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La devastazione della frana di Ischia

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C’è un carico pesante di responsabilità che appartiene alle colpe sistemiche di una politica che ha scelto la frammentazione decisionale. Con la riforma del titolo quinto e con il finto federalismo che ne è conseguito si è tolto un ruolo che è proprio dello Stato facendo venire meno il presidio centrale che esprime la coscienza di un Paese. Si sono fatti due pesi e due misure con la spesa pubblica incentivando gli egoismi e aumentando le inefficienze a livello regionale. Si sono cancellati gli investimenti in conto capitale per manutenere i territori assorbendo tutte le risorse con un assistenzialismo irresponsabile unico al mondo. Che non ha nulla di gratuito come ripete una disgustosa retorica visto che carica sulle spalle dei cittadini centinaia di miliardi di nuovo debito pubblico e sottrae ogni anno decine di miliardi sia agli interventi di manutenzione sia di sistemazione dei dissesti strutturali accumulatisi nell’arco degli ultimi due decenni.

Bisogna fare i conti con la realtà in modo crudo fuori dall’emozione e dalle solite polemiche. Perché solo così si può cominciare a operare perché nell’arco di un decennio sia almeno attenuato il tasso di rischio di dissesto idrogeologico di territori sempre più estesi del nostro Paese a partire dal Mezzogiorno. Bisogna avere il coraggio di dire la verità e di essere conseguenti nei comportamenti rispetto a questa verità. Per evitare se non altro che lo strazio di nuove vite umane e lo sgretolamento di quello che fu il Bel Paese siano accompagnati da una retorica nazionale insulsa che rasenta la stucchevolezza. Non ne possiamo più delle lacrime del giorno dopo.

Non ne possiamo più della solidarietà tanto sincera quanto impotente. Dietro la frana di detriti e di acqua di Casamicciola e una speculazione abusiva che dilaga incontrollata ci sono responsabilità che appartengono al rispetto delle regole e a un senso gravemente affievolito dello spirito di legalità, ma molto prima e in misura infinitamente superiore c’è un Paese spezzato con il suo carico pesante di responsabilità. Appartengono alle colpe sistemiche di una politica che ha scelto la frammentazione decisionale. Ha fatto due pesi e due misure con la spesa pubblica grazie a un finto federalismo. Ha cancellato gli investimenti in conto capitale per manutenere i suoi territori decidendo di fare assorbire tutte le risorse disponibili da un assistenzialismo irresponsabile unico al mondo.

Questo assistenzialismo non ha nulla di gratuito come una disgustosa retorica ripete a ogni piè sospinto visto che carica sulle spalle dei cittadini centinaia di miliardi di nuovo debito pubblico e sottrae ogni anno decine di miliardi da destinare sia agli interventi di manutenzione ordinaria del paesaggio sia di sistemazione di tutti i dissesti strutturali accumulatisi almeno nell’arco degli ultimi due decenni. Punto primo. Si deve avere il coraggio di affermare solennemente e pubblicamente che con la riforma del titolo quinto e del finto federalismo italiano che ne è conseguito si è tolto un ruolo che è proprio dello Stato e della sua responsabilità facendo venire meno il presidio centrale che nel bene e nel male esprime le sensibilità e la coscienza di un Paese prima ancora di uno Stato. Quanto meno questa coscienza si è spenta, si è affievolita, perché si è deciso di affidare tutto a Regioni e provveditorati facendo figli e figliastri e moltiplicando distorsioni e negligenze.

Nella riforma del titolo quinto e nel regionalismo del federalismo all’italiana che toglie ai poveri per regalare assistenzialismo ai ricchi ci sono le impronte di questo disastro collettivo.

Punto secondo. Alla luce di tali ripetute tragedie sarà più chiaro a tutti perché questo giornale ha condotto dal suo primo giorno di nascita la battaglia dei livelli essenziali di prestazione e dei diritti di cittadinanza negati attraverso il marchingegno della spesa storica.

Se si è deciso con il paravento di una finta devolution di sottrarre decine e decine di miliardi l’anno alle popolazioni meno ricche per darle a chi sta meglio, nella scuola come nella sanità, nella tenuta dei territori come nel trasporto pubblico locale, nell’Università come nella ricerca, le conseguenze sono di un Paese che non solo si è fermato, ma si è sgretolato al suo interno facendo tracimare coscienza nazionale e spirito di coesione. Questa rovina italiana che è la più grande vergogna civile, prima che economica, della nostra comunità va sanata in radice. Si è presa una strada sbagliata, oltre che immorale, e ora bisogna ripercorrerla a ritroso.

Punto terzo. Bisogna tornare a fare spesa in conto capitale e ad avere la capacità di farlo. La partita della gestione dei fondi europei, non solo Piano nazionale di ripresa e di resilienza, è stata saggiamente affidata nelle mani di un solo ministro e di un solo dicastero. Questa scelta è la premessa giusta per un cambiamento di rotta non più procrastinabile e ne parleremo bene domani. Perché sul campo da gioco cruciale della crescita e della riduzione delle diseguaglianze quello dei fondi europei è il solo capitale vero di cui disponiamo. Qui oggi, però, ci preme sottolineare altri due elementi imprenscindibili.

Chi sostiene che prima delle grandi opere bisogna fare la manutenzione, ignora che le grandi opere pensano costitutivamente al dissesto idrogeologico perché devono strutturalmente fare sempre opere di bonifica. Non fare le grandi opere significa non fare né le une né l’altra. Secondo elemento. Un Paese come il nostro che ha il debito pubblico che ha non può permettersi di spendere 27 miliardi l’anno tra quota 100 e dintorni per le pensioni, bonus 80 euro e reddito di cittadinanza e buttare una tantum oltre 40 miliardi consentendo ai ricchi di rifarsi le case senza essere percorso da un brivido che scorre lungo la schiena e mette a nudo una coscienza nazionale e uno spirito di solidarietà scomparsi con la riforma del titolo quinto e il trionfo dei miopi egoismi territoriali che ne è conseguito. Non è pensabile di buttare 70/80 miliardi l’anno nei giorni della grande crisi geopolitica e economica per fare assistenzialismo e prendere in giro gli italiani che tutto avviene gratuitamente. No, perché nel maxi buco immorale del superbonus edilizio grillino non c’è solo il debito che pagheranno i nostri figli, ma anche i soldi del bilancio pubblico italiano che oggi non ci sono per manutenere i territori.


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