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Matteo Salvini e Giuseppe Conte

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Il giochetto per i nostri eroi della “politica della gente”, di destra e di sinistra, si è rotto. Adesso sono loro che dovranno spiegare agli elettori che per colpa loro si dovrà votare e non si potranno fare le riforme senza le quali non si hanno i soldi europei del Pnrr così come si toglie incomprensibilmente la fiducia all’economia che cresce più di tutte in Europa. Chi ha responsabilità all’interno dei partiti parli chiaro in Parlamento. Spieghino perché dicono no a 23 miliardi di aiuti. Dicano se vogliono approvare i provvedimenti contro le diseguaglianze, se vogliono attuare o no le riforme del Pnrr a partire da balneari e tassisti. Bisogna finirla di prendersi in giro. Devono dimostrare di avere consapevolezza della gravità del momento internazionale che l’Italia ha gestito fino a oggi molto bene. Soprattutto devono dimostrare sotto giuramento davanti alla nazione in Parlamento che su guerra, economia e diseguaglianze si vuole fare sul serio.

Siamo il Paese europeo che ha avuto la crescita più alta nel primo semestre. Siamo anche l’unico Paese europeo che ha visto una correzione al rialzo delle previsioni europee di crescita. Siamo il Paese che con il primo taglio del cuneo fiscale dimenticato da tutti, reddito di cittadinanza, bonus di ogni ordine e grado, rinnovi di contratti bloccati da sempre, tassazione degli extraprofitti per calmierare il caro energia, è di certo quello che ha fatto di più per tutelare nei limiti del possibile il potere di acquisto delle famiglie alle prese con la più ingiusta delle tasse che è l’inflazione. In assoluta controtendenza europea nel primo trimestre dell’anno il potere di acquisto delle famiglie in Italia è cresciuto dello 0,3%.

Nulla si può fare, però, se si vogliono ostinatamente cavalcare incertezza e insofferenza accrescendole in modo irresponsabile. Nulla si può fare se la demagogia politica arriva a bocciare un decreto di aiuti di 23 miliardi, non di nuove tasse di 23 miliardi. Nulla si può fare se nonostante ci si impegni a fare il salario minimo, si lavori ventre a terra per mettere su entro fine luglio un altro corposo decreto di aiuti conto il caro energia, si decida di fare un ulteriore taglio ancora più robusto del cuneo fiscale che riduca strutturalmente i prelievi sugli stipendi in legge di bilancio, si risponde a tutto ciò con la più miserabile e vigliacca delle manovre da sotto impero della compianta Prima Repubblica quando almeno la politica si sapeva assumere le sue responsabilità. Per cui mai una forza politica avrebbe potuto non votare la fiducia al governo e pretendere di lasciare i suoi ministri nella compagine dello stesso governo.

Dall’esterno si guarda questo spettacolo e non manca neppure chi cerca di mettere ordine ma non ci si fida e ne discende una volatilità sui mercati dove la speculazione si sposta contro le banche che dopo il BTp sono gli altri titoli del rischio Paese e l’unico risultato concreto che la politica della demagogia ottiene è quello di fare pagare un prezzo ancora più elevato di sofferenza e di povertà alla maggioranza di coloro che a parole vorrebbe tutelare. Proprio perché l’obiettivo non è fare le cose seriamente, ma i voti che la demagogia delle parole dovrebbero fabbricare, secondo loro, prendendo peraltro in giro chi ha davvero bisogno.

Per farvi capire dove può arrivare la demagogia cito un episodio. Il ministro Bianchi è riuscito a fare la riforma degli istituti tecnici superiori, Its, che sono un punto chiave se si vogliono cambiare i rapporti tra scuola e mondo del lavoro. Un risultato storico. Il numero due della Cgil, Fracassi, la ha definita pubblicamente la peggiore legge della Repubblica e al presidente del Cnel, Tiziano Treu, che gli faceva presente che la avevano votata tutti i partiti, ha risposto secco: certo, perché siamo rimasti solo noi a difendere i lavoratori.

Vedete: il problema non esiste, esiste solo il problema dell’autorappresentanza che nella Cgil movimentista non coincide mai con l’interesse collettivo. Alla base della scelta di Draghi c’è questo contesto dove un uomo d’onore non può prestarsi a fare da foglia di fico di questo teatro dei pupi fuori dalla storia e dalla realtà. Ora se si vuole evitare la catastrofe che significa semplicemente perdere il prossimo assegno europeo, essere rivisti dalle cancellerie internazionali e dagli investitori che di mestiere speculano come la solita Italietta, bisogna che i partiti si impegnino a firmare un assegno in bianco a Draghi e riscoprano l’orgoglio di rivendicare il molto che è stato fatto per fare meglio insieme il molto che ancora si deve fare.

