La sede della Banca centrale europea a Francoforte
5 minuti per la letturaIl patto di stabilità e di crescita si dovrà riformare, ma anche se ci fosse l’impossibile “tana liberi tutti” dovrai sempre andare sul mercato e dovrai sempre collocare i tuoi titoli. Soprattutto, dovrai sempre trovare qualcuno che li compra. Dobbiamo usare questo breve tempo per mettere a regime le riforme e, soprattutto nel Mezzogiorno, mettere le amministrazioni locali, le università e tutti i soggetti attuatori nelle condizioni di spendere la montagna di soldi che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) ha loro assegnato. Questa, non altre, è la prima preoccupazione. Se non facciamo le riforme per la crescita ora e se, soprattutto, non rendiamo esecutive queste riforme siamo spacciati. È il momento della serietà. Parlamento, ministeri, regioni e comuni non si possono sottrarre alle loro responsabilità
ALLA Banca centrale europea c’è una discussione più vivace, ma ben incardinata. La presidente, Christine Lagarde, ha dato all’esterno una percezione diversa dalle conclusioni messe nero su bianco dal board della banca e, a sua volta, giocoforza contraddittoria. Perché il consiglio della Bce ha una sua posizione molto chiara che è quella di procedere con i piedi di piombo sulla strada obbligata che porta fuori dalla politica monetaria ultra espansiva. Perché non ci sono pressioni sui salari. Perché non ci sono effetti di propagazione. Perché non è che se gli arabi aumentano il prezzo del petrolio e la Bce aumenta i tassi si fa scendere l’inflazione. Se ho un virus e prendo l’antibiotico non serve a niente. Il prezzo del petrolio pesa sulla domanda perché se paghi di più la benzina e l’energia non puoi consumare come prima.
Poi bisogna vedere che cosa succede con l’Ucraina sul piano geopolitico e, soprattutto, sul piano delle conseguenze sui prezzi del gas e sugli effetti recessivi collegati.
Quello che è certo è che sarà tra sei mesi o un anno, ma le cose cambieranno. Quello che è certo è che la Banca centrale europea non può passare la vita a comprare i titoli del Tesoro della Repubblica italiana e non è che capita ogni anno che la Commissione europea ti mette a disposizione un programma di spesa da 200 miliardi, una parte rilevante dei quali a titolo totalmente gratuito. Quello che è certo è che ora, non domani – e nessun appuntamento elettorale deve consentire di distrarre l’attenzione – governo, parlamento, amministrazioni locali, corpi sociali devono mettersi seriamente a lavorare per fare le riforme esecutive che ci permettono di essere capaci di fare le cose e di presentarci con le carte in regola quando il mondo sarà diventato normale.
Perché prima o poi spariranno le mascherine e più prima che poi finirà la stagione dei governi che possono spendere decine di miliardi come se fossero bruscolini. Prima o poi insomma si tornerà alla normalità che non è quella della Bce che compra tutto e ci consente di pagare stipendi e pensioni o di fare debito sempre. Abbiamo un presidente del consiglio che sa decidere e che ha fatto quello che altri non sapevano fare e ciò gli è costato pure qualche amicizia. Non abbiamo più alibi. Dobbiamo usare questo tempo durante il quale la Bce uscirà gradualmente dai sostegni ultra espansivi all’Italia per mettere a regime le riforme e, soprattutto nel Mezzogiorno, mettere le amministrazioni locali, le università e tutti i soggetti attuatori nelle condizioni di spendere la montagna di soldi che il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) ha loro assegnato.
Questa, non altre, è la prima preoccupazione. Se non facciamo le riforme per la crescita ora e se, soprattutto, non rendiamo esecutive queste riforme siamo spacciati. Per tale ragione è davvero pericoloso che si continuino a diffondere dati falsi ignorando che mai si scende nel Pnrr sotto il 40% degli investimenti in conto capitale destinato al Mezzogiorno con punte che arrivano in molti casi al 55% e oltre in tutti gli ambiti di sviluppo senza capire o facendo finta di non capire che il problema vero è un altro. Il problema dei problemi è che le assegnazioni sono avvenute e i bandi a volte con qualche errore sono stati comunque emessi, ma quello che ancora manca sono i progetti e che le lentezze amministrative rischiano di fare saltare l’ultima grande occasione di investimenti pubblici del Paese per ridurre i divari territoriali.
Avevamo detto che sarebbe successo e in parte sta succedendo. Avevamo previsto che dopo avere insegnato a tutti i segreti della spesa storica si sarebbe continuato a chiedere soldi anche quando ce ne danno come non mai. Crediamo che sia arrivato per tutti il momento della serietà. Non possiamo più assistere allo spettacolo dei politici che senza ridere ripetono che servono scostamenti di 30 miliardi e un circo di media analfabeta che ripete a pappagallo la canzoncina diffondendo il seme della irresponsabilità e stracciando in partenza ogni qualsivoglia forma di lotta alle diseguaglianze.
Il vero miracolo fatto da Draghi e Franco è che si è fatta la più grande crescita di quasi mezzo secolo facendo scendere il rapporto debito Pil perché questo ci consente di avere voce in capitolo in Europa sulle nuove regole e può fortemente influire sulla stabilizzazione del cambio di giudizio degli investitori globali sull’Italia. Adesso, però, tutti, proprio tutti, non si possono sottrarre alle loro responsabilità. Parlamento in primis perché è lì che le cose o si fermano o camminano. Poi ministeri, regioni, comuni.
Tutti devono capire che non si scherza più. Perché si tornerà presto alla normalità dei budget nazionali e di una Bce che non compra tutto quello che le gira intorno. Perché è vero che il patto di stabilità e di crescita si dovrà riformare, ma nessuno potrà mai dire “spendete tutto quello che volete”. Anche se ci fosse l’impossibile “tana liberi tutti” dovrai sempre andare sul mercato e dovrai sempre collocare i tuoi titoli. Soprattutto, dovrai sempre trovare qualcuno che li compra.
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