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Emmanuele Macron e Mario Draghi

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Siamo davanti a una guida silente ma fattiva a livello europeo che è quella di Draghi che non ci possiamo permettere di indebolire noi perché sono già in tanti in Europa a frenare sul mandato esplorativo dato alla Commissione per il tetto al prezzo del gas e sulla condivisione di debito, investimenti, difesa e politica estera che sono le stelle polari del progetto europeo Draghi-Macron. Questa Italia che in casa e fuori si rifiuta ostinatamente di guardare al futuro, è bene che cambi in fretta direzione di marcia. Perché in questi sei mesi si gioca il futuro del Paese e la solita melina politica lo pregiudica per sempre.

Abbiamo davanti sei mesi in cui ci giochiamo tutto e dovremmo almeno scegliere con chi stare. Con chi (Salvini) mette al centro iniziative diplomatiche che producono solo titoli di giornali e difende ogni tipo di rendita interna che blocca da decenni la crescita del Paese o con chi (Draghi) è stimato e rispettato nel mondo e costruisce tenacemente un’azione diplomatica in Europa che produce piccoli ma concreti passi in avanti e vuole liberare l’Italia dal peso soffocante di tabù e corporazioni che ne hanno fatto il fanalino di coda della crescita europea e il più diseguale tra i Paesi europei con squilibri territoriali spaventosi.

Dovremmo almeno renderci conto che mettere nero su bianco nella bozza di conclusioni del Consiglio d’Europa la proposta Draghi che chiede alla Commissione europea di procedere alle valutazioni per mettere un tetto al prezzo del gas e alle modalità che determinano il prezzo dell’elettricità significa che la politica fatta di tenacia e credibilità permette a un’iniziativa voluta dall’Italia e sottoscritta inizialmente da Spagna e Grecia di superare i muri politici fino a oggi invalicabili per chiunque della resistenza degli interessi contrari della Germania e di olandesi e finlandesi che con i prezzi dell’energia ci fanno i bilanci.

Questa è la politica internazionale seria di un Paese rispettato che esige tempo, silenzio, pazienza per ottenere qualcosa che non è un passo in avanti decisivo, ma un passo in avanti che altri probabilmente non avrebbero potuto compiere. Che può valere moltissimo per le economie europee a partire da quella italiana che si sta dimostrando sul campo la più resiliente. Capite la differenza con chi continua a usare la politica internazionale al fine di palcoscenici di politica interna attraverso l’improbabile consulente dell’ambasciata russa per esercitare ruoli impropri.

Oppure mistificando sull’uso delle armi come fa una parte dei grillini in nome di un “pacifismo elettorale” italiano smentito dai no a tutti di Putin, anche alle mediazioni autocratiche di Erdogan, che viene presentato subdolamente in contrasto con una scelta indiscutibile del governo italiano di forte iniziativa diplomatica per il cessate il fuoco e la costruzione di una pace non velleitaria. Sono altri governi e Paesi europei a frenare sull’urgenza dell’iniziativa diplomatica per il cessate il fuoco come è di tutta evidenza. Vorrà dire o meno qualcosa che il pre-vertice del Consiglio europeo avviene tra il presidente di turno dell’Unione europea, Macron, il cancelliere tedesco Scholz e il premier italiano Draghi?

Tranne la brevissima parentesi di Hollande, capo di stato francese che non aveva in simpatia la tradizione dei bilaterali con la ex cancelliera Merkel e chiedeva quasi sempre la partecipazione del premier italiano di turno, il duo franco-tedesco ha avuto sempre saldamente in mano la cabina di comando dell’Europa senza condividerla con altri.

Oggi si torna alla stagione dei Fondatori, quando a riunirsi erano tre uomini di confine, Adenauer, De Gasperi, Monnet, ma uno era tedesco, uno era italiano, uno era francese. Esattamente come è oggi. Non lo avrei dato per scontato, visti i precedenti. Sulle sanzioni alla Russia sul petrolio siamo al più classico dei compromessi europei con tempi e modalità non all’altezza della situazione, ma il tracciato futuro da architetto politico della nuova Europa che Draghi continua a delineare dalla “nuova cabina di comando” ha il vantaggio del realismo e del senso della storia.

Delinea un orizzonte dove tutti si dovranno ritrovare perché individua l’esigenza di nuovi recovery per rispondere alla domanda comune di una difesa europea, e alle sfide della transizione digitale, della ricostruzione Ucraina. È il segno più concreto di una visione che fa i conti con le esiguità delle risorse dei bilanci nazionali e torna a scontrarsi con interessi miopi di Paesi che – sbagliando – pensano di potere fare da soli davanti alle incertezze di una pandemia globale, di una possibile carestia umanitaria, e di uno shock energetico da inflazione e dipendenza europea dalla Russia. Vanno contro la storia e l’amara realtà condurrà tutti alla ragione. Vorrà o meno dire qualcosa che quando si è trattato di decidere le sanzioni finanziarie alla Russia la ministra dell’economia americana, Janet Yellen, ha chiesto lumi all’ex presidente della Banca centrale europea che ha salvato l’euro e si chiama Mario Draghi?

Vorrà dire o meno qualcosa che proprio Draghi sia stato il primo, seguito autorevolmente a ruota da Macron e Scholz, a porre Putin e Zelensky di fronte alle loro responsabilità per risolvere il problema di sbloccare il grano ucraino fermo nei depositi liberando i porti e evitando una carestia alimentare che può avere effetti catastrofici in termini umanitari?

Questi sono i temi internazionali, dove i gattopardi hanno i giorni contati, poi ci sono quelli interni che sono altrettanto decisivi, e fanno di questi sei mesi il banco di prova dell’Italia di domani. Anche qui di tutto si parla, meno che di slogan. Quando si dice Piano nazionale di ripresa e di resilienza o Pnrr non si tratta di uno scioglilingua, ma di un complesso preciso di riforme di struttura e di investimenti pubblici e privati che costituiscono insieme la base della ripresa di lungo termine dell’Italia e l’ultima concreta possibilità di cambiare l’Europa. Perché se questo primo programma europeo finanziato con debito comune fallisce per colpa nostra, non ne seguiranno altri. Per superare l’impasse delle elezioni si è trasferita al decreto attuativo la contesa paralizzante sugli indennizzi ai balneari in modo da sbloccare la delega sulla concorrenza e con procedure analoghe ci si muove sul versante della delega fiscale dove nella stessa maggioranza c’è chi vuole la Flat tax e chi vuole abbattere tutte le cedolari e si rischia di fermare il cammino della riduzione dell’Irpef e del cuneo fiscale che è il cuore della riforma italiana. Siamo davanti a una guida silente ma fattiva a livello europeo che è quella di Draghi che non ci possiamo permettere di indebolire noi perché sono già in tanti in Europa a frenare sul mandato esplorativo dato alla Commissione per il tetto al prezzo del gas e sulla condivisione di debito, investimenti, difesa e politica estera che sono le stelle polari del progetto europeo Draghi-Macron. Sul piano interno ci sono ancora troppi gruppuscoli e capi-partito che si muovono ogni giorno come il naufrago in mezzo al mare che si aggrappa al tronco di legno che cambia di giorno in giorno pensando di salvarsi, ma che così facendo è inevitabilmente destinato ad andare a fondo. Questa Italia che in casa e fuori si rifiuta ostinatamente di guardare al futuro, è bene che cambi in fretta direzione di marcia. Perché in questi sei mesi si gioca il futuro dell’Italia e la solita melina politica lo pregiudica per sempre.


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