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Il confronto a Porta a Porta tra il direttore Roberto Napoletano e Roberto Calderoli

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Parafrasando Totò, ogni limite ha una pazienza. O, se volete, una decenza. Non è ammissibile che il ministro della Lega, Roberto Calderoli, si permetta di dire che viene prima l’autonomia, poi i diritti e i servizi. Non perdiamo tempo con le bandierine elettorali leghiste, ma avvisiamo tutti che se fossero propositi reali saremmo di fronte all’unico caso in cui i vantaggi della stabilità di governo diventano i rischi capitali della stabilità. Bisogna che il governo Meloni capisca che sulla coesione rischia la sopravvivenza e non saranno tollerati passi azzardati

Questo giornale è uscito in edicola il suo primo giorno con un’inchiesta che denunciava l’abnorme sperequazione nei diritti di cittadinanza tra Nord e Sud, aree metropolitane e aree interne al Nord come al Sud. Parliamo di sanità, scuola, trasporti. Parliamo di tutto ciò che identifica l’appartenenza a una nazione. Perché non possono esistere cittadini di serie A, cittadini di serie B e cittadini di serie C.

Spiegammo e documentammo, con un lungo lavoro giornalistico e tecnico, l’abisso della Repubblica dove decine e decine di miliardi l’anno di trasferimenti pubblici prendevano la strada di un territorio al posto di un altro grazie al trucco della spesa storica contenuto nella legge sul federalismo fiscale di Calderoli del 2009. Che sanciva sì correttamente il principio dell’urgenza di parificare i livelli essenziali di prestazione pro capite, ma anche furbescamente che in attesa di definirli si poteva procedere in base al criterio appunto della spesa storica. Che significa essenzialmente una cosa: chi è ricco diventa sempre più ricco, chi è povero diventa sempre più povero. Le diseguaglianze crescono e i divari si allargano.

La coesione sociale diventa un miraggio e la capacità competitiva di un Paese viene colpita in culla. Sì, in culla, perché la sperequazione economica e civile all’epoca partiva addirittura dagli asili nido. Non uso il presente perché su questo punto specifico è merito del governo Draghi e della ministra Carfagna avere varato i livelli essenziali di prestazioni sociali (Leps) che cominciano a riequilibrare la situazione nel welfare per l’infanzia e per gli anziani. Dalla denuncia del Quotidiano del Sud-l’Altravoce dell’Italia di oltre quattro anni fa nacque una commissione d’indagine parlamentare guidata da Carla Ruocco, allora presidente della Commissione di inchiesta sulle banche, e rimase storico lo scambio di battute in aula tra lei e il ministro degli Affari regionali e per le autonomie, Francesco Boccia, oggi capogruppo del Pd al Senato, in sede di audizione di quest’ultimo.

Disse sostanzialmente la Ruocco: dalle audizioni in corso e dalle documentazioni esibite, ballano 60 miliardi l’anno di trasferimenti pubblici tra un territorio e l’altro. Replica immediata di Boccia: la correggo Presidente, prima erano 60 i miliardi, oggi per la precisione sono diventati 62 e passa. Il sistema dei conti pubblici territoriali ha fornito elementi inequivoci e tutte le principali istituzioni tecniche e contabili del Paese non hanno potuto fare altro che confermare la dimensione e la qualità del frutto avvelenato del federalismo fiscale all’italiana.

Che è un caso unico al mondo perché toglie a chi ha meno per dare a chi ha di più e teorizza che il bilancio pubblico nazionale copra gli sprechi e le spese fuori controllo delle Regioni, ma i capi delle stesse si possano muovere abusivamente con i poteri di capi di governo in quasi tutte le materie utilizzando almeno in parte il portafoglio della collettività nazionale. Chi scrive su questo scandalo gigantesco che misura la miopia della nostra classe di governo e la debolezza della tenuta sociale dell’unità del Paese fece un libro dal titolo inequivoco: “La grande balla – Non è vero che il Sud vive sulle spalle del Nord, ma è vero l’esatto contrario”.

