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Mario Draghi e Sergio Mattarella durante la firma del decreto di scioglimento delle Camere

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Il Paese reale questa volta si farà sentire. Il racconto della catastrofe dei capi partiti del populismo italiano che ha spappolato il movimentismo della sinistra e dei Cinque stelle e ha riunito le anime del centrodestra di governo e dell’opposizione in una destra più marcatamente populista si è trasformato da grancassa mediatica che inquina il dibattito della pubblica opinione italiana in un danno grave e certo per le famiglie e le imprese italiane interrompendo la stagione d’oro della nostra economia. Quello che deve essere davvero chiaro a tutti è che il percorso di rinascita del Paese coincide con la sua Ricostruzione Nazionale e si muove dentro un solco ben preciso a livello europeo e nazionale. È il solco tracciato da Mattarella e Draghi

Il Paese reale questa volta si farà sentire. Il racconto della catastrofe dei capi partiti del populismo italiano che ha spappolato il movimentismo della sinistra e dei Cinque stelle e ha riunito le anime del centrodestra di governo e dell’opposizione in una destra più marcatamente populista si è trasformato da grancassa mediatica che inquina il dibattito della pubblica opinione italiana in un danno grave e certo per le famiglie e le imprese italiane interrompendo la stagione d’oro della nostra economia.

Questo è quello che è accaduto privando l’Italia della pienezza di una guida autorevole, Mario Draghi, che ha restituito fiducia e credibilità al Paese nel giudizio degli investitori del mondo, ma ancora prima ha regalato all’Italia un anno e mezzo di crescita di quasi dieci punti di prodotto interno lordo (Pil) che coincide nel primo semestre di quest’anno, nettamente sopra il 3% dopo il 6,6 del 2021, con la prima posizione europea. I capi partito della destra di governo, Lega e Forza Italia, non se ne sono accorti, ma i loro elettori che sono gli imprenditori che fanno faville con le esportazioni, albergatori e ristoratori alle prese con un boom senza precedenti, venditori al dettaglio che non ricordano consumi di questo livello, e molti altri ancora sanno bene che cosa è successo e provano sconcerto per chi non ha votato la fiducia al timoniere della barca dei miracoli.

Provano sconcerto perché prima Conte poi Salvini e, purtroppo, anche Berlusconi non hanno pensato a loro che sono alle prese con il caro energia e combattono economicamente dentro una guerra dove il posizionamento e la credibilità di un Paese, impersonificati dal suo leader, fanno la differenza in termini generali e di portafoglio personale. Per questo siamo convinti che questa volta almeno un 10/15% di quel 40% che resta a casa di fronte a ciò che è successo tornerà ad andare a votare. Perché molti di loro sentiranno queste elezioni come quelle drammatiche del ’48 e su di esse, indipendentemente dalla sua volontà, aleggerà sempre l’ombra del nuovo De Gasperi che è Mario Draghi. Perché nella sua esperienza di governo ha imposto un modello che è quello di una guida e di un esecutivo che sanno fare le cose o che almeno fanno tutto il possibile perché nella situazione data il massimo delle cose possibili venga fatto. Questo i capi dei partiti o non lo hanno capito o non lo hanno voluto capire benché l’obiettivo del governo di unità nazionale fosse chiaro e determinato anche nella sua ristrettezza temporale.

Qualche politologo francese ha fatto riferimento a De Gaulle che subì un trattamento analogo, ma dieci anni dopo gli stessi partiti che lo piantarono in asso andarono in ginocchio da lui.

Oggi, essendo cambiato tutto, dieci anni possono valere anche dieci mesi. Chiariamoci bene. Quello che è accaduto in Parlamento è apparentemente incomprensibile, al netto di ragioni di interesse elettorale sulle quali si pronunceranno i cittadini, ma deve essere evidente a tutti che il primo vero discorso da politico di Draghi non era né duro né divisivo come si vuole fare apparire, ma semplicemente programmatico perché le materie più controverse sul piano politico – come quelle della concorrenza – non facevano altro che riproporre la parte incompiuta di programma che tutti i partiti della coalizione avevano sottoscritto quando si erano impegnati a dare attuazione al Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr).

