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Giorgia Meloni

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L’Italia sta facendo in economia meglio di Germania e Francia. Le deroghe agli aiuti di Stato in una logica anti americana di cortile, più ancora che le cene a tre all’Eliseo senza l’Italia, rientrano come arma in questa miope lotta economica in Europa. Che avrà futuro solo se sarà federale con l’Italia al centro. Se siamo capaci di darci la governance per fare spesa effettiva di qualità, allora l’Europa tutta con il duo franco tedesco farà il nuovo recovery di debito comune e poi uno all’anno per dieci anni. Saremo noi a guidare perché avremo dimostrato di usare bene quelle risorse e loro con le fughe in avanti del vecchio mondo antico faranno la figura di chi non aveva capito niente. Saranno loro francesi e tedeschi ad avere sottovalutato noi e non noi ad averli sopravvalutati. Il punto è che tutto ciò neanche bisogna dirlo, ma farlo. Perché se si continua a polemizzare con loro e a fare promesse si finisce con dare ragione a loro e a fare male a loro, all’Europa e ovviamente anche a noi.

“Competition is competition” disse Romano Prodi nel 1999 quando teneva a battesimo l’Asinello, formazione politica che si inserì all’epoca nella competizione tra i Popolari e i Ds. Con le debite differenze tra una vicenda politica italiana di un altro mondo e il quadro europeo di oggi percorso dai venti di guerra nel cuore dell’Europa e da un ciclo globale dove si intrecciano tensioni monetarie con quelle sulle materie prime, è evidente a tutti che oggi è in atto una miope lotta selvaggia tra i grandi Paesi per essere al primo posto in Europa.

Noi italiani siamo troppo piccoli per pesare militarmente come soggetti forti a fianco di Zelensky nella guerra con la Russia di Putin, ma abbiamo attraversato i due anni della grande crisi post pandemica e di origine bellica umiliando con la nostra economia Francia e Germania. Abbiamo dimostrato di avere imprese che hanno investito in macchinari e prodotti e hanno conquistato mercati nel mondo a un ritmo addirittura doppio della grande manifattura tedesca.

Abbiamo avuto tassi di crescita che né le grandi economie europee né Cina e Stati Uniti hanno potuto realizzare. Abbiamo avviato un processo riformatore compiuto che ha accresciuto la nostra credibilità internazionale e siamo tornati ad essere attrattivi per i capitali industriali come per il turismo internazionale. Il mondo agroindustriale ha conseguito primati nei suoi conti con l’estero che non aveva mai raggiunto. Consumi e servizi hanno fatto il loro alla grande. Tutto questo può suscitare qualche perplessità e aumentare le diffidenze nei nostri confronti del tradizionale tandem franco tedesco che ha avuto sempre saldamente in mano il timone politico europeo.

Gli aiuti di Stato in chiave di competizione globale con gli Stati Uniti in una logica perdente di cortile, più ancora che delle cene a tre all’Eliseo senza l’Italia, rientrano come arma economica in questa miope lotta selvaggia per la guida dell’Europa. Che viceversa avrà un futuro solo se dimostrerà di sapere attuare il disegno del suo indiscusso leader politico, che è stato ed è Mario Draghi, e non può non essere altro che quello di un’Europa federale con l’Italia al centro nella politica economica come in quella estera e di difesa. Su questi punti fermi dove interesse nazionale italiano e interesse strategico europeo arrivano addirittura a sovrapporsi semplicemente perché coincidono, si gioca la partita vera di Giorgia Meloni e della Destra italiana al governo.

Fare confronti con Draghi non è possibile né per lei né per altri perché il collante che ha fatto diventare il tandem un trio è frutto della storia europea di Draghi che è riconosciuta da tutti fuori dell’Italia, meno che in casa nostra. Bisogna, però, avere piena consapevolezza che si è aperto uno spazio negoziale in sede europea che è frutto proprio del lavoro certosino del ministro Raffaele Fitto e di una premier, Giorgia Meloni, che ha saputo dialogare in modo fattivo con le istituzioni europee.

Questo spazio effettivo riguarda la flessibilità nell’utilizzo dei fondi europei per i Paesi come l’Italia che hanno meno agibilità fiscale per fare più aiuti di Stato a sostegno delle loro economie. Questo spazio effettivo, non le bandierine malferme sui migranti e la rincorsa dialettica più o meno immaginifica sulle classifiche tra Paesi di serie A e di serie C, è la sfida italiana del futuro.

Stiamo parlando di qualcosa che per il nostro Paese vale circa 300 miliardi di risorse europee tra fondo perduto e prestiti di favore con Pnrr e “coesione e sviluppo” e può valere per difetto almeno dieci punti di Pil aggiuntivi. Che significano la possibilità concreta di cominciare a riunificare le due Italie, la base per rendere realistico il sogno del nostro Mezzogiorno come hub energetico e industriale del Mediterraneo per sostenere la crescita europea. Allora, diciamocela tutta, non buttiamo via i soldi veri che l’Europa ci ha dato per fare le solite sceneggiate politiche che non ci porteranno di un centimetro più avanti e rischiano piuttosto di farceli perdere.

Le sceneggiate politiche lasciamole fare agli altri e usciamo dal circuito perverso delle bandierine ideologiche e delle immagini a effetto per attuare la rivoluzione di spendere tutti i soldi che ci sono stati dati e di spenderli bene. Se siamo capaci di fare la governance centralizzata che serve per uscire dal mondo delle carte messe a posto ed entrare in quello dei cantieri aperti e degli impegni di spesa effettivi, allora l’Europa tutta con il duo franco tedesco in prima fila accanto a noi dovrà fare il nuovo recovery con debito comune, anzi dico di più, ne dovranno fare uno all’anno per dieci anni.

A quel punto, saremo noi ad averli fatti fuori tutti perché sul tavolo giocheremo la carta pesante della credibilità riconquistata da parte nostra sul campo. Perché avremo dimostrato finalmente di usare bene quelle risorse aumentando la crescita, che è qualcosa addirittura di più concreto della cambiale in bianco firmata all’Italia sul nome di Draghi, e loro con le piccole fughe in avanti del vecchio mondo antico faranno la figura di chi non aveva capito niente. Sarà chiaro a tutti che loro hanno sbagliato tutto.

Perché saranno stati loro ad avere sottovalutato noi e non noi ad essere caduti nel solito giochino di potere di un mondo che non c’è più ad avere sopravvalutato loro. Il punto è che tutto ciò neanche bisogna dirlo, ma piuttosto bisogna farlo. Perché finché si continua a polemizzare con loro e a fare promesse si finisce con il dare ragione a loro e a fare male a loro, all’Europa e ovviamente anche a noi.


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