Raffaele Fitto
7 minuti per la letturaOperazione verità sulla capacità di spesa di questo Paese e sulle modalità di intervento studiate insieme con tutti i soggetti attuatori e coinvolgendo le grandi imprese di collaudata capacità esecutiva non per eliminare, ma mettere in sicurezza gli interventi. È lo spirito dei Campilli, dei Saraceno, dei Pescatore di un Paese che aveva visione e competenze per raddoppiare il prestito Marshall. Ora si decide di fare le riforme e tutto ciò che serve nel centro Italia per superare le strozzature che limitano i flussi dal Sud, dal Nord Africa e dal Mar Caspio per raggiungere la manifattura del Nord Italia e della Germania. È in gioco la più grande operazione meridionalistica dell’ultimo mezzo secolo.
Chi fino a oggi non ha fatto passare giorno senza gettare allarme o panico sul lavoro del ministro Fitto deve avere almeno la dignità di chiedere scusa pubblicamente. Fare i conti con la realtà e sporcarsi le mani per risolvere i problemi è il lavoro che piace meno in Italia soprattutto a chi la racconta senza guardarla. Fare i conti con la realtà, sporcarsi le mani, e indicare soluzioni operative senza fare polemiche ottenendo la stima ai massimi livelli istituzionali dell’Europa e la collaborazione tecnica degli stessi soggetti è addirittura pericoloso.
Perché può mettere in moto un meccanismo di invidia rancorosa diretto a demolire i risultati raggiunti e, ancora di più, quelli che finalmente si intravedono come raggiungibili. Perché il combinato disposto di un lavoro serio di metodo e di contenuti che dimostra numeri alla mano il baratro delle inefficienze strutturali ricevuto in eredità con una capacità di spesa del Fondo di sviluppo e coesione – il 34% a nove anni dalla scadenza – che riguarda Regioni e Ministeri o semplicemente fare rilevare che 1 miliardo di interventi sulle strade messo dai Comuni dentro il Pnrr non sono ammissibili per la ragione indiscutibile che il Piano europeo non lo prevede, contiene in Italia la forza dirompente della realtà. Che è proprio quella che nessuno vuole vedere e, tanto meno, vuole raccontare chi è pagato per farlo ovviamente con tutta la sua autonomia e la sua professionalità.
Dimostrare numeri e fatti alla mano che non si eliminano, ma si salvaguardano gli investimenti negli asili nido addirittura aggiungendo 900 milioni prendendo atto che per chi non ce la fa si utilizzano programmi europei con tempi che consentono di fare quegli asili nido che altrimenti non si farebbero, è il senso profondo di una rivoluzione collettiva di testa e di azione. Che ricorda la stagione nobile dei Campilli, dei Saraceno, dei Pescatore e di un Paese che aveva le intelligenze e le competenze tecniche per raddoppiare il prestito Marshall. L’esatto opposto di ciò che è accaduto con Regioni e ministeri negli ultimi due decenni. All’epoca della stagione d’oro del Dopoguerra eravamo i primi nell’utilizzo dei fondi americani e europei. Poi siamo diventati il fanalino di coda in Europa.
Mettere complessivamente qualcosa come 19,2 miliardi sul Repower Eu è tanto. Ci sono investimenti strategici e certi sulle reti elettriche e del gas e si è messo nero su bianco che si farà nel centro Italia quello che si deve fare per superare le strozzature che attualmente limitano i flussi dal Sud, dal Nord Africa e dal Mar Caspio per mettere in sicurezza la manifattura produttiva del Nord Italia e della Germania.
Sono pezzi rilevanti di un mosaico complessivo, orientato fortemente sulle nuove fonti energetiche come vedremo dopo, che delinea la più grande operazione meridionalistica dell’ultimo mezzo secolo.
Significa dare concretezza al grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo, pezzo forte del Piano Mattei di sviluppo alla pari tra Mezzogiorno italiano e l’altra sponda del Mediterraneo e punto di rilevanza assoluta della Carta di Napoli voluta da questo giornale e elaborata e redatta come frutto dei lavori del primo festival Euromediterraneo dell’economia tenuto a Napoli nel marzo scorso grazie al contributo prezioso delle più rilevanti voci dell’economia, della politica e delle istituzioni europee, multilaterali e dei quattro Mediterranei e alla fatica di un’advisory board che riunisce le migliori competenze specifiche dell’intero Paese.