Quello che deve essere davvero chiaro a tutti è che il percorso di rinascita del Paese coincide con la sua Ricostruzione Nazionale e si muove dentro un solco già tracciato a livello europeo e nazionale. Questa è la verità nuda e cruda. Il richiamo del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, alle forze politiche a non fare venire meno il sostegno a tutto ciò che va nella direzione di attuare il Pnrr e di fare fronte alle emergenze determinate dai molteplici effetti prodotti dalla più ingiusta delle tasse che è l’inflazione si muove dentro quel solco che ha salvato il Paese e che si deve a due persone prima di tutte che sono proprio Mattarella e Draghi. Perché insieme, all’apice della crisi partitica, hanno preso in mano un’Italia al minimo storico di reputazione e non più governabile e la hanno portata a diventare la locomotiva dell’economia europea e una guida rispettata nella costruzione della Nuova Europa.

È evidente che Draghi, solo chi non lo conosce può dubitarne, in casa e fuori farà il suo come sempre e nei limiti della nuova situazione tirati al massimo farà tutto quello che è possibile fare per sostenere il potere di acquisto delle famiglie e la crescita delle imprese, così come non mancherà di dare il suo contributo in tutti i consessi internazionali dove la sua voce vale in sé e la nostra speranza è che pesi il meno possibile negli interlocutori la nuova incomprensibile situazione che si è determinata sul piano interno. Perché nel posizionamento strategico tra la Ucraina di Zelensky e la Russia di Putin la voce di Draghi è stata la voce politica che ha contato di più in Europa. Così come lo è stato a tutto campo per la politica monetaria e lo è stato e lo è oggi nella costruzione della Nuova Europa a partire dalle questioni energetiche fino a quelle delle politiche di bilancio.

Per capire che cosa perdiamo basti pensare a quello che è avvenuto ieri nella riunione storica della Banca centrale europea dove c’è stato un do ut des tra super falchi del Nord Europa che hanno avuto un rialzo dei tassi non di 25 ma di 50 punti base e i Paesi del Sud Europa che hanno avuto il meccanismo battezzato Transmission Protection Instrument (TPI) con cui si dice ai mercati che quando la trasmissione della politica monetaria produce costi ingiustificati su questo o quel titolo sovrano o comunque non avviene correttamente, la Bce interviene. Ecco lo scudo, che in sé è una buona notizia per i mercati così come lo è stata la ripresa delle forniture di gas dalla Russia all’Europa.

Il punto è che questo nuovo strumento è legato come ovvio ad alcune condizionalità, a partire dall’esecuzione degli impegni assunti in sede europea (Pnrr prima di tutto) e dalla sostenibilità del debito pubblico, che oggi il Paese sta pienamente soddisfacendo e da un ulteriore potere di discrezionalità assoluta che il board della Banca si è riservato e dove la voce dei super falchi non potrà non pesare. Morale: non c’è stato lo scatafascio ipotizzato perché lo scudo ha contenuto la spinta speculativa, anche se siamo comunque affiancati allo spread greco, ma con Draghi pienamente in sella oggi saremmo scesi al di sotto dei 200 punti mentre ieri prima siamo saliti sull’otto volante e poi abbiamo chiuso a 237 punti. Questi giochetti non sono finanza che riguarda poche persone, ma tassi che paga in più o in meno il bilancio pubblico italiano. Sono soldi pubblici che servono, tra l’altro, per pagare stipendi, pensioni, scuola, sanità e così via. Queste riflessioni sono la pura verità ed è bene che tutte le forze politiche, di qualunque idea e schieramento, si misurino con queste verità in campagna elettorale.


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