Matteo Salvini e Roberto Calderoli
4 minuti per la letturaMette in gioco la stabilità che garantisce la migliore crescita europea, l’appetibilità dei nostri titoli sovrani sui mercati in un momento complicato di alti tassi e una collocazione che ci conferma a fianco dei Paesi Fondatori in Europa ma ci rende protagonisti di un processo che ha il Mediterraneo al centro della sua strategia. L’autonomia differenziata aumenta la complessità del quadro fiscale. Mette a rischio la tenuta dei conti pubblici e l’indirizzo della spesa. Aumenta la frammentazione decisionale che blocca gli investimenti del Pnrr. Allarga il solco delle diseguaglianze e ci pone sotto osservazione strutturale dell’Europa. Davvero troppo per non chiuderla in un cassetto e percorrere il cammino inverso peraltro già intrapreso.
Seppellitela voi in fretta l’autonomia differenziata, prima che seppellisca voi. Su questo punto il governo Meloni e tutti i suoi azionisti di maggioranza (nessuno escluso) devono riflettere seriamente. Perché è in gioco quella stabilità politica di governo che sta garantendo la migliore crescita europea, l’appetibilità dei nostri titoli sovrani sui mercati in un momento complesso di alti tassi, una collocazione strategica nel nuovo quadro europeo che ci conferma a fianco dei Paesi Fondatori ma ci rende protagonisti in un processo che pone al centro della sua nuova strategia il Mediterraneo come valore in sé e, allo stesso tempo, come opzione obbligata di sviluppo dopo che i carri armati russi in Ucraina hanno cancellato l’asse Est-Ovest sostituendolo con quello Sud-Nord.
Non c’è persona di buon senso che non abbia capito che l’unico macigno che può rotolare sulla strada di un disegno così ambizioso ma realistico e su cui si è già bene avviati con riscontri internazionali autorevoli, è proprio quello dell’autonomia differenziata. L’Europa ha mandato su questo punto segnali inequivoci nelle sue raccomandazioni specifiche all’Italia. Primo. Rischia di aumentare la complessità del quadro fiscale, cosa di cui veramente non si sente il bisogno, anche perché va in senso opposto ai principi di semplificazione voluti dalla riforma fiscale dello stesso governo. Secondo. Mette a rischio la tenuta dei conti pubblici del Paese e a repentaglio la capacità del governo di indirizzare la spesa pubblica.
Capite da soli che significa giocare pericolosamente con la stabilità dei conti pubblici e lo sviluppo dell’economia e, cioè, con qualcosa di semplicemente irrinunciabile. Terzo. Rende difficile fornire gli stessi livelli essenziali di servizi in regioni storicamente a bassa spesa, anche per la evidente mancanza di un meccanismo perequativo senza risorse aggiuntive dato che la legge stessa sancisce che questa riforma sia neutrale dal punto di vista del bilancio pubblico. Qui siamo davanti proprio al problema dei problemi civile, prima che economico, che appartiene ai principi fondanti di questo giornale.
Abbiamo documentato che servono oggi in partenza 60/70 miliardi per consentire la parificazione dei diritti di cittadinanza nella sanità e nella scuola come nei trasporti tra chi ha la fortuna di nascere e vivere in aree ricche rispetto a quelle meno ricche. Tema, peraltro, che tocca il rapporto tra Nord e Sud del Paese, ma anche trasversalmente quello tra aree metropolitane e aree interne. Questo tema custodisce in sé il tradimento dei valori fondanti della Costituzione, ma rappresenta anche uno dei punti di maggiore peso della crisi competitiva del Paese. Perché sottrae malcontati a una ventina di milioni di persone e ai tessuti produttivi da loro abitati situazioni di contesto indispensabili per aumentare il margine di crescita complessivo del Paese.
Oltre ovviamente a somministrare quotidianamente virus patologici di disintegrazione della tenuta civile e sociale della comunità, allargare il solco delle diseguaglianze, rendere complessivamente più fragile il sistema Paese. Inserire su un quadro già così abnormemente sbilanciato la possibilità da parte delle Regioni più ricche di trattenere sui loro territori parte di quelle maggiori entrate fiscali in gran parte frutto peraltro della anomalia fondante della ripartizione della spesa pubblica territoriale e in misura altrettanto rilevante dalla sottovalutazione sui luoghi dove si crea realmente quella ricchezza produttiva o finanziaria su cui si pagano poi le tasse in questo o quel territorio, significa semplicemente aumentare vistosamente le disparità che vanno ridotte e aumentare quella frammentazione decisionale che blocca la capacità di fare spesa pubblica produttiva dell’intero Paese.
Se incontriamo difficoltà nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), ed è merito proprio di questo governo avere avuto il coraggio politico di denunciarlo, è proprio perché usciamo da venti anni di egemonia dei cosiddetti governi regionali che hanno le peggiori performance di spesa e la minore qualità di investimenti attuati. Anche su questo punto i rilievi europei sulla “inefficacia amministrativa subnazionale” colgono perfettamente il segno dell’azione meritoria del nuovo governo impostata e condotta dal ministro Fitto. Consigliamo a tutti, a partire dalla Lega di Salvini, di non scherzare più con il fuoco e disinnescare l’unica miccia vera accesa sotto il tavolo della stabilità politica e della crescita italiana. Ne sarebbero travolti.
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