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La sostanza politica è che non vincono gli schieramenti, ma la qualità dei sindaci e la rete locale di interessi. Anzi, i partiti escono a pezzi. I loro capi però si vantano, criticano l’Europa e punzecchiano Draghi. Risultato: il rendimento del Btp decennale sale fino al 4,1%, la Borsa crolla ancora. Per fortuna l’economia e le banche, grazie alla fiducia di imprese e famiglie nell’azione di questo governo, stanno meglio del 2011, ma paghiamo il conto del rischio politico italiano fatto di catastrofismo e anti europeismo. Soprattutto Mezzogiorno e piccole imprese che ricevono meno credito. Con questo bla bla bla tutti i problemi del mondo, ieri la Fed sotto processo per essersi fatta sfuggire di mano l’inflazione americana, diventano un problema italiano e, oltre la debolezza della Lagarde, orientare la Bce sulla rotta giusta diventa più difficile.

Il nostro tallone d’Achille è politico e i nostri cari amici francesi e tedeschi sono contenti anche se non lo diranno mai. Perché grazie alle parole al vento tra catastrofismo e antieuropeismo di Salvini, Conte e, con sfumature differenti, della Meloni si potranno prendere uno alla volta tutti i nostri bocconcini pregiati e l’Italia rischia di diventare una succursale finanziaria della Francia e manifatturiera della Germania e della stessa Francia.

Perché il rischio politico è quello che più di tutto fa oggi salire lo spread italiano in quanto questi leader trasmettono all’esterno la convinzione errata che esista ancora un rischio di ridenominazione dall’euro alla lira. Poiché si tratta di una bufala assoluta i continui scomposti attacchi a Bruxelles e Francoforte fatti da loro esprimono masochismo allo stato puro. Perché il rischio politico è quello espresso da capi partito che non sono capaci di difendere le riforme importanti che il loro governo ha già fatto, che non accelerano sull’ultimo miglio di giustizia e concorrenza, che non sono neppure capaci di difendere un’economia italiana che sta crescendo miracolosamente al 3% e ha una posizione finanziaria netta positiva che straccia quella di Spagna e Portogallo, è migliore della Francia e seconda solo alla Germania in Europa.

Sono capi partito che continuano a parlare del nulla invece di preoccuparsi di smetterla con le clientele e di cominciare a fare correre la macchina amministrativa centrale e territoriale degli investimenti pubblici. A tutto ciò va aggiunta una miscellanea anche questa tutta italiana di pacifismo cosiddetto putiniano che va a giorni alterni da Berlusconi, una volta statista e una volta populista, a fasce sempre più larghe della sinistra che aumenta la nebbia politica di casa mostra agli occhi degli investitori globali.

La verità è che nessun partito ha vinto ieri grazie alla propria strategia nelle amministrative mentre il flop dei referendum sulla giustizia ha radici profonde di vario tipo che non spostano di un millimetro l’esigenza assoluta di completare in Parlamento l’iter di tutte le riforme.

La sostanza politica è che il centrodestra non vince a Genova, ma vince il sindaco Bucci. Che a Palermo non vince il centrodestra, ma una rete locale di interessi peraltro dentro un pandemonio che segna un punto molto alto di degrado istituzionale. Che a Parma non vincono grillini e Pd ma vince il modello Pizzarotti e quello che ha rappresentato per la sua città e a Verona prevale la figura carismatica di un ex calciatore che annulla il Pd e gli altri che lo sostengono e che se la dovrà rivedere al ballottaggio sempre da solo con le destre parzialmente riunite. I partiti non vincono, anzi escono a pezzi da questa consultazione.