Mettere nero su bianco che ammontano a 14,8 miliardi di euro gli investimenti complessivi per la transizione verde e l’efficientamento energetico, significa essere usciti dal vortice delle scartoffie messe dentro alla rinfusa di micro progetti locali spesso addirittura realizzati prima dei bandi del Pnrr e, quindi, sicuramente bocciati dalla Commissione. Significa, di fatto, avere compiuto una piccola grande rivoluzione che coincide con la più importante operazione verità condotta sulla capacità di spesa di questo Paese e sulla necessità di studiare insieme rapidissimamente modalità di intervento più efficienti da parte di tutti i soggetti attuatori istituzionali. Avendo l’intelligenza di coinvolgere in partenariato le grandi imprese energetiche di collaudata capacità esecutiva. Non c’è stata stagione di spesa pubblica reale e di crescita produttiva reale che non siano avvenute attraverso questo passaggio.
Significa, soprattutto, che l’Italia ha deciso di guardare avanti, di scegliere il futuro, di individuare un Progetto Paese che ha finalmente capito che il mondo si è capovolto e che il nuovo Nord dell’Europa è dato dai confini territoriali del Mezzogiorno italiano e che qui, non altrove, si giocano un pezzo rilevante del Piano Mattei, l’altro è quello dello sviluppo alla pari con il Nord Africa come con i Balcani e il Medio Oriente, ma ancora prima sono in gioco la crescita sostenuta dell’Italia dei prossimi venti anni e l’unica crescita aggiuntiva possibile per l’intera Europa. Avere messo sul piatto 6,3 miliardi per sostenere le piccole e medie imprese italiane con credito di imposta a sostegno di interventi innovativi, significa fare tesoro della lezione del passato e occuparsi dell’economia reale di questo Paese. Preservare e rafforzare l’ecobonus con una dote di altri 4 miliardi a sostegno non più dei super ricchi ma delle fasce a basso reddito, significa anche in questo caso uscire dal mondo della irrealtà per scendere sulla terra e occuparsi di chi non potrebbe migliorare l’efficientamento energetico delle proprie abitazioni.
Abbiamo lasciato per ultime le sei riforme, a partire da quel testo unico per l’autorizzazione degli impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili che è il cuore del cambiamento strutturale del Paese, perché crediamo che la visione del progetto dell’Italia di domani si possa qui constatare con mano. Anche perché si collega e si estende con le altre riforme a tutti gli strumenti finanziari, di formazione nel settore privato delle risorse umane e di quella specialistica avanzata della pubblica amministrazione, che sono insieme decisive per cambiare le cose. A patto, aggiungiamo noi, che questa maggioranza si sporchi anche le mani con tutti gli interventi concordati sulla concorrenza e sui quali il ministro Fitto si è già speso più volte con il massimo di energia perché non si può guardare al futuro con una chiarezza di visione e di metodo esecutivo portandosi dietro pezzi di Medioevo.
Soprattutto, sarebbe bene che tutti, ma proprio tutti, come ha ricordato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, con la forza della sua leadership nazionale e internazionale e la sapienza dell’autorità morale che esprime, vivessero il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (PNRR) per quello che è. Una questione di portata decisiva per il nostro futuro che non è una questione del Governo, di questo o dei due governi precedenti, ma dell’Italia.
Ha voluto Mattarella rinnovare l’invito di degasperiana memoria a tutti di mettersi alla stanga e, questa volta, si è spinto a ulteriormente esplicitare che l’invito riguarda quale che sia il livello istituzionale, quale che sia il ruolo politico, di maggioranza e di opposizione, quale che sia il ruolo di soggetti della società riguardo ai temi che il piano affronta. Tutti dobbiamo essere soggetti attivi in modo costruttivo esercitando la responsabilità offrendo ognuno la sua competenza perché un risultato, anche soltanto parziale, non sarebbe una sconfitta del governo, ma dell’Italia. Così sarebbe per gli italiani, così sarebbe visto fuori dai nostri confini, così sarebbe nella realtà.
Su un cammino che si percorre su un sentiero stretto che può portare in dote solo tra Pnrr e Fondo Complementare oltre 220 miliardi ma a questi vanno aggiunti le decine e decine di miliardi del Fondo di sviluppo e coesione e della coesione, c’è una sola insidia reale. Quella del dibattito pubblico del rumore che concepisce solo guelfi e ghibellini sganciato dalla realtà e costruito tutto sulla pelle degli italiani. Se non cambia di base il modo di raccontare il Paese denunciando tutte le malefatte vere ma smettendola di nascondere il miracolo dell’economia che Draghi ha regalato all’Italia e Giorgia Meloni ha preservato, finisce come è finita negli ultimi venti anni prima della grande discontinuità istituzionale impersonificata da Draghi e voluta da Mattarella. Rendiamoci almeno conto che non avremo un’altra chance. Perché questa è l’ultima che l’Europa ha offerto all’Italia e a se stessa per cambiare avendo un ruolo effettivo di player globale che vada oltre la moneta e ragioni finalmente con un bilancio, un debito, una politica estera e di difesa finalmente comuni.
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