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È arrivato il momento di tornare a essere un partito che fa politica, che costruisce proposte, che aggrega la gente, che fa politica vera. Non che vuole continuare a fare politica con le cose che piacciono alla gente che piace che è poi la solita casta del circoletto del talk che esprime il vuoto di idee e di valori che ha portato Fratelli d’Italia della Meloni al 30%. Perché la gente si sente più in sintonia con i temi veri della politica che quel partito pone, indipendentemente da come la si pensi, rispetto a elucubrazioni su temi di principio certamente importanti ma distanti dalle sensibilità urgenti di chi fa i conti con le difficoltà del momento. Che sono poi i bisogni collettivi di cui continua a parlare inascoltato Prodi. Il futuro non può essere né il ritorno al massimalismo che sopravvive né l’approdo al nuovo populismo allo stato puro dei Cinque stelle di oggi che è peggio di quello dei fondatori

C’è un tema sottovalutato da troppi che è bene sottolineare in una fase delicata come quella che sta vivendo il nostro Paese a causa di un quadro internazionale recessivo e denso di incognite geopolitiche. Riguarda la crisi delle opposizioni con i Cinque stelle e il suo leader che si sono convinti di essere il centro del mondo e non lo sono e Enrico Letta che lascia impotente che le correnti interne si spolpino una dietro l’altra con il pericolo concreto che dietro il Pd alla fine rischi di non esserci davvero più niente. Tutti parlano solo della Lombardia e del Lazio, che sono oggettivamente le due principali regioni italiane per popolazione ed esprimono le capitali economica e politica del Paese, ma poi c’è anche il Friuli Venezia Giulia e, a seguire, in autunno c’è anche il Trentino.

Non sono passaggi secondari e se il Pd continua così, rischia di perdere ovunque visto peraltro che si tratta di Regioni e Comuni dove, tranne che nel Lazio, il Pd è già all’opposizione. Cumulare sconfitte non aiuta la ricostruzione. Il punto di attacco della questione democratica è che ovunque il Pd non riesce a uscire dal dominio dei cacicchi e dei capetti interni. Adesso, poi, assistiamo alla guerra delle candidature o, se volete, al festival delle autocandidature dove si assiste allo spettacolo penoso della peggiore ministra delle Infrastrutture della storia repubblicana, Paola De Micheli, che sta girando l’Italia ripercorrendo tutti i cantieri che aveva detto di aprire e sono regolarmente chiusi e chiedendo sostegni e appoggi a intellettuali che con lei non andrebbero neppure a cena.

Se si lascia fare tutto a tutti con mano assolutamente libera il rischio concreto della tragedia assume le fisionomie della farsa prima ancora di avere fatto la conta dei “morti” sul campo della politica. Il Pd deve, prima di tutto, fare il congresso, deve farlo partire immediatamente in una sede definita e prendendosi il tempo che serve per realizzare il suo confronto interno. Non si può continuare a tirare a campare pensando che il partito possa perseverare nella missione impossibile di tenere insieme massimalisti e riformisti lasciando intendere che poi si vedrà. Perché mentre tira a campare una delle due parti continua a lavorare per disfare tutto.

Il Pd si deve decidere una volta per tutte e, a nostro avviso, mai avrà un futuro se lo concepisce come il ritorno al massimalismo e, peggio ancora, al nuovo populismo che è più pericoloso dell’utopia fondatrice di Casaleggio e Grillo. Il Pd era nato con l’ambizione di unire le tradizioni riformiste cattolica, socialista e post comunista. C’era posto perfino per i comunisti mettendo dentro i miglioristi. Questa cosa, di per sé nobile, è venuta meno perché ciascuna delle tre componenti era sopravvissuta a un’epoca gloriosa di cui i referenti sopravvissuti non avevano più nulla o quasi.

Della componente cattolica originaria non ci sono eredi all’altezza dei Dossetti, dei Moro e nemmeno dei Fanfani, l’unico che ha molto della nobiltà di quella storia e con il quale hanno vinto non una ma due elezioni politiche, si chiama Romani Prodi ed è stato fatto fuori velocemente. I socialisti invece sono stati fatti fuori dalla stupidità del Pd che per eliminare Craxi ha distrutto tutti i leader veri sopravvissuti. Per cui quelli che avevano qualche idea buona come i Covatta e gli Acquaviva sono stati messi da parte e si è consentito a Giuliano Amato di dire e fare ancora molto con il peso della sua esperienza e della sua intelligenza in un alveo che si voleva sempre presentare fuori da quella storia.

