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Le rivalutazioni del Pil del 2021 rafforzano il miracolo di Draghi, ma portano solo qualche decimale per il 2023. Al posto di infilare il dito nella spina elettrica della tassa sui presunti extraprofitti delle banche, Giorgia Meloni valorizzi il lavoro fatto sugli investimenti e non si ripari dietro il mal comune della crisi tedesca e dell’indecisionismo europeo. Avvii in casa la stagione delle grandi riforme perché il mondo e gli italiani si convincano che la musica cambia dopo la sbandata agostana. Continuiamo ad avere spread e rendimenti peggiori di greci e spagnoli, ma nessun fondamentale economico lo giustifica. Il rischio Italia è solo politico e può essere eliminato. Va fatto subito.
Il ministro Raffaele Fitto ha vinto in Europa su tutta la linea. Le modifiche sugli obiettivi della quarta rata (10 su 27) sono state accolte con il via libera anche al potenziamento dell’offerta di alloggi per gli studenti universitari. Ciò che, però, merita di essere sottolineato è che l’esame europeo viene superato a pieni voti perché, come sostenuto da questo giornale in assoluta solitudine, le modifiche apportate rivelano maggiore coerenza con le finalità del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) in settori strategici e riflettono il mutato contesto internazionale.
Queste modifiche andavano fatte, altrimenti si perdevano i soldi. Si va dalla cultura alle politiche per l’aerospazio, dagli asili nido alla transizione ecologica in settori chiave come il trasporto ferroviario, stradale e, in genere, nell’edilizia. Fino al sostegno alle imprese femminili e alla lotta alla povertà educativa. Dopo l’ok alla terza rata, arriva quello alla quarta e, soprattutto, in questo ultimo passaggio si ha la conferma di un metodo di lavoro di concerto con l’Europa e di riassetto in casa dei processi decisionali e dell’utilizzo delle capacità tecniche che fanno entrambi ben sperare.
Chi fino a oggi ha criticato da mattina a sera la proposta italiana spingendosi a dire con una frequenza assordante che l’azione incompetente e suicida del governo avrebbe fatto saltare tutto, dovrebbe avere oggi almeno l’onestà di chiedere scusa in pubblico anche perché tutti hanno oggi la prova matematica che questi signori da otto-nove mesi hanno parlato di cose che non conoscono, ignorando le regole di ammissibilità ai fondi e le ragioni portanti dell’obbligatorietà della rimodulazione.
Se al posto di infilare il dito nella spina elettrica della tassa sui presunti extraprofitti delle banche e di continuare a seguire in modo competitivo anche sul fronte dell’immigrazione le pulsioni più populiste di Salvini, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, valorizzasse al meglio il lavoro fatto sul fronte delicatissimo degli investimenti, il credito internazionale del Paese ne trarrebbe indubbio vantaggio e si sarebbe potuto allungare la scìa davvero lunga del secondo grande miracolo economico italiano legato alla stagione del governo Draghi. Le rivalutazioni nominali di Eurostat del Pil 2021 portano la crescita nominale di certo oltre le due cifre e dobbiamo attendere le ultime elaborazioni per renderci probabilmente conto che in un solo anno in termini reali si era già recuperato e superato in Italia il tonfo post Covid essendo l’unico caso al mondo.
Questo valore di fiducia internazionale e interna che, alla luce delle ultime rivalutazioni, rende ulteriormente ridicoli i riduttivi e ripetuti richiami a definire rimbalzo una delle primissime crescite della storia economica repubblicana italiana, va assolutamente ripristinato. Il solco draghiano in economia è quello sul quale deve assolutamente riconcentrarsi tutta l’attenzione di Giorgia Meloni seguendo la saggezza di Tajani e mettendo un tappo in bocca per sempre a Salvini. Anche perché alla faccia dei gufi e del solito terrorismo mediatico, disastro Superbonus compreso, il rapporto deficit/Pil del 2023 si collocherà tra il 5 e il 5,5% e anche per il 2024, come questo giornale è in grado di anticipare per entrambi gli anni, i dati saranno in linea con quelli indicati nel Documento di economia e finanza (Def).
Certo il livello di fabbisogno resta alto, dovremo tirare fuori oltre 100 miliardi di interessi per collocare i nostri titoli pubblici, con una spesa aggiuntiva di 14/15 miliardi, e quindi all’appuntamento con il 2025 se devi continuare, come devi, ad abbassare il debito e il disavanzo, è evidente che bisognerà tagliare ed è quello dove nessuno è ancora riuscito. Se il deficit Pil 2023 sarà del 5/5,5% e quello del 2024 ruoterà intorno al tendenziale in linea con il Def collocato al 3,7%, nel 2025 scendiamo a fatica sia come deficit sia come debito e anche l’ultima correzione in positivo del Pil 2021 della stagione Draghi porterà a una favolosa correzione per quell’anno e in parte anche per il successivo, ma il trascinamento sul 2024 si fermerà a qualche decimale. Vogliamo dire che per Giorgia Meloni è arrivato il momento della verità. Se vuole essere la nuova Thatcher e ha le qualità per diventarla, non può permettersi di sottovalutare i segnali di allarme sul rischio Italia frutto delle sbandate estive.
Quindi, primo, deve liberarsi e farlo lei pubblicamente dai giochetti pericolosi messi in atto in modo maldestro sulle banche e sul non rimborso dei debiti da parte dei morosi. Deve restituire ai mercati la certezza che ogni ombra populista non fa parte della sua rotta di governo. Soprattutto non deve accettare il principio, nemmeno sul piano dialettico, che il mal comune è mezzo gaudio anche perché il confronto con Draghi, che fece meglio di tutti gli altri Paesi europei, sarebbe per lei impietoso e porterebbe il suo governo e l’Italia ad avvitarsi in un circuito perverso di negatività. Non si possono ascoltare ragionamenti del tipo: va male la Germania, come volete che andiamo noi?
Oppure: a Bruxelles non si decide niente, verità sacrosanta, che cosa volete che possiamo decidere noi? No, assolutamente no. Perché è in questi momenti che chi governa, esattamente come fece Draghi con uscita dal Covid e diversificazione energetica, deve dimostrare di ribaltare il quadro e deve partire, a nostro avviso, con la comunicazione finalmente di un messaggio di politica economica attivo. Il mondo e gli italiani devono sapere e capire al volo che cosa fa il governo italiano oltre all’atlantismo.
A che cosa diamo davvero priorità? Perché non facciamo partire la stagione della grande riforma con messaggi chiari su tassisti, balneari, lotta all’evasione fiscale, addio al populismo delle chiacchiere? Che cosa aspettiamo a rivendicare con forza la riforma degli investimenti pubblici in atto e a chiudere quelle di struttura sulla giustizia e sulla concorrenza? Bisogna che il mondo e gli italiani si convincano che la musica può cambiare davvero. Perché continuiamo ad avere uno spread peggiore di quello greco e ogni giorno aumenta di poco il rendimento sul BTp decennale. Nessuno dei fondamentali economici giustifica un giudizio così negativo sull’Italia che ha performance migliori ovviamente della Grecia, come della stessa Spagna, se non della Francia. Bisogna che il mondo e gli italiani tornino a fidarsi pienamente dell’Italia. Il segreto del miracolo economico draghiano che il governo Meloni ha preservato fino alla pausa ferragostana. Poi improvvisamente, qualcosa si è interrotto. Siamo ancora in tempo per recuperare, ma il segnale va dato subito.
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