Perché ovunque non c’è più la strategia europea dei partiti che esprimono leader e con quei leader vincono, ma quella della politica all’americana che cerca fuori di sé la persona più adatta a vincere e gli presta la forza della sua macchina. Se ci pensate bene è quello che sta succedendo su un altro livello anche con Macron che non è più classicamente il leader, ad esempio, dei gollisti o dei socialisti con Mélenchon che ha detto “la sinistra sono io”. Tutto questo ovviamente può accadere per la elezione dei sindaci o del Capo della Repubblica francese perché c’è il sistema maggioritario secco, da noi alle politiche così non è e anche questo aumenta maledettamente il rischio politico che fa salire il nostro spread. Se ieri il rendimento del BTp decennale italiano è salito fino al 4,1% e lo spread oscilla da un range tra i 240 e i 250 punti è senza dubbio anche il frutto avvelenato di una Banca centrale europea che fa la mossa giusta di alzare i tassi che non possono restare negativi con un’inflazione all’8% ma ha una presidente, madame Lagarde, che commette diversi errori. Non sa comunicare, e soprattutto non ha il timone saldo dentro una governance inadeguata e sfilacciata che impedisce di decidere uno strumento certo che eviti all’Italia, ma in modo minore anche alla Francia, alla Spagna e al Portogallo, di pagare un prezzo in termini di aumento di spread e di rendimenti che non ha alcun rapporto ragionevole con i fondamentali dell’economia italiana e può nuocere molto all’intera economia europea. Questo è inammissibile.

Anche perché se non si riesce a mettere in campo come Bce uno strumento nuovo e certo, esattamente come fece Draghi durante la tempesta dell’euro, ogni vulnerabilità globale dei mercati finirà con l’acuire i costi che dovrà pagare l’economia italiana in termini di caro tassi. Non si può mettere a rischio la super resilienza di produzione, turismo, servizi, edilizia dell’economia italiana legata a filo doppio alla fiducia che il tessuto sano del Paese ripone nella figura di Draghi e nella sua azione di governo in casa e fuori in mezzo a una guerra ormai diventata lunga e, quindi, produttrice di shock lunghi inflazionistici, energetici e agricoli.

Il mercato sconta una Federal Reserve (Fed) più aggressiva del previsto per cui la scaletta di rialzo dei tassi – dopodomani 50 punti base, a luglio altri 50 a settembre 25/50 – dovrebbe incorporare tra luglio e settembre un colpo secco in più di 75 punti base. Il mercato torna a vedere aumentare le aspettative di recessione negli Stati Uniti anche perché sono in tanti a pensare che la Fed si sia lasciata sfuggire di mano l’inflazione. Il mercato segnala che S&P ritorna in zona Orso che significa il 20% sotto i massimi. Il mercato registra tutte queste “belle” notizie americane e Milano perde altri dieci miliardi di capitalizzazione dopo i venti del venerdì nero legato alle gaffe della Lagarde e lo spread arriva come già detto fino a 245 punti con un rendimento del 4,1% che aggiorna i massimi dalla fine del 2013.

Parliamoci chiaro. La situazione di oggi non è quella del 2011 perché lo spread questa volta preoccupa meno in quanto il sistema bancario italiano è molto più forte di allora. Allora le banche avevano troppi titoli di stato in pancia, perdevano capitali e potevano erogare meno credito fino ad arrivare alla fuga dall’interbancario italiano e a un passo dal credit crunch. Attenzione, però, è vero che oggi il sistema bancario si è ristrutturato e ha un capitale molto più forte rispetto agli standard di legge, che sono stati venduti gli npl, ma è evidente che perdere capitali continuerà a fare ancora più male a chi da sempre trascura il sistema creditizio, Mezzogiormo e piccole imprese, e questo è un prezzo davvero inaccettabile. Il mondo, per fortuna, non crede a un ritorno nell’orbita dei 400/500 punti di spread italiano del 2011/2012 perché sa che la nostra economia si è molto ristrutturata, le imprese ricapitalizzate, che il processo di riforme è stato avviato e che dall’anno prossimo entrerà nel vivo la partita degli investimenti legata all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza.

Va bene tutto, però, sia chiaro: se continuiamo a mettere benzina politica italiana sull’incendio monetario in corso allora il rischio frammentazione sarà addirittura più colpa nostra di quanto lo sia delle gravissime esitazioni avute dalla Bce e della evidente incapacità di tenere una rotta salda che anticipi i problemi, non che aspetta che i problemi emergano per volerli risolvere. Salvo scoprire che non è più possibile. Non possiamo permetterci oggi una crisi politica e, purtroppo, la qualità di questa classe dirigente dei partiti fa pensare a tutti che sarà difficile evitarla. Anche questo è il problema italiano.


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