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Siamo fuori dalla cartolina italiana dei passaggi da un governo politico all’altro dove la parola d’ordine era sempre quella di disfare tutto ciò che era stato fatto prima. Siamo in presenza, per l’Italia, di una situazione nuova perché finisce la stagione di un governo di unità nazionale che lascia qualcosa che non merita di essere disfatto, ma al contrario sviluppato e implementato e, cosa ancora più importante di tutte, chi raccoglie questa eredità sulla base di un voto popolare inequivoco rivela la capacità di cogliere l’importanza di ciò che è avvenuto. Dimostra la volontà di proseguire questo cammino in Europa e in Italia con la spinta che solo la lucidità della politica quando ha anima e visione può consentire

Mario Draghi insegna come si esce di scena alla grande. Ha fatto fino all’ultimo il suo mestiere. Ha portato a casa un risultato che non è per lui, ma per il Paese. Ha lavorato fino all’ultimo momento in cui scende dall’aereo di ritorno da Bruxelles e passa le consegne a Roma a Giorgia Meloni, la prima donna premier della storia repubblicana italiana e la prima leader espressione del partito conservatore. Quello che è avvenuto ieri trasferisce alla coscienza profonda del Paese che cosa vuole dire essere servitori dello Stato.

Rappresenta la prova che l’Italia ha tutte le capacità per essere protagonista in Europa, tracciare un sentiero e percorrerlo insieme agli altri. Perché il risultato che ha ottenuto il premier italiano sui temi energetici è un risultato che ha ottenuto per l’intera Europa. Perché le proposte accolte – corridoio dinamico per il prezzo del gas, disaccoppiamento con l’elettricità, strumento finanziario comune per mitigare gli effetti dei rincari su imprese e famiglie – sono tutte proposte del governo italiano e si tradurranno in decisioni operative in sede di Commissione, Consiglio dei ministri dell’energia e, più specificamente per la creazione e il finanziamento di un fondo comune, in sede di Ecofin. Queste sono le vere eredità che si lasciano quando si onora il governo del Paese con lo stile e i comportamenti di uno statista che è un grande servitore dello Stato italiano e dell’Europa federale in costruzione.

A Giorgia Meloni, che ha dimostrato in campagna elettorale e fino a oggi ineccepibili tratti istituzionali e fermezza di decisioni nonostante insidie interne di ogni tipo, sentiamo di dire che la sfida più importante per lei è quella di essere capace di raccogliere questa eredità e di saperla poi lasciare a chi verrà dopo di lei con lo stesso stile e con gli stessi risultati. Noi lo auspichiamo profondamente. Erano almeno vent’anni che non succedeva un passaggio di governo così pulito, potremmo quasi dire così ordinato. Con un governo uscente che chiude i suoi venti mesi di lavoro concludendo in Europa un accordo strategico contro la speculazione e il caro bollette nell’interesse del Paese e dell’Europa e rendendo plasticamente evidente la strada su cui dovrà muoversi il governo che subentra.

Alle prese con il conto delle grandi crisi internazionali che premono congiuntamente, ma anche con la forza del primato indiscusso della sua economia e del processo riformatore compiuto avviato e con il senso di responsabilità e di consapevolezza di chi è stato chiamato dagli elettori a raccoglierne l’eredità. Siamo fuori dalla cartolina italiana dei passaggi da un governo politico all’altro dove la parola d’ordine era sempre quella di disfare tutto ciò che era stato fatto prima.

Siamo in presenza, per l’Italia, di una situazione nuova perché finisce la stagione di un governo di unità nazionale che lascia qualcosa che non merita di essere disfatto, ma al contrario sviluppato e implementato e, cosa ancora più importante di tutte, chi raccoglie questa eredità sulla base di un voto popolare inequivoco rivela la capacità di cogliere l’importanza di ciò che è avvenuto. Dimostra la volontà di proseguire questo cammino in Europa e in Italia con la spinta che solo la lucidità della politica quando ha anima e visione può consentire.

Quando si avvertono il senso di responsabilità e il peso delle asperità che si hanno davanti, ci si può misurare anche con le difficoltà interne alla maggioranza e la delicatezza di una revisione di scelte e atteggiamenti determinati dal contesto globale in cui si opera. Che è fatto di una grande crisi economica e sociale portata in casa dalla recessione del resto del mondo e da un rischio di instabilità finanziaria sottovalutato da tutti ma che detta le danze.

