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Antonio Pajno, presidente del Consiglio di Stato

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Come da noi previsto sparisce dal palinsesto delle chiacchiere la telenovela perché servono 60/70 miliardi l’anno introvabili per restituire i diritti di cittadinanza violati. La polemica politico-imprenditoriale-mediatica muore ufficialmente. Nella contraddizione semi presidenzialismo- autonomia differenziata si può solo affogare. Serve invece una revisione del regionalismo che recuperi un indirizzo centrale coerente con un premierato forte. Non ci sono più nemmeno le condizioni per andare avanti nella finzione dell’autonomia differenziata mentre tutti fingono di non vedere la supercrescita italiana, avviata da Draghi e preservata dalla Meloni, perché il racconto della paura fa comodo ai media, alla politica e ai padroni.

SIAMO stati tra i pochissimi a dire dall’inizio che l’autonomia differenziata in salsa Calderoli era poco più di una sceneggiata elettorale con la quale non valeva proprio la pena di perdere tempo. Una telenovela di quarta serie che apparteneva al mondo dell’irrealtà per la semplice ragione che mancano banalmente quei 60/70 miliardi minimo l’anno per sempre che servono per equiparare i livelli essenziali di prestazione (Lep) tra cittadini delle aree metropolitane e cittadini delle aree interne o tra cittadini delle regioni ricche e quelli delle regioni più arretrate. Siccome è scritto nel testo della proposta di legge che senza i Lep non si fa l’autonomia differenziata e che tutto deve avvenire senza aggravi aggiuntivi di spesa pubblica non si fanno i Lep e non si fa questa follia dell’autonomia differenziata. Questi sono i fatti, il resto è rumore masochista.

Chi scrive ha dato vita oltre quattro anni fa al Quotidiano del Sud-L’Altravoce dell’Italia con un’inchiesta che ha documentato lo squilibrio incostituzionale dei trasferimenti pubblici nei servizi essenziali come sanità, scuola e trasporti che fanno dell’Italia un Paese con cittadini di serie A e cittadini di serie B dalla nascita sulla base, cioè, esclusivamente del luogo in cui si viene al mondo. Attraverso lo stratagemma della spesa storica che è il grimaldello usato dal federalismo fiscale all’italiana inventato dallo stesso Calderoli in un altro governo di centrodestra di circa quindici anni fa. Con questo stratagemma si è stabilito che attraverso il bilancio pubblico di tutti gli italiani i ricchi dovevano diventare sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Questa inchiesta giornalistica da me condotta sostituì il tradizionale editoriale di esordio di un giornale e ha dato vita successivamente a una commissione d’indagine parlamentare guidata dall’ex presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche, Carla Ruocco, che ha certificato la vergogna abnorme dello squilibrio nei trasferimenti pubblici pro capite denunciato da L’Altravoce dell’Italia.

Ricordo l’intervento del ministro degli Affari regionali dell’epoca, Francesco Boccia, che alla presidente Ruocco che riferiva dei resoconti delle audizioni parlamentari e parlava di uno squilibrio complessivo di 60 miliardi l’anno, replicò testualmente: la correggo presidente, i miliardi non sono 60, ma 62 e passa. Da questo lavoro giornalistico nacque poi un mio libro dal titolo inequivoco “La grande balla” dove si raccontavano gli abissi che separavano le spese generali delle Regioni del Nord rispetto a quelle del Sud che sono in gran parte sprechi e clientele sottratti alla spesa sociale in sanità scuola, e trasporti delle aree svantaggiate del Sud come del Nord. Il senso del libro è: non è vero che il Sud vive sulle spalle del Nord, ma l’esatto contrario. Proprio perché conosciamo come pochi altri questa materia abbiamo visto con molto fastidio il solito allarme di nuove catastrofi imminenti da parte di pezzi della politica, delle imprese e dei media meridionali che vivono di rumore e amano i convegni proprio mentre il Mezzogiorno produttivo crea più occupazione di qualità del Nord, le performance di ebitda e valore aggiunto delle piccole e medie imprese manifatturiere eguagliano le eccellenze del centro nord, turismo e servizi raggiungono risultati mai visti, storia e geografia combattono silenziosamente per fare del nostro Sud il nuovo Nord dell’Europa attraverso il grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo.

Questa polemica politico-imprenditoriale-mediatica fatta di parole e di slogan e condotta da donne e uomini fuori della realtà oggi muore ufficialmente. Perché uomini del calibro di due ex presidenti della Corte costituzionale, Giuliano Amato e Franco Gallo, un uomo di rigore assoluto come l’ex presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, e dell’ex ministro della Funzione pubblica, Franco Bassanini, sono “costretti a prendere atto che non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione ai lavori del comitato” per l’individuazione dei Lep, i famosi livelli essenziali di prestazioni, voluto dal ministro Calderoli. È venuta fuori ai massimi livelli “la grande balla” su cui si regge la distorsione strutturale del bilancio pubblico italiano e, di riflesso, la successiva constatazione dell’impossibilità di rispondere alla domanda chiave sulle risorse perché mancano i soldi. Fine, dunque, si spera almeno per un bel po’ di queste sceneggiate con gente alla ricerca di poltrone, manifestazioni, alati dibattiti sul nulla, partiti inventati per lucrare voti su un fantasma e accompagnare la corsa al solito precipizio piagnucolante di un Mezzogiorno che non riesce a capire che tocca alla sua classe dirigente dare ora le carte del grande gioco della sopravvivenza europea e non più quello di continuare a piagnucolare.

Giorgia Meloni, che con Panetta e Figliuolo non ha sbagliato un colpo, prenda la palla al balzo e faccia capire a tutti che nessuno si può ancora illudere di salvare una cosa impossibile che si chiama autonomia differenziata. Si renda conto lei, ma lo sa già, e quindi contribuisca piuttosto a rendere tutti consapevoli che con un’economia che va bene per davvero come raccontiamo da tempo (è di oggi il dato del primo trimestre con il reddito delle famiglie che cresce del 3,2%, altro che finzione!) non ci possiamo permettere di affogare nella doppia contraddizione, da un lato, del semi presidenzialismo e, dall’altro, dell’autonomia differenziata, mentre abbiamo invece bisogno di una revisione del regionalismo che recuperi un indirizzo centrale coerente con una scelta di premierato più forte. Non è facile lo so, ma se la Meloni non taglia oggi, non domani, le unghie del duo Salvini-Calderoli questi la tirano giù nel baratro perché loro l’autonomia differenziata la vogliono fare anche senza i Lep e questo significa spaccare per sempre il Paese. Privando peraltro il Nord di quel Sud che sarà indispensabile per salvarlo nei prossimi venti anni.

Non esiste un Paese con governi regionali di venti stati regionali con un super stato unico peraltro di modeste dimensioni e con sempre meno abitanti che paga il conto per tutti continuando a dare ai ricchi togliendo ai poveri. Non ci sono più le condizioni nemmeno per continuare ad andare avanti nella finzione dell’autonomia differenziata mentre tutti, o quasi, peraltro continuano a fingere di non vedere la super crescita italiana, avviata da Draghi e preservata dalla Meloni, perché il racconto della paura fa comodo ai media, alla politica e ai padroni. Ovviamente con le loro eccezioni. Come ha fatto l’altro giorno il presidente dell’Assolombarda, Alessandro Spada, che è riuscito a parlare di orgoglio dell’impresa italiana locomotiva d’Europa dopo due anni di previsioni catastrofiste del centro studi di Confindustria puntualmente smentite dai fatti.


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