Il Consiglio dei ministri presieduto da Mario Draghi
7 minuti per la letturaLo stesso governo buttato a mare al massimo grado di irresponsabilità politica dai partiti populisti nel mezzo di un’estate rovente e di un quadro internazionale che prepara un autunno di fuoco. L’America è in recessione, la Cina fa fatica, la Germania è messa davvero male, sono tutti elementi non incoraggianti per la nostra domanda estera. Questo, capite, accade a fronte di un’economia italiana che cresce in controtendenza rispetto a quella degli altri Paesi europei e fa faville nelle esportazioni con un aumento a fine maggio del 29,5% sull’anno e di circa l’8% sul trimestre precedente. Senza contare la stranezza dei consumi energetici che continuano a crescere nonostante gli abnormi rincari. Il governo che verrà fuori dal voto non si potrà non porre il problema di proseguire sulla strada segnata di fonti energetiche alternative a quelle russe, piuttosto che seguire le chimere populiste e sovraniste di un accordo rapido con Putin che finirebbe con isolarci a livello internazionale e ci farebbe pagare un conto pesante
Sono 14,3 i miliardi del prossimo decreto aiuti ricavati dalle maggiori entrate determinate dal buon andamento dell’economia in questi primi sei mesi dell’anno di governo Draghi che è in assoluta controtendenza a livello europeo. Lo stesso governo buttato a mare al massimo grado di irresponsabilità politica dai partiti populisti nel mezzo di una estate rovente e di un quadro internazionale che prepara un autunno di fuoco. Un conto salatissimo che pagheranno tutti gli italiani perché il moltiplicatore di fiducia che per effetto del governo Draghi aveva portato l’economia italiana sul gradino più alto del podio della crescita europea si trasformerà in un moltiplicatore di incertezza e di negatività in un contesto mondiale di recessione se non di stagflazione. A causa della grande crisi globale di origine bellica, pandemica, inflazionistica, monetaria.
Potremmo definirlo l’ultimo “regalo” del governo Draghi fino a poco più di 14 miliardi, come abbiamo anticipato nel giornale di ieri, per aprire un ombrello di protezione su imprese energivore, piccole aziende, famiglie con minore potere di acquisto, che attenui l’impatto della grandinata di settembre in un mese in cui peraltro si rischiava di ritrovarsi senza il nuovo governo e senza la proroga degli aiuti in scadenza a settembre. Un ombrello di protezione ancora una volta aperto senza fare uno scostamento di bilancio e che vale complessivamente 50 miliardi. Questa cifra dà la misura del tasso di salute della nostra economia in una stagione più grave del ’29 e rende plasticamente quanto è valso il capitale di credibilità internazionale impersonificato da Draghi e che è stato possibile sfruttare grazie alla lungimiranza di Mattarella e a uno sforzo di unità nazionale che ha riguardato i partiti, l’economia e la società italiane con tassi di intensità differenti ma comunque positivi.
Bisogna tenere conto in questo quadro composito di valutazioni, segnato da un conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo occidentale, quanto valga il peso specifico di Draghi ex presidente della Bce, stimato, ascoltato e rispettato in Europa e negli Stati Uniti come capo del governo di un Paese che non è nessuno nelle relazioni di potere internazionali. Perché l’Italia non ha soldi, non ha soldati, è indebitata più di tutti e non ha più da tempo una tradizione di politica estera e di visione internazionale che la pongano in un ruolo di guida. Da troppo tempo siamo a traino degli altri e il duo Germania-Francia ha fatto sempre il bello e il cattivo tempo.
Abbiamo invece vissuto una breve stagione felice di un capo di governo italiano che è una persona perbene, che parla un linguaggio internazionale e si fa capire, che non ha timore di dire le cose giuste e, soprattutto, non parla mai a vanvera. Questo è il motivo per cui l’Italia è stata rispettata e ha avuto un ruolo guida sul piano geopolitico sia nello schieramento senza se e senza ma a favore dell’Ucraina sia nella costruzione della Nuova Europa.
Tutto questo è avvenuto nonostante si ritenga a livello internazionale che Draghi abbia gestito un Paese che è considerato piuttosto volubile a volte onestamente anche a torto. Nessuno in Italia può oggettivamente replicare le qualità internazionali di Draghi e questo è un dato che si sottovaluta.
Conte aveva acquisito un certo ruolo in Europa perché c’era stata la pandemia e si è vista bene o male un’Italia a cui occorreva immediata solidarietà per l’impatto mediatico che la pandemia ha avuto, ma mai Conte avrebbe potuto avere in Europa una capacità di convinzione durante la guerra in Russia. Nessuno lo avrebbe ascoltato, invece Draghi si ascolta perché è una persona di esperienza, ha salvato l’euro e gli viene riconosciuto di qua e di là dell’Atlantico. Perché conosce le cose e ha una capacità di intervento e questo risalta con maggiore evidenza perché viceversa noi come Paese siamo debolissimi.
