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Se è Dario Franceschini l’uomo forte del nuovo corso è questo il momento che prenda in mano la situazione per dimostrare che esiste un pensiero del Pd al di là dei diritti. Che è un tema sociale e civile assolutamente rilevante, ma non può avere la centralità nel dibattito del Paese che ha l’economia. Ormai tutti chiedono: ma qual è la linea di politica economica del Pd? Il punto non è solo dire “ci siamo” sul Pnrr, obbligatorio in un contesto così delicato, ma essere un partito capace di agire su investimenti e politiche industriali. Ricerca, innovazione, lotta alle diseguaglianze incidendo sui divari. Tutto ciò che è governo di un Paese e che può fare o non fare del Pd un partito legittimato a governare. Perché capace di avere e attuare politiche gestibili. Perché si mette nella dialettica della costruzione non dell’agitazione.

Si è arrivati al dunque dello schema “diritti, diritti, diritti” del nuovo Pd di Elly Schlein. Nessuno discute la battaglia civile, le ragioni fondanti e lo spirito con cui la si conduce, ma emerge ogni giorno di più un drammatico problema di sostanza che va oltre i diritti. Il capo dei Cinque stelle, Giuseppe Conte, si dichiara pronto a sedersi intorno a un tavolo per discutere tutti insieme del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) perché sul futuro del Paese non si può scherzare, ma la neo capogruppo del Pd alla Camera, Chiara Braga, si esibisce in un concentrato pubblico di dichiarazioni demagogiche contro il governo Meloni parlando genericamente di ritardi sul Pnrr.

Che riguardano, peraltro, proposte bocciate dalla Commissione spesso tirate fuori dai cassetti di fretta e furia proprio da sindaci della sua parte politica. Sono fatti che sconcertano perché tutto può essere il Pd salvo che un intruglio di schizofrenica demagogia visto che non è la sua storia e che quando si copiano gli altri non si riesce mai a scalfire stabilmente le basi elettorali di chi ne detiene il diritto di autore.

Se come tutti dicono è Dario Franceschini l’uomo forte che ha determinato il nuovo corso è questo il momento che prenda in mano con urgenza la situazione per dimostrare che esiste un pensiero del Pd al di là dei diritti. Che è un tema sociale e civile assolutamente rilevante, ma non può avere la centralità nel dibattito del Paese che ha invece oggi obbligatoriamente la linea di politica economica. Deve dimostrare il Pd di essere un partito di governo anche quando fa opposizione.

Ormai se lo chiedono tutti con un fastidio crescente: ma qual è la politica economica del Pd? Si riesce a uscire dagli slogan ripetuti a pappagallo o no? Il punto non è solo di dire “ci siamo” sul Pnrr, assolutamente obbligatorio in un contesto delicato come quello attuale, ma anche di essere un partito capace di agire su tutte le policies che delineano il profilo riconoscibile di un partito. Parlo delle politiche industriali come di quelle sugli investimenti. Parlo di politiche di ricerca e di innovazione. Parlo di politiche effettive di lotta alle diseguaglianze per ridurre i divari territoriali, di genere e generazionali. Parlo di tutto ciò che si chiama governo di un Paese e che può fare o non fare del Pd un partito legittimato a governare perché capace di avere e attuare politiche gestibili.

Leggete che cosa ha scritto Giuseppe Conte in un suo intervento pubblicato ieri dal Corriere della Sera: “Qui è in gioco la credibilità dell’Italia. Se falliamo sul Pnrr non fallisce solo Giorgia Meloni, fallisce l’Italia intera e la possibilità del suo definitivo rilancio. Perdere questa occasione significa lasciarsi sfuggire una capillare rivoluzione in termini di maggiori investimenti nella sanità, nelle scuole, nelle infrastrutture, in tutto ciò che può farci affrontare una impegnativa transizione ecologica e digitale, nel segno di una maggiore inclusione sociale.

Il nostro fallimento rischia di trascinare con sé anche il fallimento dell’idea di un’Europa solidale, con il risultato di lasciare campo libero ai falchi dei tagli e dell’austerità e di aprire un’autostrada a un rinnovato senso di sfiducia verso l’Italia e verso l’Europa intera. Per questi motivi il M5S non lascerà nulla di intentato. È disponibile a sedersi a un tavolo e a rimboccarsi le maniche per dare il proprio contributo nell’interesse comune, per rimediare ai ritardi collezionati in questi mesi e agli errori sin qui commessi. Dobbiamo farlo tutti, anche coloro che, come noi, sono linearmente all’opposizione”. Questo intervento di Conte, pienamente condivisibile, rientra nella natura della furbizia che appartiene all’uomo politico. Ha capito che il suo elettorato ha sensibilità su certi temi, ma è lontano dalla ossessiva declinazione con toni da salotto radical chic.

Si conferma Conte, come è già avvenuto in campagna elettorale, un politico che è furbo e fiuta l’opinione pubblica più degli altri. Ha capito che oggi il sentiment generale è quello della solidarietà nazionale perché nessuno vuole fare naufragare il Paese. Anzi, il sentiment che viene dalla gente, è quello che la politica e le classi dirigenti hanno l’obbligo di non fare naufragare il Paese, non di continuare la gara a chi la spara più grossa. Che questo andazzo, al quale i Cinque Stelle e il Conte pasdaran molto hanno contribuito, non è più accettabile. Perciò è proprio lui Conte a sparigliare e a mandare un messaggio chiaro agli altri che pensano di proseguire con i giochetti di prima. Un messaggio che dice che è cambiato tutto.

Che il Paese oggi non vuole perdere un’occasione storica e che, siccome questa occasione è entrata in una fase anche rischiosa, le persone che hanno un po’ di sale in testa devono stare bene attente a non farla perdere o debbono almeno evitare che si possa pensare che hanno contribuito alla disfatta con i loro comportamenti demagogici. Il Pd è ancora una volta spiazzato. Pensava che il problema fosse quello di fare la lotta al grillismo alla vecchia maniera e invece si trova di fronte un grillismo nuova maniera di cui deve tenere conto. Una sinistra che vuole essere di governo non può non porsi il tema delle priorità strategiche e dei dossier su cui bisogna lavorare seriamente tutti insieme obbligatoriamente.

C’è sempre questa idea che viene forse dall’estero di una narrazione del Pd della Schlein e di una narrazione che c’è in tutto il mondo che mette insieme diritti e salario minimo. Anche la sacrosanta battaglia sul salario minimo, però, si riduce a una bandierina se non è inserita dentro un disegno di sviluppo del Paese. Che a sua volta si mette nella dialettica della costruzione, non in quella dell’agitazione. Che è proprio quella che non serve oggi. Se ne sono accorti alcuni profeti del Conte due che furono proprio quelli a rincorrere i progetti alla meglio rimpannucciandoli sotto qualche parola chiave ecologica, è bene che il Pd faccia altrettanto con maggiore visione e determinazione. D’altro canto non si può dire che tutti non siano stati avvisati per tempo e che non sia mancato chi abbia avvertito che alcuni Paesi del Nord Europa vogliono riprendersi anche un po’ di quello che ci hanno dato. Offrire loro con le nostre divisioni un alibi gratis, sarebbe solo suicida.


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