Giuseppe Conte
7 minuti per la letturaTutti i partiti sono terrorizzati che se lasciano spazio su questo campo vince l’altro perché gli porta via l’unica risorsa con cui sanno fare politica che è appunto la demagogia. Che ha bisogno di chiudere gli occhi su tutto ciò che avviene di molto positivo come le vendite al dettaglio che fanno aumenti record sull’anno boom 2021 e tonificano la fiducia, ma la demagogia ha invece bisogno dell’annuncio continuo della catastrofe. Non si risolve nulla, perché ciascuno gioca sul fatto che la situazione è bloccata. Se Draghi dovesse ritirarsi, darebbe un vantaggio ai partiti che direbbero è colpa sua. I partiti, dal canto loro, non si vogliono prendere questa responsabilità, ma non fanno lavorare Draghi. Solo le imprese e le famiglie italiane continuano ad essere convinte che il fattore Draghi porterà la nave italiana in porto nonostante i venti contrari che soffiano in casa dalla guerra e dalla pandemia. Sull’Ucraina non si scherza. Farebbero bene i partiti a stare con imprese e famiglie a fianco del governo Draghi
Un Paese che si accascia su se stesso perché tutti sono entrati in una logica pre-elettorale. Perché siamo un Paese che è capace di fare lotta politica solo sulla base della demagogia e la demagogia ha bisogno della catastrofe dietro l’angolo. La politica come costruzione positiva e concorrenza di costruzione positiva non trova spazio. Siamo al Paese del governo ladro. Siamo al punto che quando l’esecutivo convoca i sindacati rischia di trovarsi di fronte il capo del maggiore sindacato, la Cgil che che fu di Di Vittorio e di Trentin, che sta pensando di scendere in campo politicamente.
Siamo al punto che la lotta politica spinge movimenti politici in crisi e forze di impronta populista ad aggravare ogni genere di difficoltà per lucrare consensi mettendo in discussione la stabilità di un governo di unità nazionale che sta chiudendo il primo semestre con la migliore crescita dell’eurozona. I giochetti dei Cinque Stelle su un decreto di aiuti da 23 miliardi che arrivano fino al punto di non partecipare al voto finale fanno parte di questa malattia. Che è l’origine unica del differenziale di spread tra i BTp della Repubblica italiana e i Bonos spagnoli che pagano ogni giorno le nostre imprese e le nostre famiglie.
Tutto questo, ahinoi, complica ogni cosa perché impedisce di vedere la realtà. Che è quella di un’Italia che, a maggio 2022, il maggio appena trascorso, ha vendite al dettaglio che, su base tendenziale, aumentano del 7,0% in valore e del 2,7% in volume. Avete capito bene: + 2,7% in volume che vuol dire che l’aumento è al netto dell’inflazione. Non è finita. Tra i beni non alimentari si registra una crescita per tutti i gruppi di prodotti con punte di oltre il 15% che riguardano calzature, articoli in cuoio e da viaggio e di oltre il 13% per abbigliamento e pellicceria. C’è di più: sempre rispetto a maggio 2021, il valore delle vendite al dettaglio cresce per tutte le forme di vendita, Dalla grande distribuzione (+6,2%) alle imprese operanti su piccole superfici (+7,3%). Dalle vendite al di fuori dei negozi (+5,3%) al commercio elettronico (+15,5%). Sono dati in controtendenza rispetto alla media europea che segnalano consumi, cioè fiducia e potere di acquisto delle famiglie italiane, in fortissima crescita, poco sotto il 3% al netto dell’inflazione, dopo un anno con tassi di crescita da miracolo economico (+6,6% di Pil a fine 2021).
Anche in termini congiunturali, sempre a maggio 2022, si stima un aumento delle vendite al dettaglio dell’1,9% in valore e dell’1,5% in volume. Sono in crescita sia le vendite dei beni non alimentari (+2,4% in valore e +2,0% in volume) sia quelle dei beni alimentari (rispettivamente +1,4% in valore e +0,6% in volume). Con o senza inflazione, su base annua o su base mensile, fino a maggio i consumi italiani tirano e indicano un’economia non solo resiliente, ma addirittura in significativa crescita.
