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Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al termine della riunione dei Membri del Consiglio europeo sulla crisi russo-ucraina

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Bisogna che capi partito e parlamentari almeno si rendano conto che la storia si scriverà in questo anno che è cruciale per il nostro futuro. Che il vero banco di prova per la crescita non è stato il 2021 e non sarà neppure il 2022, ma i conti seri si cominceranno a fare dal 2023 in poi portando a casa di anno in anno almeno un punto in più di crescita reale rispetto al decennio che ha preceduto la pandemia. Che tutto, ma proprio tutto, dipenderà però da quello che saremo stati capaci di fare in questo anno cruciale (2022) in termini di riforme di struttura, macchina per investimenti pubblici, ripresa degli investimenti privati, produttività e demografia. Chi tra i partiti insegue la scorciatoia del giorno per giorno condanna se stesso e il Paese alla sua frammentazione e al declino. Proprio come avvenne nel Seicento.

Il punto essenziale di oggi è uno. Qual è il ruolo di Draghi ora e quanto dura il suo governo di unità nazionale? Quanto si può fare realisticamente? Quanto si può mettere in sicurezza? Bisogna che capi partito e parlamentari almeno si rendano conto che la storia si scriverà in questo anno che è cruciale per il nostro futuro. Che il vero banco di prova per la crescita non è stato il 2021 e non sarà neppure il 2022, ma i conti seri si cominceranno a fare dal 2023 in poi portando a casa di anno in anno almeno un punto in più di crescita reale rispetto al decennio che ha preceduto la pandemia. Che tutto, ma proprio tutto, dipenderà però da quello che saremo stati capaci di fare in questo anno cruciale (2022) in termini di riforme di struttura, macchina per investimenti pubblici, ripresa degli investimenti privati, produttività e demografia.

Perché se per colpa di calcoli elettorali sbagliati di capi partito e/o irresponsabilità diffusa di parlamentari non si riuscirà a cogliere questa occasione europea in modo soddisfacente, allora saranno stati loro non altri ad avere procurato un danno straordinario ai nostri figli, ai nostri nipoti e ai nostri partner europei. Cari politici, ricordatevi il Seicento. Arrivarono i francesi in Piemonte, gli spagnoli a Milano e al Sud, gli austriaci scesero giù dal Brennero, e ci fu il declino delle signorie italiane. Sparirono i primati di Firenze e tutti i nostri centri di eccellenza. Degli Stati italiani rimasero solo la Repubblica di Venezia avviata comunque al declino e lo Stato Vaticano che era fuori gioco per evidenti ragioni. Bisogna che la politica del piffero italiana si renda conto di questo. Si renda conto della vera portata in gioco. Che è evitare il declino di tutti gli italiani.

Quello che non può più succedere è proprio ciò che sta accadendo: un continuo tentativo di dare messaggi elettorali o pre elettorali e la ricerca di tutte le occasioni per andare contro una linea di governo condivisa e creare una serie di incidenti per cui chi ha la responsabilità di governo perde la pazienza e dice: fate voi se siete più bravi. Oppure no: si mette la fiducia a ripetizione, si fanno esibizioni muscolari, si alimenta lo show televisivo quando le esigenze da soddisfare sono altre. La politica pensa solo al giorno dopo giorno e non gli importa niente di quello che si fa se non porta immediatamente consenso nei sondaggi o voto nell’urna. Indipendentemente dal fatto che da tutto ciò che non ha la loro attenzione dipende il futuro di tutti noi. Ecco, se si prosegue così, allora il Nuovo Seicento italiano arriva davvero.

Nel 2021 siamo riusciti a fare una crescita così straordinaria che il rapporto debito pubblico/prodotto interno lordo che doveva andare verso il 160% atterra verso il 150%. Per il numero al millesimo dobbiamo attendere la stima finale dell’Istat. Nel 2022 scenderemo ancora abbastanza perché abbiamo già una buona crescita acquisita (+2,4%) ma negli anni futuri per continuare a scendere nel rapporto debito/pil bisogna continuare a crescere.

Ora abbiamo una situazione di costo del debito favorevole con interessi sui titoli emessi negli ultimi anni molto bassi. Più andiamo avanti più avremo tassi di crescita più bassi e tassi di interesse che si normalizzeranno. Bisogna allora che la crescita sia sufficientemente alta nell’ordine almeno dell’1,5%.