Perché passare dai tassi sotto zero all’inflazione alle stelle, dalla politica monetaria espansiva delle banche centrali a una sequela di rialzi che mettono a rischio l’impalcatura finanziaria globale, cambia tutto e obbliga a evitare scorciatoie pericolosissime come scostamenti di bilancio che possono produrre danni incalcolabili a strettissimo giro. Quando si hanno persone che sanno quello che fanno può succedere anche quello che non è mai successo e, cioè, il passaggio ordinato a una repubblica diversa.

La seconda repubblica, diciamocelo, al netto di rarissime eccezioni, è stata solo uno stato generale di confusione in una cornice permanentemente catastrofista che ha portato alla lunga transizione di un Paese che non riusciva mai a trovare la sua stabilizzazione. Dove il racconto italiano è falsato e dove la formazione di una coscienza nazionale fatta di memoria e di futuro è impossibile. Sono successe delle cose in Italia che ci hanno consentito di arrivare a quello che è accaduto. Siamo diventati agli occhi del mondo un Paese serio, è cambiata la percezione dell’Italia. Avere una destra ancorata all’Europa che fa la destra e si misura con una legittima sfida di governo che la toglie dalla palude dei sovranismi della fuffa. Avere una sinistra che sappia fare il suo mestiere, che torni tra la gente, che si occupi dei bisogni sociali e insegua un chiaro profilo riformatore.

Qui dobbiamo arrivare in modo compiuto, ma il doppio processo è avviato. Draghi ha creato uno splendido piedistallo per la Meloni e ha costruito per lei sia in casa sia in Europa, anche se molti non lo capiranno o faranno finta di non capirlo, una strada veloce su cui misurarsi con le asperità che ha davanti.

Giorgia Meloni dovrà tenerne conto esattamente come ha fatto con la scelta dell’economia affidata a Giancarlo Giorgetti e dello Sviluppo economico a Adolfo Urso ben sapendo che avrà intorno a sé chi proverà a bucare le ruote della macchina di cui è al volante. Che lo faranno magari in modo coperto e dentro un quadro difficile per il mondo intero, ma lei può partire da condizioni migliori degli altri, perché chi la ha preceduta ha favorito una crescita superiore al 10% e ha ridotto il rapporto debito/prodotto interno loro di 8/9 punti che è la migliore performance dalla guerra a oggi.

Il governo Meloni può partire da un punto di partenza più solido di concorrenti europei blasonati come sono francesi e tedeschi. La neopremier ha tutto il peso politico per mettere a cuccia Salvini e Berlusconi con le loro bandierine propagandistiche in casa e per esigere dall’Europa il documento legale che traduca in azioni operative quelle decisioni di tetto al prezzo e di fondo comune che il suo predecessore ha portato a casa convincendo il cancelliere tedesco, Scholz, partito da posizioni opposte e mobilitando le coscienze di 26 capi di stato e di governo, molti dei quali partivano da valutazioni di segno contrario.

La Meloni è attesa alla prova dei fatti che potrà conseguire se opererà con la determinazione che le è riconosciuta e una sua visione politica che può fare la differenza ma dentro il tracciato del realismo segnato che è incompatibile con i catastrofismi e i sovranismi deteriori. Non esiste un caso Italia oggi sui mercati perché si ha la netta percezione che questa sia la strada che la Meloni voglia perseguire.

Il nostro Paese non è nei radar degli investitori, non ci sono report allarmati di banche d’affari e di fondi pensioni, quello che domina oggi è il caso Inghilterra e non il caso Italia che è ovviamente sorvegliata ma solo per capire se possono emergere “tentazioni inglesi” alla Salvini o alla Berlusconi in materia di taglio delle tasse o di maggiore spesa previdenziale. Il solo fatto di avere raggiunto l’accordo politico in Europa sul tema caldissimo del caro bolletta ha significato una discesa ulteriore del 10% del prezzo del gas sui mercati olandesi dopo che il flusso di decisioni annunciate e la minore domanda hanno fatto scendere la bolletta da un picco di oltre 300 euro a megawattora a poco più di 100.

