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La prima cosa è mettere in chiaro il rapporto con tutte le opposizioni interne ed esterne. Bisogna che questo lavoro lo faccia lei, non può pensare che sia qualche altro a sbrogliare la matassa. Tutti i leader di fronte a eventi della storia che richiedono grandi scelte, ebbero il coraggio di parlare chiaro a muso duro: il tempo per scherzare è finito, è arrivato quello delle scelte, noi saremo all’altezza. Il voto non è un mandato a fare una determinata cosa, ma a una persona e a una squadra perché governino bene. È una cambiale in bianco che l’elettore può ritirare alle prossime elezioni. Altrimenti si voterebbe ogni giorno.

Questo è un Paese in cui si è riusciti a fare otto ore di sciopero generale nel biennio magico di Draghi quando l’economia italiana cresceva molto di più di tutte le grandi economie europee e quando non solo si è superato di quasi due punti e mezzo il prodotto interno lordo (Pil) del 2019, ma si è creato rispetto a quella data mezzo milione di occupati a tempo indeterminato in più oltre il 50% dei quali nel Mezzogiorno. Questo è un Paese in cui mentre non solo si realizzavano nettamente la maggiore performance di crescita europea e il massimo livello di superamento del Pil del 2019, la grande stampa economica italiana sfornava bollettini densi di tragedie imminenti e raccontava la crisi di un Paese condannato di certo alla recessione tecnica, ma probabilmente anche a quella reale, incidendo violentemente sulle aspettative e ledendo il bene comune della fiducia.

In un Paese come questo, che resta la barca al mondo più appesantita di tutte dal debito pubblico con rendimenti più alti di quelli di Atene, non sono consentiti colpi di sole di mezza estate e l’aggiusta – mento di tiro in atto sulla cosiddetta tassa sugli extraprofitti bancari va nella direzione giusta. In un Paese come questo, che oggi è costretto a navigare con una barca zavorrata nei mari procellosi del rallentamento globale e di un’Europa divisa e frazionata, a Giorgia Meloni non sono consentite alternative. Deve fare suo il pensiero di Max Weber che afferma che l’etica della responsabilità prevale sull’etica della convinzione. Deve dirlo pubblicamente e lo deve fare. Non può più prevalere neppure in termini di immagine e di presunto consenso elettorale l’etica delle bandierine rispetto a quella della responsabilità di portare avanti un Paese.

Non valgono niente le bandierine che sventolano tutti quelli che hanno scelto di stare con te al governo e, magari, anche quelle di chi ti ha votato. Perché il voto non è un mandato a fare una determinata cosa, ma è il voto a una persona e a una squadra perché governino bene facendo le cose e risolvendo i problemi. È una cambiale in bianco che l’elettore può ritirare se vuole alle prossime elezioni. La gente ti ha votato non perché hai promesso il blocco navale, ma perché sa che ti occuperai del problema dei migranti e ti chiede di risolverlo non facendo necessariamente quello che hai promesso in un determinato momento, ma quello che ritieni giusto di dovere fare per ottenere il risultato. Altrimenti, se questo è il ragionamento, bisognerebbe votare ogni giorno. Prima di tutto, bisogna chiarire una questione di metodo. Se si vuole governare a lungo e cambiare le cose, chi ha la responsabilità della guida di un Paese deve sempre cercare il più ampio consenso possibile andando oltre la propria parte per conquistare maggioranze sempre più larghe.

Nel caso specifico di Giorgia Meloni oggi la prima cosa da fare è quella di mettere in chiaro il rapporto con tutte le opposizioni interne ed esterne. Bisogna che questo lavoro lo faccia lei, non può delegarlo a nessuno e tanto meno pensare che sua sponte sia qualche altro a sbrogliare la matassa. Tutti i grandi leader di fronte a eventi della storia che richiedono grandi scelte, penso a Winston Churchill come a Charles de Gaulle, ebbero il coraggio di parlare chiaro a muso duro: il tempo per scherzare è finito, è arrivato quello delle scelte, e noi saremo all’al – tezza. Un leader che ama il Paese che governa ha il dovere di farlo proprio così, a muso duro. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha un altro ruolo, lo ha già fatto più volte al massimo livello con le modalità che discendono dal suo ruolo di arbitro e dai poteri ricevuti dalla Costituzione.

Al Presidente del Consiglio in carica tocca di fare le scelte più nette possibili. Deve dire, ad esempio, con chiarezza assoluta che i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle sono una priorità assoluta e nessuno deve essere nemmeno sfiorato dal pensiero che, approfittando dell’incom – petenza di un ministro e del ruolo abnorme di qualche suo superconsulente, il miope interesse industriale di una società, come la Snam, prevalga su quello del bene comune e dello sviluppo competitivo del Paese che se non collega tutte le fonti di energia del suo Sud al Nord produttivo italiano e europeo viene, di fatto, calpestato a favore di alleanze autocratiche quanto meno discutibili. Giorgia Meloni deve dire chiaro e tondo che si fa la riforma della concorrenza, e ogni anno ci sarà la legge che aggiorna le scelte, come fanno tutte le democrazie evolute.

Deve dire che si parte subito con tassisti, balneari, trasporto locale e ovunque si annidano le rendite e i privilegi più odiosi che paghiamo tutti noi. Perché bisogna mettere la qualità dei servizi al primo posto per soddisfare le esigenze del cittadino-consumatore e le capacità di attrazione e di crescita dell’economia di un Paese. Si vada avanti su tutte le riforme di giustizia – civile, amministrativa, contabile, penale – senza ricominciare sempre daccapo, ma accelerando anche con scelte più radicali che garantiscano al mondo degli investitori globali un contesto di trasparenza assoluta e di celerità delle decisioni. La stessa trasparenza che serve quando si maneggia materia delicata come quella delle riforme istituzionali. Tutto ciò significa fare il conservatore ed attuare un disegno riformatore compiuto. Non si può ripetere a ogni piè sospinto di perseguire il valore del conservatorismo moderno, ma poi fare tutto sommato il reazionario o almeno lasciarlo intendere. Perché il giochetto alla lunga viene fuori e abbatte la credibilità. Anzi, in tempi di grandi crisi come quelle attuali, il giochetto viene fuori subito e i politici vanno tutti a casa. Ovviamente il conto più salato lo pagano cittadini e imprese.


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