Giorgia Meloni durante la conferenza stampa di oggi
10 minuti per la letturaVuol dire riunire intorno a sé tutte le forze indipendentemente se ti hanno sostenuto o meno. L’identità del Paese è quando tutti capiscono che la politica che proponi è la politica che serve per il progresso e la crescita. Il modello Fitto utilizzato per il Pnrr è quello giusto. Avere conseguito tutti i 55 obiettivi significa che la staffetta ha funzionato e che si è lavorato bene. C’è una scelta politica di concentrare sotto la stessa competenza Pnrr e fondo di coesione e sviluppo. C’è la cabina di regia che mette i soggetti in un rapporto di reciproca fiducia dai Comuni più piccoli a tutti i livelli istituzionali. Ci sono stress test mirati e decisioni politiche coraggiose riformatici liberalizzando i servizi pubblici locali e semplificando il codice degli appalti. Ora bisogna aprire i cantieri che è l’impresa più ardua, ma con questo metodo e scegliendo le competenze che servono, i risultati arrivano. Così bisogna fare per giustizia, sanità, scuola e fisco, ma anche per la missione Nord Africa-Mediterraneo e le alleanze in Europa.
LA CONFERENZA stampa di fine anno di Giorgia Meloni ci consegna un discorso molto abile di un capo di governo italiano espressione di una leadership politica capace di usare una lingua che tutti capiscono e che declina anche gli argomenti più ostici in una forma facilmente comprensibile. Un discorso che ai nostri occhi esprime punte assai elevate di amara verità quando dice in sostanza che l’Italia è stimata e “inseguita” nel mondo quanto disprezzata e screditata in casa. Chi scrive ha sempre pensato che bisogna liberare il Paese dal peggiore dei suoi mali che è il catastrofismo. Ha raggiunto livelli patologici così profondi da arrivare a nascondere il miracolo dell’Italia di Draghi che il mondo intero ci ha invidiato e da condannare al fallimento, se non curato con decisione, qualunque progetto serio di rinascita del Paese.
Ricordiamo a tutti che siamo stati capaci in Italia di oscurare la principale crescita europea, mezzo milione di occupati in più a tempo indeterminato, una performance delle esportazioni delle nostre imprese che non ha pari al mondo, un Mezzogiorno per la prima volta con una crescita superiore alla media europea, la riduzione della diseguaglianza e del rischio di povertà dopo una sequela storica di risultati di segno avverso. Tutto questo è stato il miracolo dell’Italia di Draghi. Tutto sparito. Tutto mistificato. Tutto annullato dal catastrofismo del dibattito della pubblica opinione. Giorgia Meloni dimostra abilità anche quando richiama esplicitamente Mario Draghi e, a differenza di qualche suo predecessore che rispondeva “perché dovrei sentirlo?”, scandisce non solo che lo sente ed è uno stimolo ma che le fa piacere sentirlo perché misurarsi con persone capaci e autorevoli è stata la sfida di tutta la sua vita. Si rende conto del valore dell’eredità e del paragone. Anzi, lo trova affascinante e ripete che proprio tale inevitabile confronto deve spingere tutti noi a fare bene.
In questi passaggi non c’è solo abilità, ma anche consapevolezza dei fatti e della delicatezza delle sfide che ha davanti a sé. Glissa la Presidente del Consiglio sui problemi spinosi che non sono quelli che gli imputa l’opposizione più ridicola mai conosciuta che sono reddito cittadinanza e migrazione sui quali per lei uscirne in termini dialettici è come un gioco da ragazzi. Perché la risposta di trovare un lavoro per la gente e di invertire il circuito delle aspettative in tutti i campi sono argomenti che maneggia con padronanza e persegue anche con coerenza. Per cui la polemica produce solo un po’ di solletico. Il problema vero di Giorgia Meloni oggi è quello di riuscire a governare e realizzare l’agenda cadenzata di risultati di cui ha parlato, non certo quello di spiegarsi e di farsi capire. Il problema vero è uscire dalla paccottiglia demagogica della destra sovranista che lambisce in modo marginale ma diffuso tanti temi dell’azione di governo rendendola schiava di questa costruzione dell’irrealtà.
