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Preoccupano gli aumenti al prezzo del carburante

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Avevamo scritto del primo errore capitale perché innesta il circolo vizioso che fa saltare il banco. Tutto ora si gioca sulla velocità nella correzione. Lo sconto sulle accise eliminato costa 900 milioni al mese su una manovra di 40 miliardi in cui gli interventi contro il caro energia (21 miliardi) sono trimestrali, ma infiamma  il prezzo della benzina e  si trasferisce sul punto delicato del processo inflazionistico italiano che è il carrello della spesa alimentare. Perché in Italia il trasporto delle merci viaggia per circa l’88% su gomma. Perché i profittatori nascosti dell’inflazione ne approfittano mentre la guardia di finanza bussa alle stazioni dei carburanti. Perché in poche ore ogni giorno il reddito disponibile delle famiglie reale scende, cadono potere d’acquisto e consumi. Una bella marcia indietro oggi salva il governo e l’economia, farla dopo non salverà né l’uno né l’altra. 

SIAMO stati facili profeti. Avere fatto saltare lo sconto Draghi sulle accise della benzina agli italiani è l’errore capitale che innesta il circolo vizioso che fa saltare il banco. Perché incide pesantemente sulla fiducia in quanto fa salire l’inflazione che è ciò che potenzialmente più di tutto distrugge la benzina del motore del miracolo economico ricevuto in eredità da Draghi che è, appunto, la fiducia di consumatori e imprese. Soprattutto questo tema è delicatissimo in casa nostra dove il caro prezzi cala, ma meno di quanto sia calato negli altri grandi Paesi europei. Essendo un errore capitale può essere solo corretto da chi lo ha commesso e ogni ora e giorno di ritardo con cui si procede su questa strada non fa che aumentare la gravità degli effetti dell’errore commesso e rischia di produrre danni sul breve e medio termine non più recuperabili.

Si può chiedere o meno pubblicamente scusa per l’errore commesso, ma ciò che conta è agire per reintegrare pari pari fino a marzo lo sconto Draghi eliminato con una leggerezza impressionante. Avevamo scritto, e lo ripetiamo oggi, che se si decide di togliere quello sconto finanziabile con la maggiore Iva che l’effetto trascinamento del miracolo economico dell’Italia di Draghi continua a regalarti e che esige importi di copertura sostanzialmente modesti nei tre mesi di riferimento adottati per tutti i provvedimenti contro il caro energia (parliamo di 900 milioni al mese su 40 miliardi della legge di bilancio) non solo si viene meno al dovere etico del duo Draghi-Franco di restituire agli italiani almeno una parte della maggiore Iva che lo Stato incassa grazie al loro lavoro, ma si fa saltare quella tutela possibile del potere di acquisto delle famiglie che è fondamentale per preservare i tassi di crescita italiani che sono l’anomalia virtuosa dell’economia europea e la principale garanzia della sostenibilità del nostro imponente debito pubblico.

Se andiamo a vedere i dati del terzo trimestre dell’anno scorso, l’ultimo del governo Draghi, scopriremo che sul piano congiunturale i prezzi sono saliti dell’1,6%, ma il reddito disponibile delle famiglie italiane è cresciuto dell’1,9% e, quindi, nel pieno delle due grandi crisi globali, il potere di acquisto delle famiglie italiane a livello medio non solo non è stato intaccato, ma addirittura cresce dello 0,3%. Per essere chiari, fino in fondo, sono questi gli effetti visibili, concreti, che gli italiani hanno toccato con mano e hanno generato fiducia contagiosa, delle politiche di sostegno al potere di acquisto delle famiglie mai interrotte dal governo Draghi senza peraltro fare nuovo debito. Si va dai bonus famiglie allo sconto sulle accise fino all’assegno unico e al reddito di cittadinanza che hanno tutti insieme portato alla riduzione del rischio di povertà e del tasso di diseguaglianza dopo un’eternità di risultati annuali che andavano sempre in una direzione opposta. In una situazione strutturale che era e resta estremamente complicata e problematica per il carico pesante di divari territoriali, di genere e generazionali che gravano sulla nostra economia e sulla tenuta sociale del Paese.

