Biagio Mazzotta
5 minuti per la letturaPer la guida del dicastero dell’Economia e della Farnesina sono state fatte scelte che rispettano al meglio i canoni di credibilità internazionale che stanno segnando il passo di Giorgia Meloni rispetto ai mercati e all’Europa. Questo passo deve fare scansare la trappola dell’autonomia differenziata leghista e chiudere la caccia alle streghe sulla speculazione alla stazione di servizio disinnescando una mina che mette benzina nel motore dell’inflazione. L’autonomia differenziata di oggi e il chiacchiericcio europeo sui sovranismi di ritorno sono l’errore strategico da bandire. Assomiglia a quello compiuto dal Pci all’inizio degli anni Sessanta quando liquidò come una bolla capitalistica il disegno di progresso del Paese. Non si può alimentare al proprio interno quella stessa doppia velocità che si rimprovera all’Europa. Agire molto, parlare poco
Giorgia Meloni ha conquistato in pochi mesi credibilità in Europa e sui mercati perché prevale la convinzione che non ci saranno passi azzardati sui temi della finanza pubblica, le cosiddette fughe in avanti da molti adombrate che avrebbero preparato ritirate rovinose. Questo non è accaduto, anzi, la percezione che gli interlocutori internazionali e nazionali della prima donna premier italiana ricevono dalle loro conversazioni con lei è un’applicazione seria ai temi dell’economia, la piena consapevolezza delle compatibilità determinate dal quadro globale, e anche una certa convinzione che il principio della competenza con i filtri inevitabili di un governo politico avrà un peso determinante nelle scelte che andrà a fare.
È bene dire subito che la doppia scelta di Riccardo Barbieri Hermitte e di Riccardo Guariglia rispettivamente come direttore generale del ministero dell’Economia e segretario generale del ministero degli Esteri rientra nei canoni dell’eccellenza assoluta per quello che esprimono i loro curriculum e il giudizio comune sulle loro persone. Hanno il profilo internazionale caratteristico per l’esercizio della specificità dei ruoli, che è decisivo in entrambi i casi, perché riguarda i vertici dell’apparato dello Stato sui quali dentro e fuori questa esperienza di governo sarà giudicata. Non è qui il momento di dare un giudizio sulla direzione del Tesoro di Alessandro Rivera che non potrebbe non essere articolato tra piano internazionale e piano interno e sull’anno e mezzo e qualcosa dell’ambasciatore Sequi alla guida della Farnesina.
Vogliamo anche dire con altrettanta chiarezza che la conferma di Biagio Mazzotta, che ha acquisito sul campo i galloni dei grandi Ragionieri generali dello Stato, dimostra la consapevolezza di tutelare la forza tecnica di una delle poche strutture italiane che ha preservato negli anni il massimo di credibilità e di efficienza facendo piazza pulita di un chiacchiericcio tanto rumoroso quanto dannoso. Parlare poco, agire molto. Questo è l’unico passo possibile per il governo Meloni in una fase come questa. Questo passo seguito nella seconda tornata delle scelte per i vertici degli apparati di Stato deve riguardare anche il delicatissimo dossier dell’autonomia differenziata e quello ancora più caldo della caccia alle streghe sulla speculazione alla stazione di servizio disinnescando al più presto una mina che rischia di mettere di nostro benzina nel motore dell’inflazione.
Non possiamo sopportare il conto collaterale di chi davvero speculerebbe su questo errore di comunicazione andando a incidere sul carrello della spesa e, quindi, sui ceti più deboli. Bisogna stare molto attenti a questi due passaggi.
Perché sull’autonomia dare contentini politici è possibile solo nella misura in cui sia chiaro a tutti che il tema, su cui noi siamo contrarissimi, non può non passare dal Parlamento ed esige i tempi costituzionali delle grandi democrazie europee. Non può Giorgia Meloni sopportare da sola troppo a lungo il peso di queste bandierine politiche che riguardano tanto la Lega quanto la fibrillazione comunicativa di Berlusconi. Entrambe le bandierine rispondono a motivazioni di carattere elettorale, ma gestite solo con le parole possono produrre danni seri. Serve capacità di decidere come si è fatto con le nomine, non capacità di parlare.
Più si parla, meno di agisce. Il parlare serve solo per dare qualcosa in pasto alle opposizioni che vivono solo di polemica spicciola sulle loro dichiarazioni. Hanno assunto, con la sola parziale eccezione terzo polo Calenda-Renzi, il metodo grillino. Che è quello di aprire bocca e mettere su una polemica sopra l’altra su tutto. Un comportamento deleterio che destabilizza anche la credibilità delle opposizioni e che contribuisce a mettere a dura prova la resistenza forte della crescita italiana e i benefici del rischio non rientrato ma attenuato di inflazione e recessione.
L’attenzione del governo deve essere tutta concentrata sull’agire molto per dimostrare che l’Italia sa fare la sua parte. La prima delle quali deve essere avere realismo. Non è che possiamo dire “risolviamo noi la crisi ucraina”, ma per esempio sfruttiamo il momento buono visto che ci sono concrete possibilità di non entrare in recessione. Visto che anche i soliti gufi ora cominciano a dire che il secondo semestre dell’anno sarà migliore delle aspettative.
Anticipiamo la fiducia e evitiamo le trappole dell’autonomia e dei sovranismi di ritorno. Soprattutto evitiamo le lagne che non sono l’indice di chi ha il coraggio di denunciare le debolezze del Paese ma piuttosto l’indice di una mentalità malata. Questa capacità di agire e di parlare meno è l’arma fondamentale per evitare il rischio capitale di prendere tutto come una bolla speculativa pensando che serva sul piano elettorale. Non serve e manda a rotoli il Paese. Fu lo stesso errore che fece il Pci all’inizio degli anni sessanta di fronte alla modernizzazione e allo sviluppo italiano liquidandoli come una bolla capitalistica che prima o poi scoppierà in mano a chi li porta avanti. Invece accadde l’esatto contrario. Ci si trovò davanti a un Paese che progrediva.
L’autonomia differenziata di oggi e il chiacchiericcio europeo sui sovranismi di ritorno sono il possibile errore strategico che assomiglia a quello compiuto allora dal Pci. L’interesse generale del Paese è quello di un’Europa federale con l’Italia al centro e una dimensione nazione che dimostri capacità di progettazione e soprattutto decisionale. Senza continuare ad alimentare al suo interno quella stessa doppia velocità che si rimprovera all’Europa a nostre spese. Agire molto, parlare poco. Nella direzione giusta.
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