Il presidente Sergio Mattarella
5 minuti per la letturaAffiancare al voto del Parlamento, sacro perché sovrano, quello di grandi elettori scelti dal mosaico dei corpi sociali, economici, delle grandi magistrature e di tutte le rappresentanze territoriali. Ogni tessera del mosaico deve essere eletta e alzare il numero dei grandi elettori del Capo dello Stato a 800/900. Bisogna costruire le condizioni perché l’Italia possa scegliere e contare per sempre sul suo arbitro che lavori nell’interesse esclusivo del Paese. La decisione di Giorgia Meloni di coinvolgere le parti sociali anche sulla riforma costituzionale aiuta a acquisire la consapevolezza che serve per preservare il valore di un arbitro che tuteli il sistema Paese. La forza della democrazia e il peso delle nazioni sono il frutto di scelte politicamente lungimiranti. Capaci di uscire dai calcoli del proprio giardinetto
Sergio Mattarella con la sua visita ieri nei territori feriti dell’Emilia- Romagna dimostra ancora una volta il suo modo naturale di mettersi in sintonia con la gente, non dimostra solo di dare un’immagine positiva delle istituzioni che è ovviamente ugualmente importante. Non sarete soli, detto da lui, entra nella testa delle persone e infonde sicurezza.
Ha dato l’ennesima prova di rappresentare il cuore della nazione e questo interroga la coscienza profonda del Paese sull’esigenza di porsi il problema di avere sempre alla sua testa una persona in grado di svolgere questo ruolo. Le menti più illuminate hanno il dovere di porsi questo problema e di indicare una soluzione. È evidente a tutti che oggi Mattarella incarna più di chiunque l’etica del servizio alla nazione al di sopra delle parti.
Lo fa con abnegazione totale per l’età che ha, che su di lui non pesa e agli altri non appare. Per questo è il garante dell’unità nazionale e per questo è in grado di esercitare il ruolo della moral suasion. Perché Scalfaro, ad esempio, non riuscì a svolgere questo ruolo? Perché era un uomo di parte e gli altri che non erano della sua parte non lo accettavano.
Oggi Mattarella non è considerato più da nessuno un uomo di parte. Questo è il suo punto di forza assoluto. Così come in altri contesti hanno fatto sia Ciampi che Napolitano. Il primo in modo più accettato e riconosciuto da tutti perché aiutato da un carattere e una modalità espressiva che lo portavano a parlare al cuore delle persone. Il secondo, anche per la sua storia politica pregressa di parte e i momenti difficilissimi che ha dovuto attraversare, lo ha invece fatto con intelligenza politica trovando sempre resistenze in una dialettica contrastata durante e dopo il suo mandato presidenziale.
Il punto è che per avere un altro Mattarella arbitro della vita politica, sociale, economica, culturale dell’Italia, che è stato un regalo del cielo, per avere cioè per sempre un arbitro dell’intero sistema Paese così come è successo in altri pochissimi casi, bisogna cambiare il sistema di elezione del Presidente della Repubblica. Non bisogna farlo eleggere direttamente dalle persone e nemmeno solo dai rappresentanti del popolo eletti in Parlamento. Per vedere come si fa a preservare questa funzione di grande magistero morale e di figura super partes che lui ha dimostrato di essere ci può aiutare quello che io chiamo il lodo di Paolo Pombeni che ai miei occhi, come storico e scienziato della politica, non ha pari in Italia.
La sua idea è che bisogna pensare di creare un collegio elettorale di secondo grado per la nomina del Capo dello Stato. Bisogna affiancare al voto del Parlamento, sacro perché sovrano, quello di grandi elettori scelti dal mosaico dei corpi sociali, economici, delle grandi magistrature, del mondo delle professioni e dell’Università e della ricerca, e di tutte le rappresentanze territoriali nessuna esclusa.
Ogni tessera di questo mosaico deve essere eletta, cioè votata dal suo mondo di provenienza, e elevare il numero dei grandi elettori del Capo dello Stato a ottocento/novecento. Più o meno è quello che accadde con la riforma del ’58 che portò alla prima elezione in Francia di De Gaulle che poi nel ’62 introdusse l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. L’obiettivo finale è quello di avere una grande assemblea con dentro tutti – parlamentari, rappresentanti eletti dalla Corte costituzionale, dal mondo produttivo, dai territori e così via – che in qualche misura depoliticizza il voto e impegna ognuno dei grandi elettori alla consapevolezza di nominare un arbitro che rappresenti davvero tutto il Paese. Questo sarebbe molto importante.
Non è un ritorno al corporativismo, ma alla piena sovranità politica di un sistema Paese che è fatto di corpi sociali, economici, culturali. Di un sistema totalmente eletto che viene chiamato a concorrere all’elezione di quello che non sarà l’arbitro delle scelte politiche, ma l’arbitro della vita politica, economica, sociale, culturale del Paese, cioè, di tutto il sistema, della sua vita interna e della sua collocazione internazionale. Mattarella lo ha fatto e lo fa benissimo, ma è stato un regalo dal cielo. Come lo furono in modo diverso Ciampi e Napolitano.
Non si può sperare che i miracoli si ripetano. Bisogna pensarci bene per tempo e costruire le condizioni perché il Paese possa per sempre godere del beneficio di avere il suo arbitro che lavori esclusivamente nell’interesse del Paese. La scelta di Giorgia Meloni di coinvolgere le parti sociali anche sul tema della riforma costituzionale può aiutare a acquisire quella consapevolezza profonda che serve per preservare il valore di un arbitro che tuteli il sistema Paese nei suoi interessi costitutivi e generali. La forza della democrazia e il peso delle nazioni sono il frutto di scelte politicamente lungimiranti. Capaci di uscire dai calcoli del proprio giardinetto.
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