. Siamo arrivati quasi a un surplus commerciale con l’estero di 95 miliardi di euro da gennaio a ottobre 2023 che vuole dire una proiezione di 110 miliardi a fine anno. È evidente che la manifattura italiana nei primi mesi dell’anno prossimo non potrà non risentire dello shock mondiale e, in particolare, della caduta della domanda tedesca e cinese, ma è anche vero che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza è ormai partito per davvero: investimenti digitali e produttivi, cantieri finalmente aperti, daranno il loro contributo. La nostra crisi non è strutturale come quella tedesca che fa i conti con lo shock russo per il gas e quello cinese per materie prime del futuro e commercio mondiale. È uno shock di lungo termine a cui la Germania non sa come fare fronte perché non ha il nostro dinamismo dimensionale e qualitativo sul piano manifatturiero.

Il nuovo “patto tedesco” di stabilità e crescita fa molto male all’Europa e a noi, ma l’unica cosa che noi e gli altri abbiamo portato a casa è la possibilità di spostare un po’ più in là la girata delle chiavi della gabbia e questo ci dovrebbe, da un lato, spingere a essere meno pessimisti sull’economia di questo Paese per il 2024 e, dall’altro, imporci una seria riflessione autocritica pubblica sulla nostra incapacità di fare squadra in Europa e, soprattutto, su una debolezza politica costitutiva che riguarda l’abilità di essere soggetti attivi, non passivi.

Avremmo dovuto lanciare noi come Paese una nostra proposta di Patto irrealizzabile per gli altri ponendo, ad esempio, come criterio cardine il bilancio primario, che facciamo solo noi e i tedeschi, ma nella fase iniziale i nostri dormono mentre tedeschi e francesi no. Per cui poi ti trovi sul tavolo la proposta tedesca che ti toglie in modo miope l’aria e devi combattere per conservare il diritto a respirare. Ovviamente facendo comunque il male nostro e loro in una logica di medio termine. La verità è che loro conoscono l’arte della trattativa europea e noi invece no. Ci piace giocare con le parole, ma di fatto dormiamo mentre gli altri operano e ci mettono davanti al fatto compiuto. Questa è la dura realtà che ci dovrebbe almeno impedire di aggiungere al conto ingiusto che dobbiamo già pagare anche quello del catastrofismo che nessuno ci ha chiesto di onorare. Anzi, tutti dovrebbero chiederci di fare l’esatto contrario e di fare correre la fiducia e le buone aspettative su dati che sono veri e frutto di un grande lavoro. Non ci sarà né tempo né spazio perché tutti saranno occupati a parlare di manovra con il consueto cliché della cattiva politica.


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