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Giorgia Meloni

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Si dovrà imporre il massimo di selettività spostando l’asse dalle tariffe ai trasferimenti monetari usando due pesi e due misure a seconda del reddito dei percettori di questi trasferimenti. Non è un passaggio facile per un governo appena nato, ma è ineludibile. Perché gli aiuti su accise e benzina sono regressivi in quanto avvantaggiano chi ha maggiore capacità di spesa, mentre i trasferimenti monetari hanno un effetto progressivo perché si riducono al crescere del reddito. Si deve proteggere chi ha meno, a partire dal potere d’acquisto delle famiglie meridionali, perché l’inflazione acuisce le diseguaglianze che sono già elevatissime. Anche perché le assicurazioni contro l’insolvenza dei nostri titoli pubblici (Cds) restano quotate a 144 punti base contro i 28 degli inglesi e consigliano massima prudenza nella finanza pubblica.

Un’inflazione energetica da ricatto putiniano del gas che dura così a lungo ha un tempo tecnico di trasmissione sul carrello della spesa e, al netto di speculazioni interne domestiche che pure ci sono soprattutto nella filiera distributiva, non può non arrivare puntualmente a destinazione. Il dato record di ottobre di +11,9% su base annua e di +12,7% per il carrello della spesa, che ci riporta al 1983 con tutte le suggestioni che questa data rievoca, non deve, però, indurre alla solita informazione catastrofista italiana per cui la parola più ricorrente è la paura che tanto nuoce all’economia e a chi ha meno.

Esige piuttosto la correttezza di un’analisi che individua in questi dati la cinghia di trasmissione dei maxi rincari energetici di matrice putiniana e speculativa di luglio e agosto. Che pesano per almeno il 60% su quel dato, un altro 20% è indotto dai rincari delle materie prime agricole, sempre collegati alla guerra della Russia in Ucraina. Così è in casa nostra e genericamente in Europa che non sono gli Stati Uniti.

Una volta chiarite bene le cause del fenomeno italiano, bisogna prendere coscienza che queste cause esigono due ordini di valutazioni strategiche in termini di risposte operative sul piano delle conseguenze che il fenomeno in atto determina. La prima riguarda l’Europa. Deve prendere coscienza che il processo distorto è esistito, ha arrecato danni di cui i Paesi non sono colpevoli mentre l’Europa sì perché avrebbe dovuto fare molto prima quello che chiedeva Draghi: tetto, meccanismo separato di formazione dei prezzi per gas e elettricità, debito comune. Anche se ora le tariffe sono crollate rispetto alle punte di quasi 350 euro a megawattora nei momenti delicati del prossimo inverno i prezzi torneranno a salire. Bisogna, insomma, che l’Europa intervenga presto e bene agendo con decisioni forti sui meccanismi di mercato e sull’impiego di risorse comuni.

La seconda conseguenza, non meno importante, riguarda l’Italia che deve prendere atto che l’inflazione è cambiata e che, quindi, devono cambiare gli aiuti. Il sistema fin qui messo in campo dal governo Draghi è stato largamente concentrato sulle tariffe energetiche e solo marginalmente sull’inflazione generale con due bonus, uno di 200 e l’altro di 150 euro.

Il governo Draghi ha avuto anche l’accortezza di annullare di circa il 90% il caro inflazione sull’energia per le famiglie più povere, mentre la media del sostegno per tutte le famiglie italiane è stata pari a quasi il 50%. L’intervento di oltre 60 miliardi, come era giusto in quella stagione, aveva una rotta molto chiara che era quella di privilegiare l’intervento sulle tariffe energetiche rispetto ai trasferimenti monetari ed è stato il più forte in Europa anche perché ha potuto godere dei vantaggi sul lato delle entrate della maggiore crescita europea che è stata appunto quella italiana.

Oggi che il peso dell’inflazione generale è bruscamente aumentato non può più essere così e il campo d’azione degli aiuti va allargato al potere d’acquisto delle famiglie, non solo al pagamento delle bollette. Ovviamente, siccome le risorse sono limitate e se non si sblocca l’Europa i vincoli interni legati al debito italiano e quelli esterni legati alla situazione di alti tassi permangono, è evidente che il governo Meloni dovrà imporsi il massimo di selettività degli interventi spostando l’asse dalle tariffe ai trasferimenti monetari usando due pesi e due misure a seconda del reddito dei percettori di questi trasferimenti. Non è un passaggio facile per un governo appena nato, ma è ineludibile.

La conferma di questo ragionamento viene dall’ultimo lavoro dell’Ufficio parlamentare del bilancio (UPB) che ha chiarito come gli aiuti sulle tariffe energetiche di accise e benzina sono regressivi perché chi ha un suv ne beneficia di più di chi ha una utilitaria avendo presumibilmente una maggiore capacità di spesa, mentre i trasferimenti monetari hanno un effetto progressivo perché si riducono al crescere del reddito. È evidente che nella nuova situazione bisognerà puntare sempre di più sui secondi e sempre di meno sui primi. L’unico aiuto sull’energia che aiuta i poveri è il bonus sociale che è rimasto anche largamente inutilizzato perché molte delle famiglie che ne avrebbero diritto neppure lo sanno. Per questo, la prima cosa da fare è trovare il modo di erogare in automatico questo trasferimento e di fare più trasferimenti monetari a favore dei ceti meno ricchi.

Non è una scelta facile, ma il governo Meloni deve scegliere di proteggere prima di tutto chi ha meno perché l’inflazione è la più ingiusta delle tasse e acuisce le diseguaglianze che sono già elevatissime. Questo vale a maggior ragione per il potere d’acquisto delle famiglie meridionali che hanno mediamente un reddito pro capite pari alla metà di quello delle famiglie del CentroNord. Perché i poveri saranno sempre più scoperti e, senza interventi, l’emergenza sociale esploderebbe.

La massa finanziaria su cui il governo può contare sono 8/10 miliardi di addizionale Ires sugli extraprofitti, un’altra decina di miliardi di extragettito, altri 8/10 miliardi di code di bilancio eredità della crescita del governo Draghi e anche una quota di nuovo deficit di qualche decimale, magari dello 0,5% che vale 9,5 miliardi. Per estendere gli aiuti a una platea di soggetti che hanno subito un indebito danno ma hanno anche maggiori disponibilità servirà il sostegno dell’Europa, ma nel frattempo in Italia l’inflazione è cambiata e gli aiuti devono cambiare da subito.

Maggiore è la prontezza nel prendere la decisione agendo di conseguenza, maggiori saranno gli effetti sull’economia del nuovo decreto aiuti. L’incrocio con la nuova legge di bilancio, le inevitabili rinegoziazioni in sede europea di Pnrr e ancora più direttamente le decisioni già prese sui fondi di coesione e sviluppo 2014/2020 diventati residui, possono aiutare a fare questa difficilissima quadra. Senza fare sforamenti di bilancio e senza polemiche tanto rumorose quante dannose. Perché i Credit default swap (Cds) che sono l’assicurazione contro l’insolvenza dei nostri titoli pubblici italiani restano a 144 punti base e quelli inglesi sono pari a 28 punti base. Il mondo si chiede solo se dopo il caso britannico della Truss ci sarà un caso italiano della Meloni. Noi siamo certi che non ci sarà, ma le strettoie di cui si deve tenere conto non sono aggirabili per nessuno.


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