Questo è, ad esempio, un rischio concreto da sventare perché chi vuole governare per una intera legislatura e fare il bene del suo Paese senza porsi neppure il problema di essere rieletta, non deve cadere in derive ideologiche del passato che gli altri fanno riemergere proprio per metterla inutilmente in difficoltà e, tanto meno, indulgere all’utilizzo politico dei loschi traffici di qualche dittatorello arabo e di un po’ di truffatori di una determinata famiglia politica anche perché, purtroppo, altri truffatori di altre famiglie politiche avranno fatto altrettanto con altri stati e altre multinazionali. Può anche contare in Italia, almeno nel breve termine, sul fatto che una opposizione così scassata non si era mai vista. Non c’è nemmeno l’opposizione di una destra espressione di un populismo che aveva un po’ di radici radicali e un bel po’ di mestiere politico.
Oggi siamo all’opposizione del populismo dei salotti. Proprio per questo, però, non bisogna ripetere l’itinerario di Berlusconi che aveva capito quale era l’onda del Paese ed è rimasto travolto nell’ammirazione del suo modo di interpretare senza guidare questo processo. Bisogna bandire il complesso di Narciso che è stato proprio di Berlusconi. Lei deve evitare questa trappola perché quel consenso viene corroso dai fatti se dopo un po’ l’agenda scadenzata di cose molto sensate non diventa l’agenda scadenzata di cose fatte. O se almeno la gente non percepisce chiaramente come intende fare queste cose, come vuole realizzarle.
Siamo dunque arrivati al punto chiave della sfida di Giorgia Meloni. Ha bisogno di costruire qualcosa di più del consenso elettorale che lei costruisce molto bene. Deve costruire il consenso allargato che fa in modo che tutte le strutture del Paese assecondino questo nuovo approccio. Questo lo devi fare e non lo puoi attuare solo con il discorso. Questo lo fai dimostrando che riesci a riunire intorno a te tutte le forze del Paese indipendentemente se ti hanno sostenuto o meno in passato, se hanno o meno determinate simpatie. L’identità del Paese è quando tutti capiscono che la politica che tu proponi è la politica che serve per il progresso, per favorire la crescita e contrastare questa fase storica di difficoltà. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il modello Fitto utilizzato per il Pnrr è quello giusto. Avere conseguito tutti i 55 obiettivi quando se ne erano ricevuti in eredità 25, significa che la staffetta ha funzionato e che si è lavorato bene per portare a termine gli altri 30 target.
Che cosa c’è dietro questo risultato? C’è una scelta di competenza, anzi meglio c’è una scelta politica di concentrare sotto la stessa competenza Pnrr e fondo di coesione e sviluppo per evitare sovrapposizioni e fare un ragionamento organico. C’è anche di più: avere riattivato subito la cabina regia che mette insieme tutti i soggetti in un rapporto di reciproca fiducia dai Comuni più piccoli a tutti i livelli istituzionali. Si è proceduto in maniera serrata. Fitto ha costretto tutti allo stress test del micro dettaglio. Si sono assunte le decisioni politiche coraggiose riformatrici liberalizzando i servizi pubblici locali, semplificando il codice degli appalti, facendo i decreti attuativi della riforma dei servizi idrici. Ora bisogna aprire i cantieri che è l’impresa più complicata, ma se si prosegue con questo metodo e si fa la squadra giusta scegliendo le competenze che servono, come ha fatto fino a oggi Fitto, i risultati arriveranno di sicuro. Soprattutto si avranno finalmente le priorità strategiche e le capacità tecniche per conseguirle. Questo, a nostro avviso, è il metodo giusto per costruire quel consenso allargato che cambia il Paese e consente a Giorgia Meloni di fare la storia. Se si vuole fare qualcosa che vada nella direzione giusta sfruttando l’opportunità che la geografia ci regala come porta d’ingresso del Mediterraneo in Europa e si vuole attuare un’azione per l’Africa che è altrettanto giusta, è evidente che si deve costruire anche un’alleanza a livello europeo perché non abbiamo le spalle così larghe per scontrarci da soli con Russia, Cina e Turchia.
