Raffaele Fitto
3 minuti per la letturaCi sono le corporazioni della destra e della sinistra. Il lavoro autonomo comanda con la prima, un pezzo di sistema burocratico-giudiziario con la seconda. Le incrostazioni regionali sono trasversali. Il problema dell’Italia di oggi sulla concorrenza è cambiare mentalità per fare in modo che si superino queste incrostazioni di vario tipo. Bisogna che la nuova Destra di governo capisca che ciò che eredita fa parte di uno stadio ormai superato dell’organizzazione sociale e che nel mondo capovolto che colloca al centro l’asse Sud-Nord l’Italia è favorita, ma vince solo se l’Europa ci riconosce come gente che ha preso sul serio il cambiamento e lo attua. Anche perché i mercati interni oggi contano più di prima.
Nel mondo capovolto dalla deglobalizzazione post pandemica e dai carri armati russi in Ucraina succede che la manifattura tedesca continua a scendere con l’indice Pmi che passa dai 43,2 punti di maggio ai 41 di giugno e quello Pmi servizi che parallelamente declina da 57,2 a 54,1. Si tratta di risultati largamente sotto le attese: l’indice dei servizi era stimato a 56 punti; quello della manifattura a 43,6. L’indice composito, che è la sintesi di entrambi, scende dai 53,9 punti di maggio ai 50,8 di giugno, contro una previsione di 53,5. Sulla strutturalità della crisi economica tedesca di oggi, purtroppo, non ci sono più dubbi. Perché sono il modello di relazioni internazionali e quello interno di consumi che soffrono congiuntamente da troppo tempo.
A fronte di tutto ciò l’export italiano corre a vele spiegate puntando ai 667 miliardi a fine 2023 (+6,8%) affiancando alle tradizionali aree geografiche di riferimento (Germania, Stati Uniti, Francia e Cina) i Paesi del Golfo con in testa l’Arabia Saudita (+15,6%) e gli Emirati (+10%) seguiti da India (+10,3%), Vietnam (+8,1%), Messico(+8,4%), Brasile (+7,2%) e Croazia (+14,4%) con una forte spinta in termini relativi dalla Cina (+17% come mercato di destinazione) e nella vendita globale dei beni legati alla transizione energetica. Anche le previsioni per gli anni a venire (2024-2025) nonostante le incertezze del quadro globale sono di segno positivo con un trend di crescita ulteriore ancora di livello sostenuto.
Siamo il Paese europeo con la migliore impresa esportatrice perché ha nel suo dna lo spirito della concorrenza e lo ha saputo declinare a livello di organizzazione e di investimenti in ricerca e innovazione di processo e di prodotto. Questo spiega la capacità solo italiana di supplire alla caduta del mercato tedesco con il massimo di dinamismo e flessibilità su nuovi mercati extra europei e dell’eurozona allargata. Vogliamo sottolineare questo punto della capacità di concorrere delle nostre imprese nel mondo per sottolineare quante energie altrettanto positive potremmo sprigionare sul mercato interno se si procedesse con un decreto concorrenza che facesse finalmente sul serio su ambulanti, taxi, balneari e così via o se facessimo meno meline sul Mes che ci espongono al ridicolo e possono incidere sui costi delle nostre emissioni di titoli sovrani. Non si tratta di piccole cose perché uscire dalla logica del Paese delle lobby per un governo che vuole fare un governo rivoluzionario e vuole durare nel tempo è un passaggio obbligato.
Mentre il ministro Fitto, nonostante il coro mediatico interno avverso, sta silenziosamente lavorando per creare una struttura pubblica in grado di fare le cose nei tempi concordati seguendo peraltro il metodo europeo della valutazione preventiva dei progetti e delle scadenze dei singoli programmi di finanziamento, emergono viceversa le incrostazioni del sistema italiano che con tutti i governi è stato un sistema sempre corporativo perché è difficile per chiunque liberarsi dalle pressioni corporative storicamente organizzate.
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