Antonio Tajani
5 minuti per la letturaLa scommessa da vincere è fare il moderato in una coalizione dove c’è Salvini che rema contro e la premier Meloni che fa scelte moderate, ma ha una storia alle spalle che le impedisce di gettare in faccia ai suoi seguaci la moderazione voluta. Può praticarla, ma non rivendicarla. Tajani acquisisce uno spazio proprio se riesce ad aiutarla a fare questo salto comune verso un partito conservatore condividendone i dividendi politici. La statura internazionale di Tajani gli consegna oggi il ruolo che fu dei repubblicani di Ugo La Malfa con la Democrazia Cristiana avendo alle spalle economicamente gli eredi di Berlusconi e politicamente la stagione di massa berlusconiana
Per chi avesse ancora immotivatamente dei dubbi, la leadership di Antonio Tajani alla guida di Forza Italia, dopo la tre giorni di Paestum, non solo è salda, ma si rafforza ulteriormente. Si conferma sempre di più per la statura internazionale che esprime, la forza dei rapporti europei segno tangibile della stima che ha segnato il suo lavoro alla guida del Parlamento e in quasi tutti i ruoli della Commissione, un moderatismo che piace in casa e fuori, l’unica guida possibile di livello di Forza Italia e di un polo reale di attrazione del voto moderato nelle sue declinazioni centriste, liberali e di destra.
L’unicum che lo precede appartiene a Silvio Berlusconi ed esprime una capacità non ripetibile di relazione con le persone e pezzi dell’establishment economico nazionale e internazionale che salda una storia politica e imprenditoriale di successo segnata da toni sempre molto forti e divisivi, conflitti di interesse ed errori. Fare, però, tesoro di quella forza propulsiva fuori da ogni regola e confronto può essere utile come spinta ideale, ma non può e tanto meno mai essere un modello di azione perché emergerebbero tra l’altro differenze non colmabili per chiunque.
La scommessa che Antonio Tajani deve vincere come leader riconosciuto di Forza Italia è quella di fare il moderato e guidare una forza moderata in una coalizione dove c’è dentro Salvini e dove la premier Meloni ha comportamenti moderati ma ha una storia alle spalle che le impedisce di gettare in faccia ai suoi seguaci la scelta della moderazione. Non ha ancora Giorgia Meloni la forza politica per rivendicare pubblicamente questa scelta di moderazione. Può praticarla, ma non rivendicarla. Tajani acquisisce, dunque, uno spazio politico proprio se riesce nei fatti ad aiutare Giorgia Meloni a fare questo salto comune di comportamenti e di comunicazione che fanno di Fratelli d’Italia compiutamente un partito conservatore condividendone i dividendi politici.
La statura internazionale di Tajani in un quadro geopolitico che ribolle gli consegnerebbe oggi il ruolo che ebbero i repubblicani di Ugo La Malfa con la Democrazia Cristiana unito alla spinta di una forza popolare e economica più organizzata. Avendo alle spalle gli eredi dell’impero di Mediaset costruito da Berlusconi e la stagione politica berlusconiana che è stata a sua volta sia pure per un breve periodo una stagione di massa. Sarà molto difficile, praticamente impossibile, che una stagione di massa di quelle dimensioni possa oggi tornare, ma Tajani può diventare quello che va avanti tenendo il lume della strada dove paradossalmente dietro viene la Meloni.
Perché il nostro presidente del Consiglio non è ancora in grado in questa fase di trasformare compiutamente il suo partito e se lo facesse a sorpresa di suo gli spazi di manovra si ridurrebbero ulteriormente. Soprattutto sul piano decisivo dell’economia dove la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza risveglia tutti bruscamente dal mondo della irrealtà. Se lo fa prima Tajani e se il contesto globale obbliga tutti a seguirlo, allora le cose cambiano. Oggi Tajani è nelle condizioni di fare reclutamento di classe dirigente non politico-movimentista che la Meloni ancora non può fare.
Tajani può e deve alzare non solo la bandiera delle privatizzazioni credibili, ma anche quella non meno importante di un disegno di sviluppo del Mezzogiorno non assistenziale che fu anche la grande battaglia vinta proprio da Ugo La Malfa nella lunga stagione dei grandi democristiani della politica e della grande tecnocrazia che seppero costruire intorno alla Cassa del Mezzogiorno guidata da Pescatore una importante stagione del fare. Oggi questa stagione è incompatibile con i Pichetto al governo, ma si deve ripetere attuando il Piano Mattei portandosi dietro l’Europa in un quadro geopolitico che si è ribaltato. Ha messo in crisi la Germania con contraccolpi sul nostro sistema produttivo, ma consegna all’Italia attraverso il suo Mezzogiorno la fantastica condizione geografica di essere il nuovo motore di pace e sviluppo dentro i quattro Mediterranei e di misurarsi di conseguenza con le grandi partite del futuro del mondo in una posizione di Paese Fondatore rispettato della nuova Europa.
Ovviamente non c’è spazio in un itinerario politico così ambizioso per ministri alla Pichetto Fratin che remano nella direzione opposta a quella di uno sviluppo non assistenziale del Mezzogiorno che deve assolutamente essere una delle bandiere del nuovo corso di Forza Italia perfettamente coerente con la primissima forza Italia espressione di una visione nordista produttivista che avrebbe potuto cambiare il Paese, ma non volle o non ci riuscì. Parliamo della prima Forza Italia dei Martino, dei Pera e dei grandi cambiamenti promessi nei linguaggi e nei comportamenti dell’economia e della cultura. La nuova storia di Forza Italia guidata da Tajani può, forse, ripartire proprio da qui, dal primo sogno berlusconiano, per fare oggi qualcosa di liberale e di repubblicano molto più concreti di allora.
È un lavoro paziente in casa e nelle relazioni internazionali che va costruito giorno dopo giorno attraverso le parole, i silenzi, e le scelte che incidono in profondità per arrivare preparati quando sono stati disinnescati i venti contrari. Parliamo meno di barconi e di migranti e facciamo qualcosa che funziona e si può toccare nella approvazione del nuovo patto europeo e nella nostra capacità di tornare a fare investimenti pubblici e privati e riforme di struttura. Alla fine non è nient’altro che l’unica medicina che si può ancora usare per fare abbassare la febbre alta del malato Italia prima che diventi bronchite e, magari, anche qualcosa di più.
Per evitare questo serve un centro moderato e europeista come fu quello repubblicano di Ugo La Malta negli anni della rinascita. Oggi viviamo stagioni ovviamente molto differenti, e le variabili in gioco sono più numerose e più pesanti, ma lavorare per ripetere oggi quella esperienza, al passo con i tempi, significa riunire il Paese sotto le bandiere della competitività e contro quelle dello spreco pubblico e dell’elemosina al Nord come al Sud.
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