Giorgia Meloni e Mario Draghi al passaggio di consegne
7 minuti per la lettura1) Spazio fiscale sotto un punto di deficit che vale massimo 15 miliardi continuando a fare scendere il rapporto debito-pil. 2) Nuova tassazione degli extra profitti che agisce come addizionale sull’Ires e, quindi, su una base imponibile certa. 3) Decreto aiuti fotocopia di quelli del governo Draghi usando i margini sempre disponili sulle spese del 2023 e utilizzo dei 14 miliardi residui sui 40 dei fondi europei di coesione 2014/2020. Questa continuità pratica, direi esecutiva, in termini di misure concrete a favore di famiglie e imprese e per l’equilibrio dei conti pubblici non contiene nulla dei 180 miliardi delle promesse elettorali salviniane e berlusconiane, ma sarà il biglietto da visita che consentirà alla Meloni di avere dal tavolo europeo le risposte che l’Italia deve avere e ci metterà subito al riparo dal rischio inglese che agirebbe sui tassi e farebbe crollare tutto immediatamente. Questo, non altro, significa difendere l’interesse nazionale
Sarà nella legge di bilancio e nel decreto bollette del nuovo Governo Meloni che si realizzerà in modo particolarmente evidente quella continuità esecutiva con il governo Draghi di cui ci sono stati decine di segnali politici anticipatori che puntano a preservare il valore conquistato dal Paese nella comunicazione internazionale e a confermare al mondo che l’Italia è diventata un Paese serio.
Questa continuità reale avrà nella collaborazione operativa tra l’uscente ministro dell’economia, Daniele Franco, e il subentrante, Giancarlo Giorgetti, la prova pratica più evidente e si inserisce in un filone di azioni concrete che, si spera, siano tutte coerenti con la cornice politica di continuità esibita e che mercati e istituzioni europee dimostrano di apprezzare.
Perché sui temi energetici, sull’utilizzo dei fondi europei e l’attuazione del processo riformatore compiuto già avviato, sulla collocazione europeista e atlantista che funziona oggi da spartiacque tra Paesi che usciranno vincitori o perdenti dal conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo occidentale, si gioca la sola partita del futuro che può giocare l’Italia. La continuità politica su questi temi tra governo Draghi e governo Meloni è obbligata perché l’unica alternativa possibile a questa continuità sarebbe la discontinuità della disfatta inglese.
Con buona pace dei catastrofisti italiani in servizio permanentemente effettivo che vorrebbero che l’Italia facesse quello che ha fatto la Truss, che non è nient’altro che quello che hanno sbandierato a destra e manca Salvini e Berlusconi in campagna elettorale e dopo tra una flat tax e l’altra, ma che è esattamente proprio quello che noi non dobbiamo fare se non vogliamo essere travolti dal rischio sottovalutato da tutti di crisi finanziaria e fare la fine inglese di dovere spaventosamente aumentare le tasse che avevano pubblicamente annunciato di volere tagliare.
Il neo ministro della pubblica amministrazione Zangrillo dichiara che “il mio compito è salvare tutto il lavoro fatto dal predecessore Brunetta”. L’uomo che ha gestito il ministero della transizione energetica (Mite) nel governo Draghi si chiama Roberto Cingolani e resta nel nuovo governo Meloni come consigliere per gestire tutte le trattative con l’Europa. Il più draghiano dei ministri del governo di unità nazionale, Giancarlo Giorgetti, riceve nel governo Meloni addirittura le chiavi del dicastero dell’economia che è il crocevia attraverso il quale passa tutto. Lo stile e la chiarezza con cui è avvenuto il cambio di consegne tra Mario Draghi e Giorgia Meloni con un’ora e mezzo di colloquio di cui sessanta minuti a quattr’occhi prima del rito della campanella, indica un metodo italiano nuovo di gestire le transizioni da un esecutivo all’altro che risponde all’interesse nazionale in modo assoluto e costituisce una novità altrettanto assoluta nel panorama politico nazionale.
Tutti questi plurimi segnali politici indicano che qualcosa di profondo nel nostro Paese sta realmente cambiando e guai se interrompessimo per la pressione mediatica del solito caravanserraglio interno questo processo di cambiamento effettivo della vita delle sue istituzioni e della gestione delle partite complesse di economia e di politica estera.
