Il ministro Alfredo Mantovano e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni
13 minuti per la letturaIl compito della prima manovra del governo Meloni è cambiato. Deve accompagnare il proseguimento della ripresa, che vale il 3,9% di crescita acquisita per il 2022, invece di dovere curare le ferite della crisi. Chissà se qualcuno riuscirà almeno a dirlo che c’è stato il miracolo economico in Italia e che questa è la più grande eredità del governo Draghi. Che lascia un Paese che continua a correre ancorché in rallentamento in un quadro di crisi del resto del mondo di cui bisogna tenere conto. Stiamo parlando del settimo trimestre consecutivo di crescita. Quello che coincide con il maxi rincaro delle bollette a causa del ricatto putiniano sul gas e di una indecorosa speculazione della filiera distributiva messa sul conto di produttori agricoli e consumatori.
Aiutiamo i settori manifatturieri energivori che hanno subìto danni veri e le famiglie che hanno più bisogno e evitiamo di sussidiare i profitti con il bilancio pubblico. Facciamo partire subito la macchina degli investimenti aprendo i cantieri.
La sfida capitale di Giorgia Meloni non è uscire viva dalla trappola leghista del contante e del condono mascherato da tregua fiscale. Oppure da un dibattito interno che resta vecchio e intriso di derive ideologiche sul post fascismo e sui temi sanitari legati al Covid con i residui del berlusconismo pronti a fare sgambetti e un tono stanco di rivendicazioni vecchie da clima degli anni Settanta. Che è proprio quello che tutti i suoi impegnati nel partito, nel governo e nelle istituzioni, devono essere capaci di troncare sul nascere o almeno sottrarsi per non alimentarlo.
Tutte queste scaramucce da politichetta del catastrofismo italiano non fanno ovviamente bene a un governo che deve, a torto o a ragione, pienamente legittimarsi in Europa. Se si fermano agli annunci un po’ caotici fanno danni, ma finisce lì. Se invece si percepisce prima ancora della nomina dei sottosegretari che, tra mani libere sul contante, condono e taglio delle multe ai no Vax, sono già all’opera i “killer seriali” dei governi quali sono ormai diventati Salvini e Berlusconi, è chiaro che inevitabilmente si può mettere davvero male per il governo e per il Paese. Proprio quello che la delicatezza del contesto internazionale impone che non accada.
La sfida capitale da vincere di Giorgia Meloni è quella di riuscire a inserirsi nel dibattito europeo mentre per tutti in Europa il nuovo governo italiano parte per essere escluso dal dibattito europeo e tutti gli investitori del mondo si chiedono se dopo un caso Inghilterra ci sarà un caso Italia. Il linguaggio di responsabilità della Meloni in campagna elettorale che è stato premiato dagli elettori perché si sentivano rassicurati su una continuità effettiva in economia e in politica estera con il governo Draghi è incompatibile con lo sventolio dell’alleanza con Orban e con l’occhieggiare al popolo Vox spagnolo.
Continuiamo a pensare che la Meloni sia pienamente consapevole della delicatezza della situazione e che sarà conseguente, ma bisogna evitare che anche la comunicazione minore lasci spazi aperti di ambiguità. La Meloni realizza il conservatorismo moderno ed entra nella storia se riesce a fare accomodare la sua Destra di governo al tavolo di chi decide sul nuovo patto di stabilità e crescita europeo e se riesce ad avere un ruolo riconosciuto punto su punto su tutti gli interventi di struttura nella produzione di beni pubblici, dall’autonomia energetica alla digitalizzazione, nel solco di quanto capi di stato e di governo hanno condiviso sotto la spinta determinante proprio di Draghi e di Macron a Versailles. Una difesa di carattere europeo e la convergenza su una serie di campi che fanno parte dell’autonomia strategica dell’euro sono fondamentali.
Soprattutto oggi, con i cinesi che si stanno chiudendo, i russi che ci fanno la guerra, con l’America che potrebbe rivedere Trump o suoi emuli sulla tolda di comando con una nuova ondata di politiche tariffarie e di dazi.