Bisogna mettere in piedi una equipe di strateghi che costruisce i passaggi di questa sfida in ogni dettaglio. Piano Mattei, logistica energetica, fonti rinnovabili, sfruttamento dell’energia solare, fonti rinnovabili, dialogo produttivo tra le due sponde del Mediterraneo con alla testa il Mezzogiorno. Ogni dettaglio va sviscerato. Il secondo punto è il ripensamento di alcuni servizi fondamentali come la sanità e l’istruzione e, siccome hai il problema che le competenze sono regionalizzate o addirittura follemente regionalizzande, hai il dovere di fare una operazione di centralizzazione e di governo della direzione di marcia di modo che cambi la musica e questi servizi essenziali possano dare il risultato che serve. Dentro l’istruzione c’è il tema vero delle politiche attive del lavoro, al posto di andare a prendere scienziati americani mettiamo a frutto le risorse europee che colpevolmente non usiamo e utilizziamo i soggetti privati che sono i più capaci a fare incontrare domanda e offerta di lavoro, formazione e impiego.
Sull’edilizia usciamo dal superbonus e cominciamo a costruire le case per gli studenti e ad aprire i grandi cantieri della riunificazione infrastrutturale del Paese. Investiamo le risorse europee nelle scuole per i nostri ragazzi, nei treni veloci e nel ponte sullo Stretto non per rifare le facciate anche perché nel primo caso si sovvenziona la comunità nel secondo si sovvenzionano i ricchi. Se fa, come ha promesso, riforme di struttura tipo quella della giustizia vincendo tutti i tabù della storica ingiustizia italiana e tipo quella fiscale mettendo al primo posto la riduzione delle tasse sul lavoro, avrà pezzi di opposizione che la sosterranno o non la ostacoleranno esattamente come ha fatto lei con le scelte intelligenti del governo Draghi.
Altro capitolo decisivo sarà quello delle nomine nelle società pubbliche e dell’attuazione della riforma della burocrazia. Bisogna scegliere qualità, qualità, qualità. Avere una storia con meno manager di riferimento politico è un vantaggio competitivo incredibile. Scelga sul mercato i manager migliori e farà un grande servizio al Paese. Sulle grandi aziende quotate non si scherza, serve chi sa fare questo mestiere e facendolo bene aiuta in modo decisivo la realizzazione della missione politica del governo. Solo così si può creare una marea di nuova occupazione di alti profili e la scelta di manager di qualità favorirà la scelta di talenti italiani giovani già formati o da formare ulteriormente. Questo significa fare la storia e cambiare un Paese non farsi circuire dal manager servilista di turno che vende l’unica competenza che ha e, cioè, la solita disponibilità familistica. Proprio quello che bisogna eliminare. Infine, abbiamo lasciato per ultimi i temi che hanno bisogno di un po’ più di tempo per essere digeriti. Perché un grande leader politico vive l’ossessione di essere indicato come quello che ha cambiato idea. Invece non è così e, soprattutto, auspichiamo che Giorgia Meloni cambi idea sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), diciamo che per lo meno aggiusti il tiro su quello sanitario, e siamo sicuri che farà i passi che deve fare sul trattato del Quirinale tra Italia e Francia.
C’è un punto che abbiamo lasciato per ultimo e riguarda la discussione tra Europa federale e Europa confederale di Stati sovrani. Noi siamo per il primo schema con l’Italia al centro che si può realizzare se siamo nella squadra di testa e contiamo. È quello che aveva capito Mario Draghi a partire dalla sua esperienza personale di governo della moneta come presidente della BCE. Ne è stato chiamato alla guida con il consenso della cancelleria tedesca Angela Merkel, ha governato la BCE avendo sempre il voto contrario del rappresentante della Bundesbank, la banca centrale tedesca. Ha realizzato Draghi la profezia di Carlo Azeglio Ciampi. Ha liberato l’Europa, con le sue decisioni votate sempre a maggioranza, dalla dittatura del marco. Noi crediamo che l’Europa federale difenda meglio l’interesse nazionale come lo stesso Draghi ha fatto salvando l’euro. Una lezione da non dimenticare.
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