L’Italia può farcela, anche senza Draghi, anzi deve farcela perché parte da condizioni più solide e perché qualcosa è avvenuto per davvero nel Paese e nella politica. Se mettiamo a confronto questa transizione con quello che sta avvenendo in Gran Bretagna, viene da dire ai signorotti della Brexit che magari loro fossero Britaly. Hanno una premier che va via nascondendosi e lasciando un cumulo di macerie. Noi invece stiamo dimostrando di essere un Paese serio che, sotto la regia di un Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che esprime tutta la forza della nostra democrazia, risolve le sue transizioni di governo con la precisione di un orologio svizzero in tempi ristrettissimi e, allo stesso tempo, è capace di dare la linea in Europa recuperando nel rispetto di tutti il ruolo e il rango di Paese Fondatore.

Questo è il capitale reputazionale che, andando avanti e innovando ancora, Giorgia Meloni deve essere capace di preservare e consolidare. Dobbiamo continuare ad essere un Paese serio che persegue la coesione sociale, si misura con le diseguaglianze attraverso i fatti, non le manifestazioni. Come è avvenuto con la priorità a Sud, giovani e donne del Piano nazionale di ripresa e di resilienza, l’investimento in capitale umano e cultura, e con la migliore diversificazione europea della politica energetica. In questo senso la scelta di Gennaro Sangiuliano per un ministero di peso che vale tanto per l’economia quanto per lo spirito e la coesione sociale, come è quello della Cultura, non poteva essere più giusta.

Perché esprime la coerenza di un intellettuale del Sud che non ha mai rinunciato alle sue idee anche quando non andavano di moda, ma né allora né dopo si è mai sottratto al confronto con tutte le componenti del dibattito culturale. Perché non è vero come diceva qualcuno che con la cultura non si mangia e, soprattutto, senza cultura non si fa l’unità nazionale, si perde la memoria e non si costruisce il futuro. Si perde il collante di un Paese che va ritrovato uscendo dalla babele delle lingue. Perché come diceva Ciampi bisogna dire cose diverse ma con la stessa lingua che, nel caso della cultura italiana, è la lingua del mondo.

Perciò siamo contenti che il Mezzogiorno abbia in questa compagine di governo il peso di rappresentare la cultura e che siano allargate le deleghe europee di Raffaele Fitto che ha una solida tradizione politica di governo e di amministratore, ma soprattutto ha maturato in Europa un’esperienza e una capacità di interlocuzione su tutti i dossier e su tutti i fondi che può essere decisiva per la crucialità dei temi e per Il ruolo decisivo di Fitto agli Affari europei e la scelta strategica di unire il Mare al Mezzogiorno

LE CONSULTAZIONI AL QUIRINALE

Il nuovo esecutivo non interrompere la serietà del lavoro svolto da Amendola che lo ha preceduto operando con metodo. Ci è piaciuto, infine, molto che la delega dell’industria del mare sia stata affiancata a quella del Mezzogiorno, nelle mani dell’ex presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, perché ne racchiude congiuntamente la priorità in termini di indirizzo economico e di contesto geopolitico in una chiave di sviluppo euro mediterraneo promosso dalla coerenza meridionalista degasperiana di Draghi che ha segnato il Pnrr e una politica economica diretta a perseguire la riunificazione delle due Italie.

A differenza di quello che pensano molti non crediamo che ci saranno sbandamenti in termini di collocazione europeista e atlantica perché questa è stata sempre la linea della Meloni, ma anche perché il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, come presidente del Parlamento europeo molto apprezzato e due volte commissario, altrettanto apprezzato, esprime da sempre queste scelte ed è riconosciuto in partenza nel suo ruolo. Le sbandate di Berlusconi, a nostro avviso gravissime perché non si può sempre ridurre tutto a cabaret, rimarranno fuori dalla linea di azione di questo governo. Questo noi pensiamo.

Quello che ci preoccupa piuttosto è la capacità della nuova compagine governativa di procedere sulla strada della semplificazione della macchina pubblica ministeriale e territoriale dimostrando che la serietà recuperata si traduce anche in cantieri aperti a partire dal Mezzogiorno recuperando una centralità di decisione che va nella direzione opposta dell’autonomia differenziata ma è assolutamente inderogabile. Così come il processo riformatore su temi delicati come sono quelli della concorrenza e della giustizia non possono essere elusi. Nel primo caso si devono superare alcuni tabù e nel secondo si deve uscire dalla logica dei singoli interessi. Servono mani esperte che restituiscano a questo Paese la dignità di una giustizia priva di derive politiche e certa nei suoi tempi di attuazione. Sono due punti decisivi.


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