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Non possiamo tornare all’Europa delle nazioni perché con il solo mercato interno nessuno sopravviverebbe. Serve un’Europa vera dove tutti siano consapevoli che per avere bisogna anche dare. Bisogna trovare se non un federatore, almeno un gruppo di quattro  o cinque federatori che lavorino in sinergia a tutto campo su energia, difesa, politica estera e sulla politica di bilancio. Un’Europa che proceda unitariamente e velocemente sulla strada degli acquisti unici come dei prezzi calmierati, ma soprattutto diventi soggetto globale europeo svincolato dal gioco degli interessi dei singoli Paesi per muoversi unitariamente superando vecchi e nuovi tabù. Siccome i tempi dell’Europa non coincidono con quelli dell’Italia, sono meno veloci, abbiamo in casa qualcosa di più urgente come i temi del caro energia e del caro alimentare. Che vanno affrontati senza riguardi per nessuno come si è fatto con gli extra costi ma anche pensando a calmierare il prezzo del gas in proprio se l’Europa esitasse troppo.  Perché non si può interrompere il circuito della fiducia delle imprese e comprimere il potere di acquisto delle famiglie già fortemente colpite

Non possiamo tornare all’Europa delle nazioni perché torneremmo all’autarchia, ma questa nel mondo moderno non ha senso. Perché anche se fossimo autonomi con il solo mercato interno nessuno sopravviverebbe. Questo non vuol dire non puntare all’autosufficienza dove è possibile, ma vuol dire soprattutto rendere difficile per tutti sostituire i nostri prodotti per la qualità e il tasso di innovazione che dovranno a loro volta essere espressi con prezzi che andranno comunque monitorati e contenuti. Non si può pensare di fare tutto ciò comprimendo sempre i salari o per lo meno comprimendoli all’infinito. Perché alla fine perderebbe troppo peso quel mercato interno di consumi di cui tutte le economie nazionali hanno vitale bisogno.

Per queste ragioni e molte altre ancora serve un’Europa vera dove tutti siano consapevoli che per avere bisogna anche dare. Questo vale per tutti. Vale per i Paesi dell’Est come per quelli del Sud Europa e, se possibile ancora di più, per i Paesi cosiddetti frugali del Nord. L’appuntamento con la storia e con i suoi doppi shock esogeni, pandemia e guerra, esige che facciamo in casa l’esatto opposto di quello che abbiamo fatto noi negli ultimi venti anni. Anche l’Europa, a ben vedere, deve fare l’esatto opposto di quel che ha fatto sino a oggi.

Siccome i tempi dell’Europa non coincidono con quelli dell’Italia, sono meno veloci, abbiamo in casa qualcosa di più urgente da aggredire, come in parte abbiamo già fatto. I temi del caro energia e del caro alimentare vanno affrontati senza riguardi per nessuno come si è fatto con gli extra costi ma anche pensando a calmierare il prezzo del gas in proprio se l’Europa esitasse troppo.

Perché non si può interrompere il circuito della fiducia delle imprese e comprimere il potere di acquisto delle famiglie già fortemente colpite. Così come partiti e comunità debbono sostenere con forza l’impegno del governo Draghi perché l’Europa proceda unitariamente e velocemente sulla strada degli acquisti unici come dei prezzi calmierati, ma soprattutto diventi soggetto globale europeo svincolato dal gioco degli interessi dei singoli Paesi per muoversi unitariamente superando vecchi e nuovi tabù. A tutto campo su energia come sulla difesa, sulla politica estera come sulla politica di bilancio. Riscrivendo le sue regole secondo una prospettiva di lungo termine che esprima consapevolezza e visione.

A questo punto, bisogna trovare se non un federatore, almeno un gruppo di quattro o cinque federatori che lavorino in sinergia guidando questo processo. Non abbiamo un nuovo Garibaldi o un Simón Bolívar europeo, ma potremmo almeno avere una piccola squadra di quattro o cinque leader che in simbiosi guidino questo trapasso avendo il riconoscimento delle loro comunità. Saremmo anche nella fortunata contingenza come italiani di averne uno degno per fare parte di questo collettivo di testa. Speriamo che fuori dall’Italia i nazionalismi e i populismi prendano atto di avere raccontato una serie di balle e di essere stati condannati dalla storia. Speriamo che altrettanto, ancora più rapidamente, accada in Italia perché l’economia fortemente dilaniata dalla doppia crisi non è in grado di reggere l’urto reale delle favole di vecchi e nuovi cantastorie.


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