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Il premier Mario Draghi oggi in conferenza stampa con i ministri Marta Cartabia e Daniele Franco

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Il quadro è stato fissato, non c’è più spazio per continuare in questo gioco di eterno riordino dei pezzi sulla scacchiera e Draghi ha detto che non sta al gioco della bassa politica perché questo non è il suo orizzonte. Si è mosso e si muove nella direzione giusta. Che è quella di chi ha una priorità: crescita, crescita, crescita. Che, a sua volta, vuol dire riforme di struttura a partire da quelle della giustizia (civile, penale e Csm), investimenti pubblici come non si sono mai fatti, lotta effettiva alle diseguaglianze, attuazione del Piano nazionale di ripresa e di Resilienza per ridurre il divario tra le due Italie e spezzare una spirale perversa, addirittura quarantennale, di allargamento delle distanze territoriali interne. Per questo si interverrà subito sul caro energia per il breve e il medio termine e sul superbonus per l’edilizia si sta facendo quello che è giusto perché il meccanismo funzioni non per bloccarlo

Il Draghi che ha fatto, continua a fare. Il quadro è stato fissato, non c’è più spazio per continuare in questo gioco di eterno riordino dei pezzi sulla scacchiera. Forse si poteva riordinarli diversamente, ma si è scelto di congelare e allora andiamo avanti e facciamo la partita. Se l’Italia dopo quasi mezzo secolo nell’anno peggiore della sua storia ha fatto 6,5 punti di crescita di Prodotto interno lordo (Pil) e l’Europa le accredita per l’anno in corso una crescita del 4,1 superiore a quella francese e tedesca, vuol dire che il governo Draghi si è mosso e si muove nella direzione giusta. Che è quella di chi ha una sola priorità: crescita, crescita, crescita. Che, a sua volta, vuol dire riforme di struttura, investimenti pubblici come non si sono mai fatti, lotta effettiva alle diseguaglianze, attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza per ridurre il divario tra le due Italie e spezzare una spirale perversa, addirittura quarantennale, di allargamento delle distanze territoriali interne.

Questo ha detto Draghi che non sta al gioco della bassa politica. Perché questo non è il suo orizzonte. Che non vuol dire solo, come molti potrebbero pensare, non sono disponibile per candidature politiche improvvisate o prospettive politiche politicanti. Che non vuol dire solo alla politica politicante ‘non vi occupate del mio futuro perché un lavoro sono capace di trovarmelo da solo’, frase che misura alla perfezione la distanza siderale tra le conoscenze medie internazionali del politico medio italiano e le valutazioni internazionali che riguardano il lavoro che appartiene alla storia fatto da Draghi in Europa.

Il punto strategico, però, è un altro. Il Draghi che non sta al gioco della bassa politica è quello che può annunciare che le aggiudicazioni dei bandi di gara avvenute quest’anno sono le più alte degli ultimi venti. Che le riforme della giustizia sono state tutte apparecchiate e la politica si è impegnata a rispettare i tempi prestabiliti con l’Europa dentro un impianto che segna complessivamente nella giustizia civile, penale e nel funzionamento del Consiglio superiore della magistratura qualcosa che questo Paese attendeva da almeno vent’anni.

Che vuol dire che i partiti si dovranno misurare su questo metro del fare nel cammino riformistico della concorrenza come del fisco e della previdenza e come di tutti gli interventi di struttura che sono in itinere. Che vuol dire che nessuno sottovaluta il caro energia perché incide sul potere d’acquisto delle famiglie e sui conti delle imprese e può dunque mettere a rischio la priorità delle priorità che è la crescita. Si rischia di strozzarla e senza di essa il debito non potrà mai percentualmente scendere. Per questo si interverrà con forza già la settimana prossima, ma si agirà per il breve e per il medio termine affinché l’inverno prossimo non ci si ritrovi a mani nude come è accaduto quest’anno.

Che vuol dire che di fronte alla più colossale truffa della storia repubblicana italiana che ha riguardato il superbonus per l’edilizia si sta facendo quello che è giusto perché il meccanismo funzioni non per bloccarlo evitando che tra una cessione e l’altra di credito e senza alcun controllo non si facciano opere ma, appunto, truffe.

Non sappiamo bene che cosa accadrà nei prossimi mesi, ma siamo consapevoli che se il governo rimarrà compatto sotto la guida della mano ferma di Draghi l’Italia ha la sua ultima grande opportunità per rimettere sui binari il tir di un Paese che era uscito di strada. Soprattutto ci convince il riferimento costante a una crescita sostenuta, sostenibile, duratura che dà stabilità e credibilità al Paese. Soprattutto ci convince la piena consapevolezza di dovere fare tutto ciò sapendo che si parte da una base di spread e da una base di debito pubblico che sono la sintesi algebrica delle ventennali distorsioni italiane. La dimostrazione quantitativa di che cosa si può fare con la crescita si è avuta proprio nel 2021 quando sono ballati addirittura 10 punti nel rapporto debito/Pil passando da una previsione del governo Conte 2 verso il 160% a una realtà verso il 150% e probabilmente si scenderà ancora sotto questa soglia psicologica.

Soprattutto ci convince la chiarezza con cui il ministro dell’Economia Franco ha esposto la coerenza meridionalista degasperiana del governo Draghi ricordando a tutti che è l’inclusione l’obiettivo-principe del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Ridurre fortemente le disparità territoriali, generazionali e di genere significa occuparsi sempre di Mezzogiorno. Significa occuparsi del problema centrale della crescita italiana misurato da quella aberrante differenza di reddito pro capite superiore al 40% tra una parte e l’altra del Paese. Lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo ora: bisogna che la nuova Genova del futuro sia il Sud.

Questo deve capire il Sud stesso smettendola di piagnucolare e imponendosi un’organizzazione del progettare e dell’eseguire. Ancora di più questo deve capire, come in parte sta capendo, il Nord del Paese perché deve essere chiaro a tutti che se il Sud non diventerà la Rotterdam europea del Mediterraneo l’Italia interna rinuncerà al pezzo più rilevante del suo futuro. Bisogna che la governance del Piano e la macchina esecutiva delle opere agiscano sincronicamente secondo un disegno organico che vuole riunificare le due Italie nelle infrastrutture immateriali e materiali, ma ancora di più nel capitale umano e nella crescita competitiva delle sue imprese. Su questo si gioca la vera partita del futuro dell’Italia.


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