È evidente che la riflessione dei capi di stato è figlia di una nuova impostazione sull’area euro. Hanno detto in soldoni: dobbiamo attrezzarci per essere anche noi indipendenti per le energie fossili, dobbiamo anche noi sfruttare vento, sole e mare per fare correre le energie rinnovabili, per andare veloci nella digitalizzazione e per attuare un sistema di difesa europeo.
Sono tutte cose che costano una valanga di soldi e che hanno un costo medio molto alto che per l’Italia è fuori portata. Se riusciamo a costruire un livello europeo con un sentiment unico, facciamo un debito europeo con tassi europei che non sono quelli italiani, allora potremo davvero avere indipendenza energetica, una forte digitalizzazione e un sistema di deterrenza militare. Altrimenti siamo fuori.
O si agisce tutti insieme o l’Europa non esiste perché se tu non fai fossile e lo fa il tuo vicino, l’inquinamento arriva uguale. C’è un insieme di interventi che possono essere fatti a livello europeo e che a noi conviene fare a livello europeo. Serve una visione strategica per la governance e per l’assetto finanziario. Serve avere la piena consapevolezza della nuova situazione internazionale che si è creata dentro un mondo che si sta deglobalizzando.
Come reagiamo noi davanti a un mondo dove non sappiamo più come arrivano le fonti dell’energia senza una nuova cornice europea? Con quale governance europea e con quale ruolo italiano vogliamo che ciò avvenga? Questo, altro che contante a diecimila euro e multe cassate a no vax, è il problema urgentissimo dell’Italia che coincide con la legittimazione della Meloni.
Altrimenti si assisterà a una regressione sempre più dentro un suo disegno identitario, ma se non si fa viceversa un salto in avanti anche il disegno identitario va a farsi benedire.
Serve urgentemente una classe dirigente all’altezza in questo primo anno con la speranza di sistemare una serie di cose dentro il governo e fare lavorare la rete di relazioni a livello europeo per guadagnarsi la sua sopravvivenza nel campo economico e nella politica estera. Tutto il resto, anche tutto ciò che ruota intorno a Interni e Giustizia è importante in chiave di riforme di sistema, non di bandierine ideologiche, ma ciò che conta davvero è vincere la sfida della collocazione internazionale e della sopravvivenza economica contro le spinte disgregatrici a livello mondiale. Perché se non avviene questo, noi rischiamo di rimanere stritolati.
Bisogna attrezzare l’area dell’euro in modo diverso. Draghi e il Consiglio europeo hanno avviato la svolta, se la Meloni e il suo governo, con Tajani, Giorgetti e Fitto all’opera, si inseriscono nel solco tracciato sul piano della capacità politica, amministrativa e economica a livello internazionale abbiamo qualche concreta possibilità se no rimaniamo tagliati fuori in partenza. Il mondo si sta riorganizzando a livello globale e quello che succederà all’Europa nessuno lo sa. Per l’Italia non c’è alternativa a rimanere dentro questo circuito con un ruolo di rilievo. Perché se invece rimaniamo nell’ombra, avremo responsabilità di altro tipo e la colpa per noi sarebbe enorme.
Stiamo riscrivendo la governance mondiale e il tentativo di dare un assetto più autonomo dell’area euro è la battaglia italiana da vincere in Europa. Macron è già al nostro fianco, bisogna convincere Sholz, non perdere tempo con i giochetti interni della Lega o, fuori dall’Italia, con Orban. Dopo avere fatto mille provvedimenti giusti e avere guadagnato la posizione che ci spetta in Europa ci si può anche occupare delle quisquilie salviniane. L’esperienza insegna che quelli che ti suggeriscono di arroccarti e di fare leva sullo spirito identitario sono quelli che hanno paura di rimanere indietro. Si apra invece la premier Meloni alla competizione e al dissenso e non si faccia condizionare dalla spinta di chi gli sta intorno. Non sanno loro di cosa parlano e la spinta sbagliata di chi sta intorno può produrre danni non recuperabili. Evitiamolo.Il compito della prima manovra del governo Meloni è cambiato. Deve accompagnare il proseguimento della ripresa, che vale il 3,9% di crescita acquisita per il 2022, invece di dovere curare le ferite della crisi. Chissà se qualcuno riuscirà almeno a dirlo che c’è stato il miracolo economico in Italia e che questa è la più grande eredità del governo Draghi. Che lascia un Paese che continua a correre ancorché in rallentamento in un quadro di crisi del resto del mondo di cui bisogna tenere conto. Stiamo parlando del settimo trimestre consecutivo di crescita. Quello che coincide con il maxi rincaro delle bollette a causa del ricatto putiniano sul gas e di una indecorosa speculazione della filiera distributiva messa sul conto di produttori agricoli e consumatori.
