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Questa è la vera scommessa della nuova politica estera italiana e si costruisce dentro un’Europa che ha una quota di Pil mondiale inferiore a Stati Uniti e Cina ma se fa politica estera europea comune mettendo al centro l’asse Sud-Nord e il Mediterraneo può potenzialmente pesare più di Stati Uniti e Cina e è la sola in grado di fronteggiare il gioco di potere di interessi autocratici turchi, russi e cinesi che hanno acceso sull’Africa l’ipoteca coloniale che l’Italia vuole cancellare con il Piano Mattei e che l’Europa ha interesse, oltre che il dovere, di contribuire a cancellare. Ovviamente Italia, Francia e Germania devono smettere di farsi la guerra e sfruttare insieme l’unica storica occasione che ha l’Europa per preservare e intensificare la crescita europea.

Il prodotto interno lordo (Pil) mondiale è pari a 102 trilioni di dollari. Di questi 25,3 li fanno gli Stati Uniti ai quali bisogna aggiungere i 2,2 di Canada di modo che messi insieme sono oltre un quarto del Pil mondiale. La Cina ne “fabbrica” 19,9 del totale e l’Europa tutta insieme si colloca un po’ sotto. La Germania di questa Europa calcolata tutta unita si ferma a 4,3 trilioni e, quindi, da sola nel mondo non conta nulla o, se volete, senza l’Europa non esiste.

Anzi, diciamo di più, la stessa Europa esiste solo se è unita come area comune di politica economica interna, di politica estera e di difesa e se decide di giocare insieme con un assetto di governance federale la sua partita sullo scacchiere mondiale. Se decide finalmente di mettere insieme debiti e investimenti e sceglie una governance in grado di prendere decisioni effettive e compiere scelte strategiche all’altezza del conflitto mondiale di civiltà in atto tra autocrazie e mondo occidentale. La Russia vale in termini di Pil mondiale 1,8 trilioni contro i 2,1 dell’Italia e questi due numeretti ci dicono tutto sulla debolezza economica della Russia di Putin che non può avere ambizioni da potenza mondiale al punto da non avere più neppure i carri armati per combattere la sua guerra di invasione in Ucraina e dovere ricorrere per i droni addirittura agli iraniani.

La Cina ha investito nella manifattura e i risultati si vedono. La Russia ha investito nella spesa militare e nella materia prima energetica usata come arma di guerra e anche qui i risultati si vedono. Oltre a un problema di ordine democratico mondiale tra Russia e Occidente esiste un problema Russia in sé. Facciamo i conti in questo scenario di guerra militare nel cuore dell’Europa che vive i giorni dell’escalation e appare senza fine con una guerra mondiale di materie prime di origine bellica e con gli effetti di riglobalizzazione determinati dalla grande crisi globale di origine pandemica che accorcia le catene della logistica e ridisegna l’ordine mondiale. Come scriviamo ormai da tempo il nuovo asse strategico della politica internazionale è diventato quello Sud-Nord recuperando una centralità del Continente africano per stazza demografica, forza portuale e di traffici nel Mediterraneo, capitale di materie prime energetiche e terre rare indispensabili per la vecchia e la nuova economia alla luce della scarsità determinata dal blocco dei rapporti del mondo con la Russia.

In questo senso la missione di ieri della premier italiana, Giorgia Meloni, in Libia stando molto bene attenta a non schierarsi tra una fazione e l’altra in guerra tra di loro non va vista solo per gli innegabili risultati in termini di accordi dell’Eni di estrazione e produzione di gas attraverso giacimenti offshore per il loro valore commerciale (8 miliardi di dollari) che danno a noi e all’Europa, ma danno anche futuro come è giusto alla stessa Libia che dell’Eni si è sempre fidata di più rispetto alla francese Total.

Questa nuova visita in Libia va percepita per quello che rappresenta di strategico (“aiuteremo i Paesi africani a crescere”) dopo la missione in Algeria e quelle in Egitto e nei Paesi dell’area condotte dal vice-premier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Siamo alla forza visionaria di La Pira che voleva l’Africa seduta da pari a pari al tavolo dei Grandi (di cui parleremo bene domani) e a una scommessa geopolitica tra player globali che è legittimata dalla posizione strategica del Mezzogiorno italiano come porta del Mediterraneo per il Vecchio Continente.

L’indicazione all’Europa di investire sul nuovo asse strategico Sud-Nord e la rivendicazione del ruolo di capofila del nostro Sud come hub dell’Europa non solo per l’energia, l’industria del mare e la logistica, ma anche per la manifattura di qualità che è l’industria del futuro. Tutto bene, dunque. Sì, ma a condizione che non si percepiscano le intenzioni giuste come fatti e si abbia piena consapevolezza della massa di questioni in termini di sicurezza e di interessi che il continente africano, preda del gioco di potere delle autocrazie cinese, turca e russa, pone a chiunque voglia svolgere in quei territori un suo ruolo. È importante certo l’accordo con l’Algeria, ma il gas bisogna estrarlo e si deve essere messi nelle condizioni di potere attuare il piano di estrazioni. È importante l’accordo in terra libica, come è prezioso il ruolo dell’Eni, ma avendo ben presente che il problema della stabilità di quel Paese è materia incandescente.

Bisogna avere coscienza che il Sahel è frammentato tra il residuo francese, i nuovi venuti russi, terrorismo e bande. Che il Mali è già russo, il Burkina Fasa quasi, e che anche la Repubblica Centraficana è già russa. Con ombre cinesi ovunque. Il Niger ha di fatto una sola risorsa, l’uranio, che è gestita da capitali francesi. La Turchia ha le mani dappertutto in Libia come in Siria ed è un Paese industriale, quindi, un competitor autocratico da non sottovalutare. Non ci piacciono quelle ricorrenti azioni svalutative che vengono da parte della Sinistra e dei suoi capi storici nei confronti della missione africana della neo premier Meloni e della battaglia che sta conducendo per ridare centralità al Mezzogiorno come hub dell’Europa.

Perché come al solito fanno fatica a capire che sta cambiando il quadro mondiale e che l’occasione oggi per l’Italia è irripetibile ma che per l’Europa è anche l’unica occasione storica che ha per preservare e intensificare la sua crescita. Sarebbe bene che al posto di fare la solita polemica sui “bilaterali meloniani del nulla”, aumentasse la consapevolezza che è interesse comune riunire con la presidente von der Leyen, Macron, Scholz e Meloni per una volta convintamente tutti insieme decisi a cambiare passo non solo rispetto ai migranti, ma soprattutto rispetto alla sfida delle sfide che è fare del Mezzogiorno italiano qualcosa che vada molto oltre il porto dell’accoglienza. La sfida è fare del Mezzogiorno italiano il porto della trasformazione del valore aggiunto del gas, delle materie prime e ancora di più della nuova economia e, cioè, di un’industria che crea valore aggiunto e che in un’ottica tutta europea e anche tutta mediterranea guarda all’asse Sud- Nord come l’asse della nuova manifattura del Mediterraneo che genera valore per l’Europa.

Questa è la vera scommessa della nuova politica estera italiana e si costruisce dentro un’Europa terzo soggetto mondiale per Pil che fa politica estera europea e si muove insieme avendo alla testa Italia, Francia e Germania che la smettano finalmente di farsi la guerra. Che può potenzialmente pesare più di Stati Uniti e Cina e che è la sola in grado di esprimere una forza tale da fronteggiare il coacervo melmoso di interessi autocratici che hanno acceso sull’Africa l’ipoteca coloniale che l’Italia vuole cancellare e l’Europa ha interesse, oltre che il dovere, di contribuire a cancellare.


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