Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni
7 minuti per la letturaGiorgia Meloni ha un problema vero dentro che si chiama Salvini e uno fuori che si chiama Berlusconi. Con quest’ultimo c’è un vantaggio perché non è nel governo, ma la scivolosità pericolosissima nei rapporti con Putin emersa nel modo peggiore crea danni immediati incalcolabili. Salvini avrà un ruolo che pesa e sarà scrutato dentro e fuori in modo diretto. Per cui se preme sull’acceleratore per pensioni e autonomia differenziata sono guai. Il punto è capire che cosa è questa coesione così faticosamente mostrata, rendersi conto se ha dentro i cromosomi per una vita di governo almeno di breve durata, se ha gli anticorpi per tutelarsi da contagi internazionali che fanno paura. Di questo passo può saltare tutto anche se il cemento del potere fa miracoli
È CHIARO a tutti che davanti allo scenario ormai evidente di finire contro un muro tra ricatti e controricatti, un punto di convergenza si trova sempre. Quando si è a un passo da mandare tutto a rotoli, successo nell’urna e primo governo con una premier donna di Destra-Centro, capi partito e clientes varii riscoprono Verga e si impongono di rappattumare sempre tutto. Anche se sono più bravi a mascherare, i coltelli dietro le schiene ci sono sempre stati anche nei governi della coalizione di centrosinistra. Questo lo diciamo per amore della verità.
Oggi, però, per la prima volta nella Repubblica italiana, secondo il responso dell’urna, la guida del governo tocca alla Destra di Giorgia Meloni che ha fatto un esercizio di responsabilità anche dichiarativa, dalla campagna elettorale fino a oggi, certamente rilevante e, quindi, il punto vero da capire è finché dura questa coesione che appare ancora come una rappacificazione alla meglio, per così dire rappattumata. Al di là del puzzle che si riuscirà a comporre come squadra di governo, fatto di per sé non trascurabile in termini di competenze e di rappresentazione geografica dell’unità del Paese, il punto vero è capire che cosa è veramente questa coesione così faticosamente riconquistata, rendersi conto se ha dentro i cromosomi per una vita di governo almeno di breve se non di lunga durata, se ha gli anticorpi per tutelarsi da contagi internazionali che potrebbero rivelarsi pericolosi.
Giorgia Meloni ha un problema vero dentro che si chiama Salvini e ha un problema vero fuori che si chiama Berlusconi. Se quest’ultimo fa la Ronzulli, che ha subìto un processo ingiusto di criminalizzazione in perfetto stile mediatico italiano che è in assoluto il peggiore, capogruppo al Senato di Forza Italia il percepito esterno sarà che da quei banchi Berlusconi vorrà mettere una zeppa nella macchina dell’esecutivo a guida Meloni. Non conta ovviamente il percepito, o perlomeno conta di sicuro in una fase iniziale, ma è evidente che peserà più o meno nel breve e medio termine a seconda dei comportamenti effettivi. Da questo punto di vista diradare le nubi il più presto possibile è un dovere verso l’Italia e aiuterebbe nella stessa misura governo e Forza Italia. Se, però, accade come è accaduto che Berlusconi si mette a dire che ha riallacciato i rapporti con Putin sulla base di scambi di regali e di parole dolci, siamo davanti a un problema serissimo che mina in partenza la coesione della coalizione di governo e, cosa infinitamente più grave, fa tremare le fondamenta della collocazione europeista e atlantista che appartengono alla Repubblica italiana dove non sono ammesse commistioni di ogni genere di interessi con uno zar che ha invaso l’Ucraina, bombardato su donne e bambini e imposto a tutti di fare i conti con un conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo occidentale che sta portando ogni genere di shock economico, sociale e finanziario all’Europa.
Se le cose stanno così, Berlusconi scala e diventa il primo dei problemi non il secondo. L’altro problema deriva dalla nomina data da tutti per scontata di Salvini a vicepremier perché in questo caso non parlerebbe più a nome di se stesso e neppure di singolo ministro con una competenza specifica ma dell’intero governo. Capisco che è un prezzo che Giorgia Meloni ha dovuto pagare per tenere insieme le cose. La politica ha le sue regole e impone un certo tipo di accordi. Resta, tuttavia, la preoccupazione più che fondata che sue dichiarazioni in libertà possano valere come pietre.