Aiutiamo i settori manifatturieri energivori che hanno subìto danni veri e le famiglie che hanno più bisogno e evitiamo di sussidiare i profitti con il bilancio pubblico. Facciamo partire subito la macchina degli investimenti aprendo i cantieri.
Il compito della prima manovra del governo Meloni è cambiato. Deve accompagnare il proseguimento della ripresa, che vale il 3,9% di crescita acquisita per il 2022, invece di dovere curare le ferite della crisi. Chissà se qualcuno riuscirà almeno a dirlo che c’è stato il miracolo economico in Italia e che questa è la più grande eredità del governo Draghi. Che lascia un Paese che continua a correre ancorché in rallentamento in un quadro di crisi del resto del mondo di cui bisogna tenere conto. Stiamo parlando del settimo trimestre consecutivo di crescita. Quello che coincide con il maxi rincaro delle bollette a causa del ricatto putiniano sul gas e di una indecorosa speculazione della filiera distributiva messa sul conto di produttori agricoli e consumatori. Aiutiamo i settori manifatturieri energivori che hanno subìto danni veri e le famiglie che hanno più bisogno e evitiamo di sussidiare i profitti con il bilancio pubblico. Facciamo partire subito la macchina degli investimenti aprendo i cantieri.
IL COMPITO della prima manovra del governo Meloni è cambiato. Deve accompagnare il proseguimento della ripresa invece di curare le ferite della crisi. Per la semplice ragione che la crisi raccontata dai media italiani a ogni ora del giorno non c’è ancora ed è stata sostituita nottetempo dalla migliore crescita europea. Chissà se qualcuno riuscirà almeno a dirlo che c’è stato il miracolo economico in Italia e che questa è la più grande eredità del governo Draghi. Che lascia un Paese che continua a correre ancorché in rallentamento in un quadro, questo sì reale, di crisi del resto del mondo di cui bisogna tenere conto. Perché consiglia il massimo di prudenza per la fine dell’anno e quello a venire.
Stiamo parlando, lo ricordiamo a chi ha poca memoria e già da domani busserà a quattrini, del settimo trimestre consecutivo di crescita. Il terzo trimestre dell’anno coincide con il maxi rincaro delle bollette a causa del ricatto putiniano sul gas e di una indecorosa speculazione interna della filiera distributiva italiana messa sul conto di produttori agricoli e consumatori. Il terzo trimestre dell’anno è lo stesso in cui avrebbero dovuto chiudere 120 mila imprese commerciali italiane e entrare in recessione la nostra manifattura sulla base dell’urlo quotidiano dei megafoni di tutte le associazioni datoriali ridottesi a poco più di sindacati di categoria corporativi. Tutti alla ricerca spasmodica di fare sussidiare i profitti dal bilancio pubblico italiano.
Ebbene, con rispetto parlando, questo terzo trimestre dell’anno si chiude con una crescita del 2,6%, sì avete capito bene 2,6% anno su anno, addirittura +0,5% sul trimestre precedente quindi la performance è nettamente positiva anche sul piano congiunturale, e la crescita acquisita del prodotto interno lordo (Pil) per il 2022 è del 3,9%. Che si va ad aggiungere al +6,7% di crescita del Pil del 2021 capitalizzando complessivamente un’economia così in forma da viaggiare in meno di due anni a un ritmo di espansione di certo superiore ai dieci punti percentuali e facendo dell’Italia l’unico Paese europeo che ha nettamente superato i livelli della sua economia pre-pandemici.
