Giorgia Meloni
3 minuti per la letturaSe fa suo questo meccanismo ne esce più forte assicurando al Paese una prospettiva di governabilità e fa la riforma condivisa da gran parte dei partiti e della società. Evita di impelagarsi in una battaglia di propagande che non porta risultati e la indebolisce sul fronte internazionale. Non si tratta di fare passi indietro, ma di rivendicare la responsabilità di una politica che risponde all’interesse collettivo del suo Paese e le fa fare quello dove tutti hanno fallito. Questa è la strada con quale conquista un posto da statista e può contribuire a guidare il cambiamento in un’Europa chiamata a prove che possono segnare la sua scomparsa o la rinascita come grande player globale rispettoso delle autonomie nazionali.
La grande scommessa di Giorgia Meloni è quella di sottrarsi alle sirene interne che riecheggiano gli estremismi vittoriosi del populismo di destra olandese o la spingono verso il richiamo dei nazionalismi dell’Est e delle Destre antieuro che non sono mai spariti dalle grandi democrazie europee, a partire da quella francese. I giochetti quotidiani della Lega e di frange più o meno coperte dei Fratelli d’Italia sono molto pericolosi. Abbiamo già detto più volte che solo una postura internazionale molto netta e un metodo di lavoro come quello seguito nella questione strategica del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) possono garantire un ruolo effettivo dell’Italia nella definizione delle nuove regole europee.
Paradossalmente questa partita può essere addirittura la più facile per le diffuse debolezze politiche dei partner europei, anche di quelli più rilevanti ovviamente a patto che la stabilità politica italiana sia espressione non solo di una maggioranza di governo coesa, ma di un Paese che si riunisce in tutte le sue componenti quando deve affrontare le sfide che toccano i punti nevralgici dell’interesse nazionale.
Dove invece Giorgia Meloni rischia di più è sul fronte interno nella partita della riforma istituzionale che è di certo la prima delle riforme economiche di cui ha bisogno questo Paese con una visione di lungo termine, ma nella quale giorno dopo giorno si sta infilando in uno stupidissimo vicolo cieco. Perché si è messa in testa un progetto che non sta in piedi e dà armi ai suoi avversari per alimentare il solito polverone e buttare tutto dentro una sterile polemica tra chi vuole difendere la Costituzione e chi vuole buttarla giù per rafforzare fintamente la presidenza del consiglio impedendole di aggregare consensi e di uscire dall’isolamento. Se accettasse di fare suo e rilanciare il meccanismo del cancellierato tedesco ne uscirebbe molto più forte assicurando al Paese una prospettiva concreta di governabilità.
Soprattutto conquisterebbe sul campo i ranghi di una statista che fa la riforma condivisa da tutti o almeno da gran parte dei partiti e della società. Riuscirebbe ad ottenere senza strappi una legge con la quale il Presidente della Repubblica non potrebbe non dare l’incarico a chi ha ricevuto più voti e bloccherebbe la strada dei ribaltoni con il meccanismo della sfiducia costruttiva e il potere di mandare a casa i ministri quando lo si ritiene necessario. Rischia invece di impelagarsi in una battaglia sul nulla che può servire a fare un po’ di propaganda, ma non porta risultati e la indebolisce sul fronte internazionale.
Ovviamente non si tratta di fare passi indietro o di compiere scelte che vengono vissute come tali, ma di rivendicare la lungimiranza e la responsabilità di una politica che risponde all’interesse collettivo del suo Paese e le fa fare quello dove tutti hanno fallito. Questa è la strada con la quale si conquista un posto da statista e si può contribuire a guidare il cambiamento in un’Europa chiamata a prove che possono segnare la sua definitiva scomparsa o la rinascita come grande player globale rispettosa delle autonomie nazionali ma finalmente capace di fare investimenti, ricerca, politica economica, estera e difesa come un soggetto unico che pesa sullo scacchiere mondiale.
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