Pur volendo dare per scontato che non farà come si è già visto con il Conte 1 dove si comportava come premier perché in questo caso la Meloni non è Conte e non glielo consentirà. Il punto che preoccupa è che per fare danni incalcolabili, basta che Salvini ripeta un decimo di quello che ha detto in campagna elettorale e lo faccia da vice premier a cominciare da temi come quelli pensionistici e di flat tax varie che sono inavvicinabili con il bilancio che abbiamo e con l’emergenza globale che viene prima di tutto e di cui nessuno parla che è quella del nuovo mondo degli alti tassi. Bisogna che qualcuno mandi a ogni ora del giorno sul suo telefonino un video con il nuovo ministro dell’economia inglese che annuncia che aumenterà di 32 miliardi quelle stesse tasse che il suo predecessore costretto alle dimissioni aveva annunciato di volere ridurre di 45 miliardi e che ribadisce più e più volte che l’equilibrio di bilancio viene prima di tutto. Su questi punti con il problema Berlusconi c’è un vantaggio perché non ha incarichi direttivi di governo personali e perché almeno in casa si è abituati a questo linguaggio di parole più o meno al vento. Anche se poi, è bene ricordarselo, su alcuni punti fiscali forti in altre stagioni Berlusconi non ha mai rinunciato a ottenerli ovviamente mettendo il peso su altri e facendo aumentare complessivamente la pressione fiscale.
Salvini invece sempre che non salti tutto avrà un ruolo che pesa e che sarà scrutato dentro e fuori in modo diretto. Per cui se preme sull’acceleratore della riforma delle pensioni sono guai. Così come lo sono se preme sull’acceleratore dell’autonomia differenziata che vuol dire tra l’altro fare esplodere il consenso al Sud dei Cinque stelle. Perché una simile scelta, verso la quale siamo contrari in senso assoluto, nell’attuale congiuntura con i chiari di luna di bilancio che abbiamo vuol dire lasciare a terra chi sta già indietro. Non è giusto, è profondamente divisivo, oltre che miope. D’altro canto c’è un problema aggiuntivo da non sottovalutare. Se la Lega di Salvini e Forza Italia di Berlusconi perdono un po’ delle loro medagliette identitarie si convinceranno che il loro consenso verrà ulteriormente prosciugato dalla Meloni. Dovrebbero almeno capire che se il governo va bene è vero che il beneficio più importante va alla Meloni ma se il governo è condiviso per davvero con le giuste sfumature di appartenenza che non possono toccare la politica estera anche il beneficio sarà condiviso. Su questo punto, pure la Meloni deve essere così lungimirante da fare in modo che ci sia sempre qualcosa anche per gli altri. Che ovviamente è possibile se Salvini e Berlusconi chiedono cose realizzabili perché se chiedono cose irrealizzabili siamo al solito gioco al massacro italiano e alla condanna definitiva della politica.
Situazione questa resa ancora più grave dal fatto che non c’è nemmeno più una opposizione in grado di sfruttare le conseguenze del solito gioco al massacro. Neppure quando si assiste a scivoloni terribili sul piano della collocazione internazionale dell’Italia. Perché, purtroppo, in questo campo delle opposizioni c’è ancora più confusione con un grande frazionamento di tutto e di tutti a partire dalla strategia e dalle idee. Non ci sono solo tre opposizioni in concorrenza tra di loro – Pd, Cinque stelle e Terzo Polo, Sinistra italiana ha fatto cartello con il Pd – ma bisogna anche tenere conto che il Partito democratico di oggi è sette correnti messe insieme e non vorremmo mai che emergesse una spaccatura evidente tra Renzi e Calenda. I Cinque stelle in questo momento sono oggettivamente appiattiti su Conte con una strategia risultata vincente che è quella del solito show del grande fratello pentastellato che è la prosecuzione di un altro show come fu quello di Grillo degli esordi. Tutto ciò rende di certo in termini elettorali, ma non si può andare avanti all’infinito con reddito di cittadinanza, superbonus e convenienze belliche. Alla lunga gli elettori si chiederanno: tolto questo, qual è la proposta? Conte si è dimostrato abile nell’intuire e nello sfruttare le pulsioni della gente, ma non si governa con le pulsioni che possono solo essere accontentate. Per farlo devi avere mezzi e strumenti e, prima ancora, visione.
Questa è la sfida da vincere sua e della sinistra italiana. Che viene, però, dopo quella di un nuovo governo da dare al Paese saldamente collocato dove è sempre stato e dove deve rimanere. Questo è il punto dove si rischia di più, ma è anche vero che il cemento del potere fa miracoli.
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