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Il porto di Gioia Tauro

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È l’intero Paese che oggi fa perno sull’area mediterranea ed è l’intera Europa che ha bisogno del Mezzogiorno italiano per fare perno sull’area mediterranea. Per il gas prima l’Europa era legata mani e piedi all’asse portante della Germania con la Russia di Putin e la Germania dettava le carte in Europa. Oggi l’asse portante della nuova Europa è quello con l’Africa e tutto questo non può non passare attraverso la sponda Nord del Mediterraneo che è il Mezzogiorno d’Italia. Siamo noi oggi a dare le carte. Uno degli elementi fondanti della nuova economia sono le “terre rare” e l’80% del cobalto si estrae in Congo. Quindi, la nuova economia volente o nolente si deve rivolgere a quella più arretrata e l’Italia esprime in modo strutturale con il suo Mezzogiorno un valore strategico non nazionale ma europeo. Perché l’asse fondamentale diventa quello verticale Sud-Nord. Siamo noi i partner naturali dell’Africa. Si prenda esempio da quello che ha fatto Aponte a Gioia Tauro e si apra ad horas il cantiere del nuovo rigassificatore.

C’è un punto strategico che segna lo spartiacque tra un’Italia con gli occhi rivolti all’indietro e un’Italia che sa guardare avanti. È lo stesso punto strategico che può consentire alla barca italiana di attraversare i mari tempestosi delle grandi crisi di origine bellica – economica, sociale, inflazionistica e finanziaria – e alla nave europea di entrare nei “porti” del nuovo ordine mondiale che scaturirà dalla fine della guerra come nave ammiraglia di una flotta europea che si colloca stabilmente sul podio dei grandi player globali.

C’è la possibilità concreta che la coerenza meridionalista degasperiana del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) del governo di unità nazionale di Draghi si saldi con una visione coerente esplicitata e un’accentuazione delle capacità tecniche operative recuperando il massimo di centralità da parte del governo Meloni. Questa è la grande occasione del Paese.

Bisogna uscire dalla logica puramente contabile del tipo “abbiamo dato al Mezzogiorno almeno il 40% del Pnrr sulle singole attività” senza accompagnarla anche sul piano comunicativo con una prospettiva di grande visione di lungo termine. Bisogna che sia chiaro a tutti, in casa e fuori, a chi ci governa e a chi fa opposizione, che non siamo più davanti alla vecchia questione meridionale di ritardo da superare, ma alla nuova questione meridionale che coincide con il posizionamento del Paese intero nel nuovo contesto internazionale. Parliamoci chiaro e cerchiamo di capirci bene una volta per tutte: è l’intero Paese che oggi fa perno sull’area mediterranea ed è l’intera Europa che ha bisogno del Mezzogiorno italiano per fare perno sull’area mediterranea.

Partiamo dalla grande questione del gas che è figlia del ricatto putiniano, ma anche di una sequela impressionante di errori italiani sul piano della politica energetica interna e, ancora di più, infinitamente di più, non solo di probabili errori di valutazione ma addirittura di disegni espansionistici tedeschi pelosamente intrecciati con la Russia di Putin e, in genere, il mondo dell’Est, per non parlare dei traffici di affari altrettanto solidi con la Cina del nuovo Mao a vita. Questo è il punto di partenza del nuovo quadro geopolitico che ci indica che Mezzogiorno d’Italia e Mediterran

eo non sono più solo importanti, ma semplicemente cruciali per il futuro energetico e di molto altro dell’Europa.Per il gas prima l’Europa era legata mani e piedi all’asse portante della Germania con la Russia di Putin e la Germania dettava le carte in Europa. Oggi l’asse portante della nuova Europa è quello con l’Africa della Algeria, della Tunisia, della Nigeria e così via e tutto questo non può non passare attraverso la sponda Nord del Mediterraneo che è il Mezzogiorno d’Italia. Siamo noi oggi a essere chiamati dalla storia a dare le carte.

C’è di più. Uno degli elementi fondanti della nuova economia sono le “terre rare” e l’80% del cobalto si estrae in Congo. Quindi, la nuova economia volente o nolente si deve rivolgere a quella più arretrata. In questo modo l’Italia esprime in modo strutturale con il suo Mezzogiorno, quasi automaticamente anche per ragioni geografiche dirette e intuitive, un valore strategico non nazionale ma europeo. Perché l’asse fondamentale diventa quello verticale Sud-Nord. Siamo noi i partner naturali dell’Africa.

Torniamo ad essere noi, come doveva già essere con il primo South Stream che fu messo fuori gioco dagli interessi franco-tedeschi con il primo e il secondo Nord Stream, la porta energetica e la capitale della logistica e del trasporto terra mare della nuova Europa che non può non collocarsi su questo lato del Mediterraneo. È qui, non altrove, e bisogna che un po’ tutti si rassegnino, che si gioca la grande partita globale dell’industria del mare.

Gioia Tauro è il simbolo più evidente di questa rivoluzione dovuta a un armatore privato, Gianluigi Aponte, che ha investito in quel porto con i fondali tra i più profondi del Mediterraneo 200 milioni e che ora, attraverso l’Agenzia delle Dogane che effettua i controlli con un cervellone satellitare e grazie alle rete delle Ferrovie dello Stato, può caricare i container su una linea dedicata veloce per le merci e fare dogana nell’hub interportuale di Bologna. Che vuol dire collegare Gioia Tauro al cuore dell’Europa e, quindi, avere rotto lo storico isolamento. Lo stesso armatore ha comprato i porti africani gestiti da Bolloré e un colosso come Rimorchiatori Mediterranei che è il terzo gruppo al mondo nel settore.

Hanno ragione il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, e la neo premier, Giorgia Meloni, a dire “facciamolo questo dpcm che classifica come opera strategica il rigassificatore di Gioia Tauro e apriamo il cantiere”. Facciamolo domani, oggi, non dopodomani. Abbiamo anche un altro vantaggio in questo nuovo posizionamento dell’Italia nel contesto internazionale ed è il fatto che i francesi in Africa fanno antipatia mentre gli italiani fanno simpatia. L’Europa ha proprio bisogno del Mezzogiorno d’Italia. Perciò non facciamo scherzi sui fondi del Piano nazionale di ripresa e di resilienza e procediamo sul piano operativo nel solco tracciato delle superdeleghe al ministro Fitto. Perché le riforme fatte della pubblica amministrazione e della nuova governance danno e sempre più daranno i loro frutti nel recupero di efficienza delle amministrazioni territoriali e ministeriali, ma senza una regia centrale politica e tecnica per un po’ si cammina ma non si riesce a correre. Anzi, c’è il rischio di fermarsi.


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