I lettori mi scuseranno per questa lunga premessa, ma era necessaria per ricostruire i termini esatti della questione che va oggi sotto il nome di autonomia differenziata avvertendo tutti che da allora a oggi con il solito stratagemma della spesa storica lo squilibrio non ha potuto che allargarsi perché lo schema ancora vigente è quello della spesa storica ad eccezione delle sacrosante correzioni introdotte per il welfare legato a bambini e anziani. Nulla è cambiato, anzi molto è peggiorato, su temi decisivi per la coesione del Paese come scuola, sanità e trasporti dove di sicuro può aiutare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) con i fondi europei e nazionali, ma troppo poco è avvenuto dal lato delle erogazioni effettive e, soprattutto, ancora non sono stati definiti i livelli essenziali di prestazione. Che sono la base di tutto e basterebbero da soli a rendere evidente la follia di dividere un piccolo Paese di sessanta milioni di abitanti afflitto da una pesante crisi demografica in venti staterelli in guerra tra di loro e essenzialmente impegnati a tutelare o ricercare rendite e privilegi.

Per tutte queste ragioni, ben conoscendo l’entità delle poste di bilancio in gioco e la dimensione del nostro debito pubblico, non abbiamo mai voluto dare molto credito al progetto Calderoli di autonomia differenziata oltre quello di una bandierina politica da sventolare davanti ai propri elettori per raccattare qualche voto in più alle prossime consultazioni europee. Attenzione, però, parafrasando Totò, ogni limite ha una pazienza. O, se volete, una decenza. Non è neppure ammissibile che il nuovo ministro dell’autonomia della Lega, Roberto Calderoli, affatto sprovvisto di esperienza parlamentare e istituzionale, si permetta di dire in un’intervista a La Stampa che viene prima l’autonomia, poi i diritti e i servizi e di aggiungere che gli alleati sanno che questo è il patto. Arrivando al punto massimo di offesa del senso comune delle cose spingendosi a dire ulteriormente che subito si fa la legge, poi lo Stato garantirà le risorse.

Non vogliamo perdere tempo con le bandierine elettorali della Lega, ma vogliamo anche avvisare tutti che se non fossero bandierine da sventolare ma propositi reali, saremmo di fronte all’unico caso in assoluto in cui i vantaggi della stabilità di governo, che è un valore in sé nel quale si dovrebbe riconoscere sempre la coscienza di un Paese, diventano i rischi capitali della stabilità di governo. Perché fanno saltare quel che resta della coesione nazionale e lacerano in modo irrecuperabile il tessuto civile di un popolo. Di questa pantomima dell’autonomia differenziata l’unica cosa che può avere un valore è che un governo della Repubblica italiana metta per iscritto i termini economici reali della questione e quantifichi per davvero i livelli omogenei di prestazione che la spesa pubblica deve garantire allo stesso modo a tutti i cittadini.

Vogliamo chiarire subito che con 2800 miliardi di debito pubblico l’unica cosa che non si può fare è chiedere allo Stato di parificare i trattamenti perché 70/80 miliardi in più da spendere ogni anno non li avremo mai. Bisogna che chi riceve da quasi quindici anni molto in più di ciò di cui ha diritto, cominci a restituire a chi ingiustamente ha ricevuto e continua a ricevere molto meno. Il resto potranno farlo in quota parte, soprattutto su sanità e scuola, i fondi europei, ma dentro un quadro di lungo termine e un piano condiviso possibilmente da maggioranza e opposizione.

Non è più tempo di colpi di mano parlamentari come fu con il federalismo fiscale firmato dallo stesso Calderoli e nessuno scambio politico tra alleati su nuovo premierato e nuova legge elettorale che sia può giustificare un simile pasticcio. Bisogna che il governo Meloni capisca che su questo terreno è in gioco la sua sopravvivenza e non siano tollerati passi azzardati. Di problemi veri da risolvere in fretta ce ne sono già tanti, e assorbono tutte le energie, per aggiungerci questa miscela esplosiva che inevitabilmente incendierebbe tutto.


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