Purtroppo dietro questo errore capitale, che non è stato commesso sul piano delle riforme e del Pnrr dove il metodo e i risultati del lavoro del ministro Fitto fanno invece ben sperare in un’accelerazione rispetto allo stesso governo Draghi nella capacità di fare investimenti pubblici e metterli a terra, c’è anche la macroscopica sottovalutazione del fatto che il taglio delle accise non solo infiamma il prezzo della benzina, annulla gli effetti benefici del calo del prezzo del barile, ma rischia di trasferirsi pari pari sul punto più delicato del processo inflazionistico italiano che è quello del carrello della spesa alimentare. Perché in Italia il trasporto delle merci, a partire da quello dei beni primari per una famiglia, viaggia per circa l’88% su gomma e, cioè, esattamente dove si fa sentire l’effetto del taglio dello sconto delle accise sulla benzina con il rischio concreto di determinare “un effetto valanga sui costi delle imprese e della spesa dei consumatori”.

Per capire bene di che cosa stiamo parlando, è opportuno anche avere a mente che il costo medio chilometrico per le merci del trasporto pesante in Italia è pari a 1,12 euro/chilometro ed è, quindi, più alto di quello della Francia (1,08 euro/chilometro) e della Germania (1,04 euro/chilometro). Parliamoci chiaro: non è vero che la situazione è sotto controllo e, vogliamo essere anche molto chiari, tutti i rilevatori competenti dei singoli monitoraggi certificano che l’aumento medio del prezzo della benzina è perfettamente in linea con i 18 centesimi di taglio dello sconto Draghi operato per una decisione politica, ripetiamo politica, del governo Meloni che è addirittura recidivo nell’errore perché lo sconto Draghi era di 30,5 centesimi e il nuovo esecutivo ha operato il primo ribasso a novembre completando l’opera fino ad azzerarlo con la legge di bilancio. Per quello che vale, di certo meno dei rilevatori competenti, perfino il comunicato ufficiale del ministero dell’ambiente del governo Meloni mette nero su bianco che l’aumento medio è perfettamente in linea con il taglio dello sconto sulle accise.

Non abbiamo voglia di perdere molto tempo sulla bolla che potrebbe crescere di giorno in giorno di controlli a tappeto di guardia di finanza, fascicoli delle Procure, inchieste dell’antitrust perché potranno di certo aiutare a scovare chi ha fatto il furbo, siamo il Paese dei furbi, e lo auspichiamo fortemente, ma il cuore del problema italiano di oggi è la decisione politica assunta dal governo Meloni che va assolutamente tolta dal tavolo. Oggi, non domani. Saranno i due miliardi e mezzo e qualcosa o circa tre, a seconda dei calcoli, apparentemente spesi di certo più benedetti per i prossimi due/tre mesi, anche se probabilmente il provvedimento costerà ancora di meno, e si ripagheranno a stretto giro con la maggiore Iva che lo Stato incasserà con la maggiore economia che questo provvedimento determinerà proteggendo concretamente e sul piano psicologico il potere di acquisto delle famiglie. Tutto si gioca sulla velocità della correzione. Perché il percepito per consumatori e imprese è che si ha questo nuovo strategico problema perché si è deciso di spostare risorse da una voce decisiva dell’azione di protezione della nostra economia per fare un favore al proprio elettorato senza avere neppure capito che questo elettorato questo favore nemmeno lo chiede. Perché non vuole la flat tax, ma continuare a fare il nero e sentirsi rassicurato in ciò che non dovrebbe fare, anzi neppure pensare, che terra terra è molto semplicemente continuare a evadere il fisco senza la deterrenza del conflitto di interessi e riducendo l’area di pagamenti tracciabili elettronicamente.

Non si può giocare con la tutela del potere di acquisto delle famiglie, perché gli effetti si fanno sentire in termini reali e di sfiducia che li moltiplica. Perché i profittatori dell’inflazione in tutti gli ambiti, a partire dal carrello della spesa, ne approfittano mentre la guardia di finanza non bussa a casa loro ma alle stazioni della benzina. Perché, alla fine di tutto questo giro che avviene in poche ore ogni giorno, il reddito disponibile delle famiglie reale percepito scende e i consumi crollano. Lo ripetiamo fino alla nausea: una bella marcia indietro oggi salva il governo e l’economia, farla dopo non salverà né l’uno né l’altra.


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