La politica di questi numeri non si occupa perché il racconto della catastrofe imminente deve sempre prevalere su tutto. Anche chi, avendo più conoscenza diretta delle reali intenzioni di Gazprom e dei calcoli politici di Putin, si permette di sottolineare che la Russia non vuole fare altro male all’Europa perché sa di avere arrecato già molto dolore economico e di rischiare di perdere il suo principale cliente, non riscuote nessun credito. L’idea che la turbina sta tornando dal Canada e che i flussi torneranno normali, anche se resteranno i problemi della guerra lunga energetica-militare, è stata capita dai mercati che hanno già scontato le ipotesi peggiori e trova conferma nei consumi elettrici, ma di questi la politica della demagogia non si occupa.
Ovviamente il fatto che siamo stati i più veloci nel diversificare le fonti di approvvigionamento e partendo da molto peggio siamo messi meglio della Germania è semplicemente ignorato. Così come una riflessione seria sulla cultura del no che persiste in casa grillina anche alla più grande crisi energetica globale non è degna di essere presa in esame. Parlare seriamente di cuneo fiscale e di riforme di sistema in queste condizioni è molto difficile. Come lo è porre l’accento sulla necessità di accelerare sulla macchina degli investimenti pubblici che non può non essere il motore del consolidamento della ripresa italiana dal 2023 in poi.
A muovere i comportamenti della politica dei partiti sono le elezioni sganciate da ogni riferimento responsabile agli effetti della pandemia che rialza la testa e agli shock inflazionistici legati alla guerra lunga. Addirittura si bandisce completamente dal dibattito tutta la partita del nuovo ordine mondiale e della ineludibile costruzione di una Nuova Europa dove l’Italia del miracolo economico già svolge e sempre più potrà svolgere un ruolo di primo attore se non indebolita in casa. No, il dibattito politico italiano vive di demagogia che a sua volta si nutre di catastrofismo perché senza di esso non può svolgere il suo esercizio elettorale-demagogico. Purtroppo, anche il sindacato più rappresentativo italiano ha questo approccio catastrofista perché non riesce a immaginarsi come forza di cogestione della ricostruzione.
Tutti i partiti sono terrorizzati che se lasciano spazio su questo campo vince l’altro perché gli porta via l’unica risorsa con cui sanno fare politica che è appunto la demagogia. Che ha bisogno di chiudere gli occhi su tutto ciò che avviene di molto positivo e che tonifica una fiducia già superiore a quelle di tutte le principali economie europee, oltre che a quella americana, ma ha invece bisogno dell’annuncio continuo della catastrofe da fuori o da dentro non fa differenza. In queste condizioni a governare non ci riesce nessuno. Il problema di oggi è lo sfascio del sistema dei partiti. Anche Ciampi che fu chiamato in una situazione difficile si misurò con un sistema di partiti che per quanto fortemente indebolito dalla crisi del ’92 e condannato dall’opinione pubblica preservava un minimo di tenuta. Oggi nessuno ha più un minimo di tenuta vera sulla cose da fare e questa è, purtroppo, la grave condizione che sta vivendo l’Italia in questi giorni.
Si fa la crisi senza dirlo perché non ci si concentra su che cosa serve e non è possibile mettere un punto fermo. Perché questo non lo consente nessuno. Non si risolve nulla, perché ciascuno gioca sul fatto che la situazione è bloccata. La situazione internazionale e le sue ricadute sul prossimo semestre sono così delicate che nessuno si prende la responsabilità di darci un taglio. Se Draghi dovesse ritirarsi, darebbe un vantaggio ai partiti che direbbero è colpa sua. I partiti, dal canto loro, non si vogliono prendere questa responsabilità, ma non fanno lavorare Draghi. È una situazione kafkiana. Solo le imprese e le famiglie italiane continuano ad essere convinte che il fattore Draghi porterà in porto la nave italiana nonostante i venti contrari che soffiano in casa dalla guerra e dalla pandemia. Lo dimostrano con i loro comportamenti economici a base di investimenti, di consumi, di faville nelle esportazioni dentro una crescita dell’edilizia che non si ferma e una capacità attrattiva in crescita del turismo. Sull’Ucraina non si scherza e i partiti farebbero bene a stare con le imprese e le famiglie a fianco del governo Draghi.
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