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Giorgia Meloni

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È il tono che fa la musica, la gente è con lei perché non è più quella di prima. Non aiuta autorivendicare il prestigio internazionale dell’Italia, perché è vero che sul Pnrr siamo i primi in Europa e ci davano per spacciati e che l’intuizione sull’Africa si intreccia con quella visione, ma serve un’ottica europea e siamo in corso d’opera. Come sul nuovo Patto. Bisogna costruire le basi per ottenere risultati di lungo termine ed è sbagliato mettere Orban sullo stesso piano di Scholz. Perché il primo rompe l’unità euro-atlantica che è una cosa molto diversa dal dissenso sacrosanto rispetto allo strabismo tedesco su finanza pubblica e investimenti.

Avere la pazienza del costruttore, questa è oggi la principale virtù che deve dimostrare di possedere Giorgia Meloni nell’esercizio della sua attività di governo. Basta elencare successi o, meglio, assolutamente giusto rivendicare i risultati raggiunti sul Pnrr contro tutto e tutti e l’intuizione strategica di scommettere con l’Africa in una prospettiva non predatoria, anche perché non c’era nulla di scontato, ma ora dimostri la consapevolezza che non si tratta mai di traguardi finali bensì di passi compiuti su una strada che ha ancora un lungo tratto da percorrere. Acquisisca in modo non più scalfibile da niente e nessuno una postura di confronto sempre dialogante con tutti in casa e in Europa. De Gasperi, in un momento post guerra diverso da quello di oggi ma per noi altrettanto complicato, diceva che bisognava avere il passo del montanaro che è lento ma riesce a reggere tratti molto lunghi.

Giorgia Meloni ha una storia legata più alle aree urbane che alle montagne, si ricordi allora di non smarrire mai la pazienza dei costruttori. Perché nessun palazzo viene costruito in una notte e quella pazienza è la sola arma che consente di evitare equivoci e cortocircuiti che finiscono con il fare apparire ciò che non è, ma fanno danno comunque. Perché il tranello mediatico- politico non la abbandonerà mai ogni giorno di governo e, se abbocca, finisce in un cortocircuito che non la aiuta: riguarda la solidità della figura di Draghi per quello che rappresenta nel mondo da grande italiano e salvatore dell’euro, la lealtà nel rapporto che ha segnato il passaggio di consegne a Palazzo Chigi, e la posizione euroatlantica come patrimonio da custodire.

Giorgia Meloni non deve dare mai neppure per un attimo anche la sola sensazione di rientrare nel suo cerchio magico di partito sia a livello politico parlamentare che a livello sociale. Non può fare emergere quella che appare agli occhi di tutti come una debolezza. Che scatta quando, tirata in ballo, sente il dovere di prendere una posizione e mena fendenti a destra e a sinistra. Non è questa la postura che deve prendere il presidente del consiglio. Che, viceversa, ha ora il dovere di entrare pienamente nella fase due che è l’esatto opposto di quello che era stata abituata a fare per anni. Perché oggi guida un partito di governo del 30% che non può più essere quella cosa lì altrimenti commette lo stesso errore di Salvini che è decollato e poi precipitato o quello che ha commesso più volte il Pd a partire da Renzi che da allora sembra avere capito la lezione.

È il tono che fa la musica, ma è proprio quella per cui si è affermata quando la gente ha pensato che non era più la Meloni di prima. Sui temi europei, peraltro, visto che la situazione è in fortissima evoluzione, meno ci si avventura meglio è. L’Europa è una sede di negoziato e sono tutti lì per negoziare e anche lei lo sta facendo, come si evince dalle sue parole in Parlamento, ma anche quando stai facendo un negoziato devi avere in mente dove andrai a parare. È giusto invocare un gigante politico invece di un gigante burocratico ma se si vuole andare oltre ed entrare davvero in un’altra fase, bisogna avere la consapevolezza che tutto ciò richiede un lavoro lungo fatto di connessione di forze diverse. Non si ottiene nulla sbattendo il pugno sul tavolo e l’opera che si porta a casa non sarà mai l’opera di una sola parte.

È vero che c’è stato chi ha tifato che il governo Meloni fallisse sul Pnrr andando contro l’interesse nazionale, ma è altrettanto vero che un po’ per fortuna e molto per abilità, grazie al grande lavoro di Fitto e alla intuizione strategica della premier, si è riusciti a uscire da questa maledizione. Ora Giorgia Meloni ha bisogno di costruire le basi per potere andare avanti ancora soprattutto sul nuovo patto di stabilità e crescita e non aiuta, a questo proposito, mettere Orban sullo stesso piano di Scholz in termini di dissenso su questo o quel dossier. Perché il primo rompe l’unità euro- atlantica in politica estera e la collocazione euro-atlantica del governo Meloni non solo è nettissima, ma è anche una cosa molto diversa dal dissenso sacrosanto rispetto allo strabismo tedesco sui parametri di finanza pubblica e i freni miopi agli investimenti per la crescita europea. Continuare sulla strada della fermezza sull’Ucraina e su una posizione realistica su Israele, come peraltro fa con chiarezza lo stesso Biden, sono due passaggi obbligati.

Questa linea è quella giusta. Non si concilia tanto con la pazienza del costruttore autorivendicare il rinnovato prestigio internazionale dell’Italia, perché è vero che sul Pnrr siamo i primi in Europa e tutti ci davano per spacciati ed è vero che l’intuizione del rapporto con l’Africa è un punto strategico che si intreccia con la visione del Pnrr, ma anche qui il discorso va affrontato in un’ottica più europea e siamo al corso d’opera. Come siamo al corso d’opera sul nuovo patto europeo di stabilità e crescita e su mille altre questioni. Dobbiamo ottenere nuovi risultati e, per conseguirli, dobbiamo dimostrare con i fatti di avere capito che essere centrali significa essere uno dei motori della costruzione comune della nuova Europa. Su questo la storia darà il suo giudizio finale e la strada da percorrere è ancora lunga e densa di insidie.


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