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Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni

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L’unica attenuante possibile è quella che avendo riempito di no la Lega sulla manovra, si è deciso di lasciare giocare Calderoli sull’autonomia differenziata. Appena chiuso il capitolo di una legge di bilancio prudente e sostenibile, si dovrà fargli capire che non si gioca con la spesa storica e l’istruzione dei nostri ragazzi. Perché non solo vanno per aria i conti pubblici, ma si spezzano i legami fondanti della Repubblica. Autonomia differenziata e caos migranti sono incompatibili con le ambizioni legittime di un Paese che rivendica il ruolo di Fondatore e che intende svolgerlo da capofila nella costruzione della nuova Europa e nel ridisegno dell’ordine mondiale. Consigliamo vivamente al duo Meloni-Giorgetti di disinnescare appena possibile queste mine perché conviverci e sopravvivere al governo è impossibile

Non siamo ancora in una fase di normalizzazione dei mercati, ma la frenata dell’inflazione americana dà una mano e il quadro è di certo più tranquillo. Lo spread va sotto i 200 punti e sono spariti i picchi estivi abnormi delle materie prime a partire dal gas. Soprattutto, non c’è un caso Italia sui mercati perché il programma di finanza pubblica voluto dal duo Meloni-Giorgetti è ispirato a criteri di prudenza e responsabilità che sono gli stessi del duo Draghi-Franco che li ha preceduti. Gli interventi in deficit sono concentrati contro l’emergenza del caro bollette e la traiettoria di riduzione del rapporto debito-Pil non è interrotta. Soprattutto non ci sono sbandamenti su stupidità elettorali e quisquilie varie che possono produrre danni seri.

La linea è quella dettata da Giorgetti: no alla flat tax, non è il momento; no all’abolizione del canone Rai che resta in bolletta; no a quota 41 per le pensioni ma sì alla quota 103 dove devi avere 62 anni di età e 41 di contributi per cui la platea dei pensionandi diventa ridottissima e il costo si assottiglia a poche centinaia di milioni. Per capirci, siamo all’esatto contrario di quella quota 41 che libera tutti e fa impennare i costi per la finanza pubblica visto che, a prescindere da ogni intervento, la spesa cumulata aggiuntiva previdenziale dal 2023 al 2025 è di 130 miliardi. Numeri da brivido che non dovrebbero fare dormire la notte.

Il segreto italiano di oggi è quello di non rompere l’equilibrio di finanza pubblica espresso dall’asse Meloni Giorgetti che significa dire no a tutte le parole d’ordine del vocabolario che appartiene alla parte più populista della Lega.  Questo equilibrio rappresenta il passaporto di credibilità con i vertici europei e il biglietto da visita in continuità con cui la destra italiana al governo si è presentata al G20 di Bali. Sono messi insieme la base imprescindibile su cui costruire un governo di legislatura e il consolidamento della reputazione conquistata dall’Italia nel mondo. Fuori di qui si ferma tutto.

A fronte di tanta risolutezza e di paletti molto chiari sulla clausola di salvaguardia del futuro dei nostri giovani che è il controllo della spesa pensionistica si assiste invece a una pericolosa libertà di gioco che viene lasciata al ministro Calderoli e alle sue carte truccate sull’autonomia differenziata che è una mina sul cammino di responsabilità assunto dal governo Meloni di dimensioni pari se non superiori a quella di una spesa previdenziale lasciata fuori controllo. Per la dimensione delle grandezze economiche in gioco e perché emergono problematiche di ordine civile oltre che finanziario che minano in modo irrecuperabile la tenuta sociale del Paese.

Siamo di fronte a una mina per la politica economica interna che è pari a quella dell’incidente diplomatico con la Francia sui migranti per la politica estera. L’unica attenuante possibile è quella che avendo riempito di no la Lega sulla legge di bilancio, si è deciso di lasciare giocare sull’autonomia differenziata Calderoli incontrando le Regioni e mettendo in circolazione bozze dinamitarde che sono solo bombe di carta.