Con la scelta di richiamare tutti alle proprie responsabilità in Parlamento Mattarella ha di fatto riconsegnato il timone nelle mani di Draghi e, soprattutto, adesso c’è la novità che la gente sa che cosa succede. Non si può continuare a sparare sul timoniere “tanto alle elezioni non ci si va” “tanto lui non si dimette”. Il giochetto per i nostri eroi della “politica della gente”, di destra e di sinistra, si è rotto. Gli è arrivato sui denti. Perché sono loro che dovranno spiegare ai loro elettori che per colpa loro si dovrà votare e non si potranno fare le riforme senza le quali non si hanno i soldi europei del Pnrr. Hanno poco tempo per capire gli errori commessi, e mettersi a testa bassa a lavorare per il loro Paese possibilmente in silenzio. È molto importante che i sindacati che oggi hanno un potere molto più forte di quello che si immagina sottraggano il Paese alle grinfie di Cinque stelle e leghisti e alla retorica della catastrofe e della economia che ha chiuso mentre perfino il Sud registra qualche timido segnale di ripresa con l’occupazione, ad esempio, in Campania che cresce più della media nazionale dopo un’eternità.

Bisogna che il ceto produttivo italiano che, unico in Europa, ha espresso a giugno indici di fiducia molto elevati, e che la sua rappresentanza operino per la stabilità e chiedano pubblicamente ai partiti di dimostrare lealtà nei confronti del governo Draghi facendo presente a tutti che se così non avviene si va a sbattere. Possibile che dentro la Cgil di Landini-Melenchon non c’è qualcuno che possa accendere un faro di verità e di responsabilità per prendere tutto quello che è possibile per i lavoratori invece di dire che decine e decine di miliardi valgono zero spaccato, che non c’è mai nulla, che anche quello promesso non è sufficiente, che qualche cosa si fa ma non basta mai? Possibile che questo legno della demagogia sia così spesso da fare saltare la testa dentro la Cgil a tutti quelli che ragionano?

Il mondo della cooperazione e anche no profit e volontariato, che sono un pezzo di Pil importante, che cosa aspettano a farsi sentire? La moral suasion di una Chiesa cattolica che ha ritrovato con Zuppi il senso profondo di un momento delicato, che cosa aspetta a operare? Abbiamo finalmente una Chiesa intelligente che ha capito che non sono le parole clericali a cambiare le cose, è dietro le quinte che la voce della Chiesa deve operare. Perché una classe dirigente si vede dai risultati che consegue nei momenti di difficoltà non in quelli in cui va tutto bene. Dall’edilizia al turismo ai servizi, per non parlare delle faville delle esportazioni della manifattura italiana, il doppio fattore Draghi, che è fiducia e credibilità, si sente in casa e fuori. Possibile che il tessuto economico più vitale del Paese e i presidenti delle Regioni di quei territori non abbiano nulla da dire e da chiedere ai loro partiti quando vedono franare la terra sotto i piedi per qualche gioco di bassa lega politica? Quello che hanno fatto fino a oggi Conte e Salvini non lo possono fare più. Loro o chi più di loro ha responsabilità nei loro partiti devono prendersi le loro responsabilità in Parlamento. Devono dire le cose come stanno ed essere conseguenti se vogliono approvare i provvedimenti contro le diseguaglianze, se vogliono attuare o no le riforme del Pnrr a partire da balneari e tassisti perché bisogna finirla di prendersi in giro. Devono dimostrare di avere consapevolezza della, gravità del momento internazionale che il mondo intero attraversa e che l’Italia ha gestito fino a oggi molto bene. Soprattutto devono dimostrare sotto giuramento davanti alla nazione in Parlamento che su guerra, economia e diseguaglianze si vuole fare sul serio. Perché, diciamocelo, quando si affronta il tema delle diseguaglianze non c’è dubbio che bisogna mantenere l’equilibrio sociale, ma è altrettanto certo che non lo si mantiene garantendo tutto a tutti.

A quelli che già ricevono di più e dando anche di più a chi ha sempre ricevuto poco, per cui tutti mangiano e nessuno ci mette un euro. Facciamo tutto stampando moneta o facendo extra debito. Non siamo più ai tempi della politica della Fata turchina. In Parlamento i capi dei partiti parleranno davanti al Paese comprese le generazioni future. Altrimenti non avrebbe alcun significato un discorso di sistema che non riguarda le generazioni future su cui ricadrà il costo di questa follia quotidiana. È evidente che non ha alcun senso. Capisco che la coscienza del futuro è merce rara, ma senza coscienza del futuro non si fa politica, solo clientelismo. Per fare questo non c’è bisogno né di Draghi né del governo di unità nazionale.


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Fabio Grandinetti

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