I riformisti dell’ex Pci hanno avuto la grande stagione del primo mandato da Presidente della Repubblica di Giorgio Napolitano che ha salvato l’Italia e la saggezza lungimirante di Macaluso finché c’è stato, ma purtroppo non hanno avuto eredi all’altezza. Con tutto il rispetto il passaggio da Napolitano e Macaluso a Provenzano, che non è il peggiore tra quelli in circolazione, misura la caduta di capacità di analisi e di proposta che sono il sale della Politica con la P maiuscola. Francamente è arrivato il tempo per il Pd di fare ripartire da zero questo discorso.

Bisogna avere il coraggio, assumendosene pubblicamente tutte le responsabilità, di azzerare la nobile illusione fondativa di Veltroni che oggi serve solo per legittimare le correnti interne che si presentano pomposamente come eredi di socialisti, post comunisti e cattolici, ma in realtà sono solo dei capetti di corrente che corrono dietro al populismo di turno. Una volta rincorrendo sui temi perfino Salvini, un’altra inseguendo ministeri, un’altra ancora immaginando di passare dalla padella del nulla alla brace del nuovo grillismo che si riempie la bocca a ogni ora e minuto di tutto quello che ha fatto per distruggere il futuro dei nostri giovani continuando a lodarsi per avere regalato ai ricchi mettendo sulle spalle dei deboli e del Mezzogiorno cinquecento miliardi di impegni pluriennali di spesa.

È ovvio che in un contesto del genere si possa candidare a guidare il Pd chi, come Elly Schlein, non ha proprio nulla in comune con la storia e le ambizioni di questo povero Pd. È arrivato il momento di dire stop a tutti questi giochetti e di tornare a essere un partito che fa politica, che costruisce proposte, che aggrega la gente, che fa politica vera. Non che vuole continuare a fare politica con le cose che piacciono alla gente che piace che è poi la solita casta del circoletto del talk e che è proprio il circoletto mediatico del vuoto di idee e di valori che ha portato Fratelli d’Italia della Meloni al 30%. Perché la gente si sente più in sintonia con i temi veri della politica che quel partito pone, indipendentemente da come la si pensi, rispetto a elucubrazioni su temi di principio certamente importanti ma distanti dalle sensibilità urgenti di chi fa i conti con le difficoltà del momento. Che sono poi i bisogni collettivi di cui continua a parlare inascoltato Prodi.

Il vero problema del Pd di oggi è di essere permanentemente alle prese con questa cosa che non c’è nonostante ancora non ci sia una vera alternativa a loro. Invece bisognerebbe sfruttare l’ultima finestra rimasta aperta prendendo atto che il Pd non ha niente a che vedere con il populismo allo stato puro dei Cinque stelle di oggi e che il terzo polo ha bisogno di tempo per decollare e, nel vuoto, nemmeno il terzo polo stesso può giocare la sua vera partita. È interesse di tutti avere un partito dichiaratamente socialdemocratico- cattolico-riformista che riprende corsa e gioca la sua partita affidandosi a due o tre persone serie come Prodi e altri che ancora ci sono. Bisogna chiedere subito a loro di costruire un centro di pensiero fatto di donne e uomini che non mirano a diventare ministri, sottosegretari, consiglieri regionali e così via. Perché questo è il dramma dei partiti di oggi. Se hai solo quadri che hanno come obiettivo di fare carriera non hai futuro. Perché ben che vada ti vengono dietro solo persone che hanno interesse a costruire amicizie per chiedere qualcosa o a ingraziarsi la casta del circoletto del talk che è espressione a sua volta del grande circolo vizioso italiano.

Il Pd ha oggi bisogno di un gruppo di persone che fanno politica per amore del Paese e che sono capaci di costruire progettualità politica. Che non significa vendere sogni, ma scegliere le cose da fare.


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