Quello che fa veramente impressione è che a fare faville è il turismo che ha numeri da tutto esaurito, come non si vedevano da decenni, e che è il settore popolato di ristoratori e albergatori che sono televisivamente parlando quelli che si presentano più spesso con la bolletta in mano (gas e elettricità) della loro imminente bancarotta mentre stanno facendo utili come non mai. Vanno molto bene anche tutti i servizi. C’è un rallentamento della manifattura e dell’agricoltura, questo è vero, ma un rallentamento molto contenuto con performance nettamente superiori a quelle dei loro competitori europei. Altrimenti sarebbe stata impossibile una crescita complessiva anno su anno (con 2001 a tutto gas) del 2,6%. Non nego affatto che i settori energivori – acciaio, carta, ceramica, vetro, alluminio – stanno soffrendo e devono essere fortemente sostenuti, ma evitiamo per piacere piagnistei generalizzati anticipati e teniamo fieno in cascina se la guerra dovesse continuare e la crisi aggravarsi continuamente.
Le prime dichiarazione del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, alla giornata del risparmio di ieri sono state perfette perché hanno confermato con nitida chiarezza la volontà di rispettare gli impegni in termini di calo del deficit e del debito pubblico. In una situazione globale di fibrillazione dei mercati con tassi alti per un Paese come l’Italia questa è la rotta giusta. Anche perché gli spazi di agibilità fiscale di un Paese europeo che va meglio degli altri consente ancora per un po’ almeno di concepire una manovra tra i 30 e i 40 miliardi addirittura riducendo da 21 a 15 miliardi l’area in deficit potendo contare almeno su 10 miliardi tra extragettito e extraprofitti, qualche miliardo di fondi europei e un po’ di spending review con o senza reddito di cittadinanza faranno il resto. Puoi, quindi, ancora fare una manovrona senza forse neppure incidere sugli obiettivi di finanza pubblica programmati mantenendo, cioè, i virtuosissimi target preventivati o tenendosi comunque in un’area di sicurezza.
Anche l’inflazione è destinata a calare perché nei prossimi mesi si confronterà con dati dell’anno scorso già in crescita e il picco si è avuto con la trasmissione a regime del record estivo dei rincari sopra i 340 a megawattora del prezzo del gas che oggi sono ridotti a meno di un terzo. Vogliamo dire che non solo abbiamo un Pil italiano che va meglio degli altri, ma abbiamo anche una nostra arma che gli altri Paesi non hanno che è rappresentata dagli investimenti pubblici del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) che nessuno ha programmato in misura analoga alla nostra. Sono state apparecchiate le carte giuste e Giorgetti che del governo Draghi è stato un ministro di punta lo sa benissimo. Per questo ciò che serve è sostegno forte a imprese e famiglie, ma in modo selettivo pagando chi ha avuto danni veri e aiutando chi ha più bisogno, non sussidiando a pioggia i profitti. Ancora di più serve mettere a regime la macchina degli investimenti pubblici che è un’arma potente per sostituire il calo dei consumi che il clima recessivo globale alla lunga comunque genererà in misura più o meno rilevante. La macchina degli investimenti del Pnrr e dei fondi di coesione e sviluppo, che finora nel primo caso ha fatto poco e nel secondo è stato un disastro, deve cominciare a correre, ma è l’intero sistema degli investimenti pubblici che a loro volta generano investimenti privati a dovere acquisire gli standard delle migliori pratiche europee che l’Italia ha avuto solo nella stagione della legge obiettivo.
L’invito del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a mantenere una linea di prudenza per l’elevata incertezza del quadro economico mondiale va raccolto. Sul lato della finanza pubblica in casa e su quello della politica monetaria fuori casa. Perché coglie il cuore del problema di oggi. Per cui anche la Bce dovrà di certo proseguire nel rialzo dei tassi per attenuare il rischio del persistere di un’elevata inflazione, ma dovrà procedere in modo graduale in questo rialzo. Speriamo che lo ascoltino.
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