Il solco tracciato da Draghi in questo anno e mezzo abbondante di governo ha restituito all’Italia il rango e il ruolo di Paese Fondatore come fu ai tempi di De Gasperi con Adenauer e Monnet nel Dopoguerra. Rispetto a questo precedente storico c’è la differenza che dalla spedizione a tre a Kiev al rango di candidato dell’Ucraina per l’ingresso nell’Unione europea come nella definizione delle sanzioni e nella politica energetica, l’Italia di Draghi è arrivata prima. Ha dato, come dire, la linea alla Germania del neo cancelliere Scholz e alla Francia di Macron che resta un leader politico di prima grandezza ma ha avuto le sue difficoltà interne.
Per quanto riguarda più specificamente l’Italia è certo che il governo che verrà fuori dal voto non si potrà non porre il problema di proseguire sulla strada segnata di fonti energetiche alternative a quelle russe, piuttosto che seguire le chimere populiste e sovraniste di un accordo rapido con Putin che finirebbe con isolarci a livello internazionale e ci farebbe pagare un conto pesante. Qui la politica internazionale si salda con quella interna perché Draghi era riuscito a convincere la coalizione a riattivare i rigassificatori e a non fermarsi davanti agli ostacoli di Piombino per lavorare e trasformare le forniture di provenienza diversa da Mosca e fare in modo di evitare in futuro il blocco russo. A meno che non ci sia una retromarcia sull’attacco all’Ucraina e, nel frattempo, si faccia un accordo per qualche anno per andare verso una soluzione diversa.
La verità è che se vogliamo avere una capacità di finanziare l’acquisizione di energie non russe serve un governo credibile per essere meno dipendenti da tutti i punti di vista e, quindi, anche con gli affari correnti, si dovrà andare avanti spediti su questa strada. Il governo Draghi non può rimanere lì solo per firmare gli stipendi pubblici, ma anche per proseguire in questa direzione. È vero, ovvio, che gli accordi internazionali li fai quando sei credibile e che se la gente sa che te ne vai puoi spingere fino a un certo punto, ma anche questo fa parte di quella follia imperdonabile di togliere quattro o cinque mesi di lavoro al governo Draghi per portare a destinazione una serie di impegni.
Soprattutto, tutto ciò è incomprensibile oltre che folle se si considera che ci presentiamo con dati buoni come crescita e, ancora di più, come disavanzi. Se andiamo a vedere tutti gli indicatori soft di ordini delle imprese come la fiducia dei consumatori a livello europeo, constateremo che non è mai stata così bassa.
L’America è in recessione, la Cina fa fatica, la Germania è messa davvero male, sono tutti elementi non incoraggianti per la nostra domanda estera. Questo, capite, accade a fronte di un’economia italiana che fa faville nelle esportazioni. A fine maggio la crescita era del 29,5% sull’anno e di circa l’8% sul trimestre precedente con la stranezza dei consumi energetici che continuano a crescere di oltre il 2% nonostante gli abnormi rincari.
Su questa super economia italiana, diventata a sorpresa la locomotiva europea, la politica più provinciale del mondo che è quella italiana ha voluto caricare l’incertezza interna che rallenta gli investimenti e rischia di incidere sulle entrate pubbliche dopo un primo semestre con dati da nuovo boom. Non ci piaceva evidentemente questo primato italiano. L’indice di fiducia dei consumatori europei è al minimo storico, ma noi senza la crisi politica avremmo chiuso di certo l’anno meglio del previsto. Esattamente come è accaduto con i risultati del primo semestre italiano che gli altri grandi Paesi europei possono vedere solo con il binocolo.
Evidentemente ci piace il modello delle chiacchiere e della demagogia che è quello del ventennio della crescita zero virgola e del primato negativo di unico Paese europeo a entrare in pandemia senza avere raggiunto il livello del 2007. Questi sono fatti, non parole, ma il rumore delle chiacchiere è così assordante che i fatti li abolisce dal dibattito della pubblica opinione. Quanto insano masochismo c’è in questi comportamenti diffusi che sono il pane del populismo, ma tagliano trasversalmente sempre più larghi strati del tessuto politico, economico e civile. Abbiamo un solo desiderio: essere brutalmente smentiti. Perché ci sono troppi cigni neri in giro per il mondo che ci fanno male per inventarcene uno solo italiano costruito con le nostre teste e con le nostre mani. Ricordiamocelo.
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