Questa libertà di gioco è tollerabile sempre solo se è limitata a montare la panna in vista delle campagne elettorali regionali perché i profili finanziari degli interventi concepiti, esattamente come è già avvenuto con i testi degli ex ministri Boccia e Gelmini, andrebbero a scontrarsi con il non possumus della Ragioneria generale dello Stato. 

Diciamo che sul piano politico dovendo fare approvare una manovra rigorosa non conviene a nessuno sollevare la questione, ma chiuso il capitolo di una legge di bilancio prudente e sostenibile si dovrà andare a prendere per le orecchie il ministro Calderoli e fargli capire con le buone e con le cattive che non si gioca con la spesa storica e l’istruzione dei nostri ragazzi. Perché non solo vanno per aria i conti pubblici del Paese, ma addirittura si spezzano ancora prima i legami fondanti della Repubblica Italiana.

Arrivare a scrivere, comma A dell’articolo 3 “livelli essenziali di prestazione”, i cosiddetti Lep, che decorsi dodici mesi senza che vengano istituiti, si possono devolvere con il criterio della spesa storica anche le materie indicate nel comma 1 dello stesso articolo 3 e, cioè, istruzione e formazione,  significa ripetere pari pari il gioco delle tre carte già fatto con la legge Calderoli del federalismo fiscale del 2009.  Stiamo parlando di qualcosa di veramente terribile perché con lo stesso stratagemma si è riusciti a dividere il Paese in cittadini di serie A e di serie B su servizi essenziali come sono la sanità, la scuola e i trasporti. Ne paghiamo ancora oggi le conseguenze.

Per fare in dodici mesi i livelli essenziali di prestazione servirebbero decine di miliardi che non ci sono e misurano il fossato dello squilibrio determinato in questo decennio proprio dalla prima legge Calderoli che ha fatto comandare il gioco alla spesa storica. Che vuol dire sempre più soldi ai ricchi e sempre meno soldi ai poveri. La foglia di fico di un articolo 8 (perequazione infrastrutturale) infilato all’ultimo momento nella bozza da presentare alla Conferenza Stato-Regioni dove si parla di “intese che non pregiudicano la promozione della coesione e della solidarietà sociale” assomiglia alla pezza a colori messa da chi è abituato a giocare in modo spregiudicato con le regole del bilancio pubblico e i principi fondanti della Costituzione repubblicana. Si tratta di comportamenti e di testi scritti che destano stupore, allarme, sconcerto.

Qui, capiamoci, non siamo davanti a una direzione di marcia che rompe tutti gli impegni assunti con l’Europa di riunificare le due Italie risolvendo l’unico squilibro territoriale sopravvissuto e per il quale ci hanno riempito di soldi, ma siamo a un disegno lucido che concepisce con l’attribuzione di fatto di una specie di status di regioni a statuto speciale a Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, la loro fuoriuscita dal Paese saccheggiando il bilancio pubblico che è di tutti. Litigando sui migranti di cui non ne avremmo bisogno di 90 mila ma di trenta quaranta volte di più per compensare il maxi calo demografico italiano  e cercare di proteggere il nostro prodotto interno lordo, si rischia concretamente di coalizzare ostilità europee su finanza pubblica e Pnrr.

Se si dovesse fare sul serio sullo Spacca-Italia non ci sarebbe neppure più l’Italia che va a fare l’esame in Europa perché la frantumazione del Paese ne troncherebbe l’esistenza sul nascere. Capite bene che questi due dossier, autonomia differenziata e migranti, sono incompatibili con le ambizioni legittime di un Paese che rivendica il ruolo di Fondatore in Europa e che intende svolgere un ruolo da capofila nella costruzione della nuova Europa e nel ridisegno dell’ordine mondiale. Consigliamo vivamente al duo Meloni-Giorgetti di disinnescare appena possibile queste due mine perché conviverci e sopravvivere al governo è impossibile.


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