Per questo, a nostro avviso, la nuova legge di bilancio si muoverà su tre direttrici che sono le stesse su cui si è mosso in passato e su cui, con le stesse nuove difficoltà, si sarebbe mosso per l’oggi e per il domani il duo Draghi-Franco. La prima direttrice riguarda la individuazione di uno spazio fiscale di 7/9 punti di decimale che può valere fino a 15 miliardi mantenendosi sempre sotto il minimo indispensabile di un punto di deficit in più e, soprattutto, stando attentissimi a fare accompagnare tutto ciò dalla capacità di tenere comunque sempre fermo il sentiero di riduzione del rapporto debito/pil mettendolo nero su bianco e dichiarandolo proprio come avrebbe fatto lo stesso Draghi. Senza abbandonarsi neppure per un istante a imitazioni dei manifesti inglesi sovranisti o a richiamare teorie economiche di per sé non folli, ma semplicemente impraticabili e, quindi, folli in una situazione di contesto internazionale di alti tassi qual è quello attuale.
La seconda direttrice riguarda la riforma della tassazione degli extra-profitti che assumerà le sembianze di un’addizionale dell’IRES o, forse, meno dell’IRAP che dovrebbe garantire qualche miliardo in più del gettito previsto dal governo Draghi e, soprattutto, dovrebbe garantirlo in modo certo. Questo oggi si può fare, mentre prima non si poteva fare. Perché Draghi avendo l’urgenza tecnica di agire in corso d’anno poteva farlo solo muovendosi sui saldi IVA e, tra ricorsi e controricorsi, si è arrivati a strappare 4/5 dei 10 miliardi di gettito previsti. Nel caso del governo Meloni non c’è più questa urgenza perché devi fare la manovra del 2023 e ti puoi mettere al sicuro stabilendo oggi per allora un’addizionale che non è discutibile perché scatta su una base imponibile vera, non opinabile, in quanto agisce sulla base dell’imposta che paga la società.
La terza direttrice riguarda il decreto aiuti che utilizzerà una quota di margini sempre disponibili per una legge di bilancio che può anticipare nel 2022 una parte tabellare delle cosiddette spese indifferibili che tali non sono o di fondi vari previsti per il 2023. Avremmo l’ultimo, nuovo decreto aiuti della serie fotocopia dei decreti aiuti di Draghi che hanno preservato la crescita della prima economia europea, che è stata fino ad agosto quella italiana, e ha garantito meglio di tutte le società europee le fasce più deboli dagli oneri del caro bolletta.
Questo è il cuore della doppia manovra (legge di bilancio e decreto aiuti) del governo Meloni che esprime la volontà di proseguire nel solco del sistema di aiuti e di equilibrio dei conti pubblici messo in piedi dal governo draghi. In questo senso anche sul tema altrettanto caldo delle pensioni si procederà con una flessibilità in uscita che costa poco e riguarda una platea limitata, ma soprattutto è basata sul principio che se esci prima prendi meno. Che era esattamente il principio-guida che Draghi avrebbe voluto fare inserire nell’agenda sociale in via di definizione con le forze sindacali e produttive prima che Berlusconi e Salvini dichiarassero inopinatamente la fine dei giochi.
C’è, infine, una quarta direttrice che è il corollario strategico della linea Draghi fatta intelligentemente propria dalla Meloni che si gioca qui la partita della sua vita e può francamente fregarsene dei pericolosi ululati sovranisti e catastrofisti che non appartengono ai suoi elettori ma a gruppi di pressione mediatica che hanno in questo catastrofismo l’alimento essenziale della loro sopravvivenza. Il corollario strategico è l’azione dell’Europa. Che ha già consentito, con decisione della commissione europea, ai singoli Paesi di usare per combattere il caro bolletta il montante di 40 miliardi dei fondi di coesione della programmazione 2014/2020 dove però i residui utilizzabili, comunque da negoziare con le regioni, sono pari 14. Che deve dare in termini operativi risposte coerenti con le decisioni politiche già assunte per un tetto dinamico al prezzo del gas, riforma del meccanismo con criteri separati per l’elettricità, e soprattutto un meccanismo di intervento finanziario comune. L’ultimo regalo politico di Draghi alla costruzione della nuova Europa e alla salvezza possibile dell’Italia.
La continuità pratica, direi esecutiva, della continuità politica con il governo Draghi in termini di misure concrete a favore di famiglie e imprese e per l’equilibrio dei conti pubblici non contiene nulla dei 180 miliardi di promesse salviniane e berlusconiane in campagna elettorale, ma sarà il biglietto da visita che consentirà alla Meloni di avere dal tavolo europeo le risposte che l’Italia deve avere e ci metterà subito al riparo dal rischio inglese che agirebbe sui tassi e farebbe crollare tutto immediatamente.
Siamo attesi al varco di questo passaggio dal mondo intero e dalle informazioni che abbiamo si sta andando nella direzione giusta. Quella che preserva, peraltro, il Piano nazionale di ripresa e di Resilienza del Mezzogiorno, dei giovani e delle donne. Quella che può consentire all’Italia di preservare il rango recuperato da Draghi di Paese Fondatore, ma ancora prima di difendere il suo interesse nazionale. Che coincide con quello della nuova Europa e delle sue storiche alleanze internazionali.
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