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Fare digerire alla classe politica dirigente europea che la sfida del futuro si gioca sull’asse Sud-Nord e che Piano Mattei e sviluppo alla pari tra le due sponde del Mediterraneo sono cruciali, non è affatto scontato. Stabilire un nuovo rapporto con Forza Italia e l’ancoraggio con la CDU per costruire insieme qualcosa di nuovo sono due passaggi indispensabili. Se Giorgia Meloni non prende questa strada, ovviamente con la gradualità necessaria, neppure lei regge. Perché a fine legislatura il giudizio sul suo governo si chiuderà con il bilancio della nostra presenza in Europa. Si valuterà se avrà fatto guadagnare o no dei punti di credibilità che sono fiducia sull’Italia, attrazione di capitali esteri, stimolo positivo interno ai consumi e agli investimenti.

Un partito conservatore nel quadro europeo esiste. Questo è la CDU. È anche l’approdo finale che non può più essere quello che è oggi, ma qualcosa di nuovo da costruire insieme che coincide proprio con la sfida capitale in Europa di Giorgia Meloni. Riconvertirsi lentamente preservando identità e diversità ma cominciando a “fabbricare” una nuova storia europea che la porti a stabilire un altro tipo di rapporto con Forza Italia. Sia perché è suo primario interesse che persista una rappresentanza autonoma moderata pienamente convergente con Fratelli d’Italia su questo itinerario europeo. Sia perché questa forza moderata italiana ha alla sua guida Antonio Tajani che è un punto di riferimento primario di questo schieramento europeo con una leadership riconosciuta da tutti i Paesi.

Questo elemento che appartiene alla storia personale di un ex Presidente del Parlamento europeo molto votato e molto apprezzato e di un ex commissario europeo altrettanto apprezzato in tutti gli incarichi ricoperti è un punto di forza assoluto proprio per mettere stabilmente in gioco nella governance della nuova Europa un partito conservatore all’altezza della complicazione della sfida. Perché fare digerire alla nuova Europa che la sfida del futuro si gioca sull’asse Sud- Nord e non più Est-Ovest e che Piano Mattei e sviluppo alla pari tra le due sponde del Mediterraneo sono elementi cruciali di questa sfida del futuro non è affatto scontato.

Anche perché l’humus culturale di questa sfida ha il suo unico coagulo naturale nel raggruppamento europeo dei popolari che ruota intorno alla CDU. Che è anche quella che appare meno instabile degli altri se non addirittura in lieve ripresa come sta avvenendo in Germania dove proprio la CDU sta guadagnando posizioni. Questa sfida di politica estera e di collocamento strategico in Europa è per Giorgia Meloni quella decisiva se non vuole essere un fuoco di paglia benché le alternative a lei siano oggettivamente raccapriccianti.

Se non prende questa strada, ovviamente con tutti i passaggi intermedi necessari e le esigenze tattiche da tutelare sempre, alla lunga neppure lei regge. Alla fine di questa legislatura il giudizio sul governo Meloni si chiuderà con il bilancio della nostra presenza in Europa. È vero che le alternative reali a lei, purtroppo, non esprimono ancora un progetto perché il Pd deve recuperare molto e, da solo, non ce la fa ad essere una vera alternativa. È vero che l’area grillina è sempre più allo sbando e si perde nel tentativo di piazzare i suoi un po’ di qui e un po’ di là. Non emerge ancora una classe dirigente oltre a Conte e Patuanelli. Ciò nonostante, però, se la Meloni non si presenterà alla fine di una intera legislatura di governo senza un risultato europeo all’altezza della visione manifestata in questa prima fase sia nelle interlocuzioni europee che nella delicata partita del progetto Paese nell’utilizzo di tutti i fondi comunitari, ne pagherà ugualmente le conseguenze politiche in termini di consenso.

Nemmeno i risultati economici se verranno, come auspichiamo, preservati o addirittura intensificati nonostante le complicazioni del quadro internazionale potrebbero bastare. Perché verranno sempre più visti come il risultato di un sistema economico che li consegue quasi a prescindere dalla politica. Perché la forza del turismo e dell’industria sarebbero vissute come qualcosa che appartiene a un’altra parte e che ha una classe dirigente che resta e sopravvive a chiunque vada a Palazzo Chigi. A meno che la comunità degli affari e sociale, il mondo della produzione e del lavoro, non percepiscano e a loro volta trasferiscano la percezione che da Palazzo Chigi arriva per tutti loro e tutti noi quel qualcosa in più a livello internazionale che ci ha fatto guadagnare dei punti di credibilità che sono fiducia sull’Italia, attrazione di capitali esteri, stimolo positivo interno ai consumi e agli investimenti. Su questo plus la Meloni si gioca tutto.

Altrimenti, magari sbagliando, verrà ritenuta dal popolo sovrano intercambiabile con chiunque. È già accaduto altre volte. Alla Meloni, piaccia o meno, per realizzare il suo progetto Paese e garantire una stabilità politica di lunga durata occorre portare a termine questa svolta positiva già in atto della politica conservatrice europea. Salvini crede di poterle portare via i consensi della destra nuda e pura, ma sbaglia. Perché la stagione dei radicalismi è finita o per lo meno sta finendo.


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