Altrimenti non potremmo mantenere la traiettoria discendente del debito senza avere una eccezionale attenzione al bilancio pubblico che vuol dire un doloroso surplus primario di forte consistenza. Viceversa in un quadro virtuoso ci ritroveremmo, da un lato, a crescere e, dall’altro, a non avere un aumento dello spread troppo alto. E così avremo anche un saldo primario non troppo alto, magari più vicino al 2 che all’1,5%. Se si fa funzionare il programma pubblico di riforme e di cantieri aperti completato dagli investimenti privati collegati, allora potremmo garantire agli investitori globali il quadro virtuoso di una sufficiente crescita e di una sufficiente discesa del debito tranquillizzando chi lo compra che non chiederebbe di conseguenza tassi troppo alti. Se ci allontaniamo dalla rotta obbligata a causa della nostra pregressa situazione di debito pubblico, sarà giocoforza necessario avere un surplus di bilancio che è più difficile da fare quando le cose vanno male. Perché bisogna fare poche spese e serve avere più entrate per cui inevitabilmente ci si avvita in una spirale perversa.

Per tali ragioni di fondo bisogna fare funzionare questo insieme di misure che stanno nel Piano nazionale di Ripresa e di Resilienza e, cioè, bisogna essere in grado di realizzare un mix sufficiente di riforme che sono giustizia, pubblica amministrazione, fisco e concorrenza e uno standard rilevante di investimenti pubblici che si protrae negli anni in modo costante. Per questo il 2022 é l’anno cruciale italiano. Perché se si dimostra di essere capaci davvero di attuare questo Piano europeo che dovrebbe essere la nostra unica preoccupazione, allora svilupperemo una nuova attitudine a investimenti produttivi nel settore privato. Questa attitudine deve essere molto elevata e richiede uno stato di favore per i finanziamenti e quindi una politica monetaria non restrittiva anche se si normalizzerà. È possibile a meno che non scassiamo tutto noi con le varianti clientelari della politica e in quel caso salta tutto perché lo spread torna a impennarsi.

Così come sempre se attueremo per davvero il Piano europeo allora riusciremo davvero a mettere a posto il mercato del lavoro perché saremo stati capaci di aumentare la produttività. Che vuol dire accrescere la dimensione delle imprese perché con strutture così piccole senza manager capaci sono tutte vulnerabili e fare i conti dal lato del lavoro senza finzioni con il problema della demografia che gioca contro di noi. Poiché tra vent’anni avremo cinque milioni di persone in meno in età di lavoro se necessario bisogna portare l’occupazione pure fino a 70 anni e, soprattutto, bisogna fare in modo che molti giovani e molte donne che non partecipano al lavoro vengano coinvolti. Occorre pensare anche a un aumento degli ingressi di persone non residenti nel Paese, ma ben addestrate e ponendosi sempre il problema di farle studiare e integrare esattamente come ancora di più e ancora prima va fatto con tutti gli italiani che non sono preparati davanti ai cambiamenti tecnologici. A questo Paese servono più occupazione di qualità e più partecipazione al lavoro.

Dobbiamo renderci conto fino in fondo che non basta neppure la nuova produttività, ma bisogna trovare fisicamente le persone capaci di attuare questa produttività nuova. Devono essere di più per compensare la caduta demografica e bisogna che lavorino anche più a lungo perché il Paese intero ha bisogno di una produttività molto più alta determinata dalla buona azione del governo, dalla accresciuta dimensione delle imprese e dai settori in cui operano. Perché la produttività non è solo quanto ci sforziamo ciascuno di noi di fare, ma dove e come ci applichiamo in quanto il Prodotto interno lordo (Pil) non sarà nient’altro che la produttività moltiplicata per quanti sono impiegati per produrre.

Dobbiamo almeno crescere in termini reali un punto in più all’anno di Pil di quanto siamo cresciuti negli ultimi dieci anni. Non è un obiettivo impossibile da raggiungere. Soprattutto è un obiettivo obbligato se vogliamo preservare la nostra economia e il primato della politica. Chi tra i partiti insegue la scorciatoia del giorno per giorno condanna se stesso e il Paese alla sua frammentazione e al declino. Proprio come avvenne nel Seicento.


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