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Mario Draghi

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Siamo arrivati al whatever it takes della grande crisi post bellica e pandemica alla quale si deve rispondere in modo radicale perché è il prodotto di un conflitto di civiltà tra autocrazie e democrazie che porterà a un nuovo ordine mondiale. Draghi lo ha capito prima di tutti e ha guidato il posizionamento geopolitico della Nuova Europa. Ha dimostrato di essere ancora Draghi. L’Europa e gli americani lo hanno capito, i partiti italiani con rare eccezioni no. Sarebbe molto importante che gli italiani lo capissero perché i timonieri sono importanti, ma la coscienza profonda di un Paese è ancora più importante

L’Europa pur di non perdere Draghi era disposta a chiudere un pochino gli occhi sulle nostre debolezze, quando non lo ha più questo gioco finisce. Anche con Draghi come Paese non siamo riusciti ad essere perfettamente in linea perché abbiamo sempre problemi interni e cambiare non è facile, ma l’Europa che di Draghi aveva bisogno per la sua ricostruzione guardava a noi con occhi più benevoli.

Oggi sono meno disponibili a fare concessioni e progressivamente concederanno sempre meno. Perché accadeva tutto ciò e perché rischia di accadere sempre meno?

La risposta è piuttosto semplice: l’Italia si è trovata per un breve periodo, poco più di un anno e mezzo, a godere del vantaggio di avere uno statista a rappresentarla in un momento in cui non ci sono più leader su cui fare leva per costruire la nuova Europa.

L’Italia si trovava nella condizione molto particolare di essere guidata, originalità assoluta, da un leader nazionale che prima era stato un leader europeo per un periodo lungo apprezzato e riconosciuto da tutti. Questa originalità italiana rispetto agli stessi francesi e tedeschi che sono guidati da Capi di Stato e di governo più forti, nel caso di Macron, meno forti e da tastare, nel caso di Scholz, che sono leader nazionali che cercano di performare come leader europei, faceva la differenza a nostro favore.

L’Europa, non noi italiani, l’Europa tutta aveva l’occasione irripetibile di mettere alla sua testa uno che si è fatto le ossa come leader europeo che è la storia precedente di Draghi come presidente della Banca centrale europea e di salvatore dell’euro.

Sono gli otto anni alla guida della Bce che hanno trasformato quest’uomo e gli conferiscono qualcosa in più rispetto agli altri anche perché chi lo ha preceduto e chi è venuto dopo di lui, a sua differenza, non hanno dimostrato di essere leader europei.

In una grande transizione storica come quella in cui siamo inseriti il modello occidentale è in crisi come tutti gli altri modelli e, quindi, avere una leadership extra nazionale che ha capito questa crisi, che si è confrontato con questa crisi coagulando posizioni e consensi, è anche qui un unicum. Proprio perché approfittando dell’esperienza accumulata durante la sua posizione di presidente della Bce, ha potuto fare una riflessione sulla crisi del sistema europeo e occidentale più ampia. Visto che le crisi politiche, in questo caso anche di origine bellica, molto spesso, si esplicano con una crisi economica.

Siamo arrivati al whatever it takes della grande crisi post bellica e pandemica alla quale si deve rispondere in modo radicale perché è il prodotto di un conflitto di civiltà tra autocrazie e democrazie che porterà a un nuovo ordine mondiale. Ecco, questo è oggettivo, Draghi lo ha capito prima di tutti e ha guidato il posizionamento geopolitico della Nuova Europa. Ha dimostrato di essere ancora Draghi. L’Europa e gli americani lo hanno capito, i partiti italiani con rare eccezioni no.

Draghi ha detto in Europa ai capi di stato e di governo e in Italia ai capi del populismo e ai mandarini della burocrazia che non si poteva fare più melina, si doveva prendere posizione ed essere conseguenti nei comportamenti.

In Italia ha posto le condizioni per fare tutto quello che si doveva fare a fronte di un impegno dell’Europa a fare debito comune per dare alla sua terza economia la possibilità di uscire con investimenti e crescita sana dal ventennio dello zero virgola e dell’irrilevanza. Ovviamente fare ciò, prendere decisioni scomode, alla politica italiana non va bene, ma fa molto bene alla politica che costruisce il benessere dei cittadini di lungo termine e rimette in moto il meccanismo competitivo facendo finalmente crescere la produttività del sistema Italia.

Per quanto riguarda l’Europa si è trattato di scegliere una linea di risposta nel momento in cui ci si trovava davanti a questa grande trasformazione. L’illusione che la storia si sistema da sola può fare commettere errori capitali perché bisogna invece prendere atto che questo modello liberale e occidentale con la guerra in Ucraina va reinventato e che, per l’Europa in particolare, bisogna costruire qualcosa di nuovo.

Lo storico Toynbee direbbe che siamo davanti a uno dei grandi binomi sfida-risposta che accompagnano le grandi crisi. Non si può più rimanere come eravamo, prendiamo seriamente questa sfida, e inventiamoci qualcosa. Questo Draghi ha testimoniato in Europa e in Italia. Noi ci dobbiamo ricordare che non possiamo continuare ad essere il Paese delle mille tribù e lo si capirà soprattutto nei collegi uninominali se la politica imporrà o meno le candidature delle sue mezze tacche.

L’Europa si deve ricordare che c’è stato un momento che un paio di Paesi, come Italia e Spagna, potevano fare la fine dell’Argentina, e che l’euro si poteva spacchettare almeno in due e che, al contrario, la storia fu dominata e non si entrò in terra incognita. Quell’unica storia compiuta europea di successo appartiene all’euro e ha un padre riconosciuto che si chiama Mario Draghi. Se fate questa riflessione, capite molto di quello che è accaduto in Italia in questi giorni e di quello che serve oggi all’Europa. Sarebbe molto importante che gli italiani lo capissero perché i timonieri servono, ma la coscienza profonda di un Paese è ancora più importante.


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